Hotel Califonia è un brano del 1977 che ancora oggi continua a suonare e far cantare in tutto il mondo. Ha tanto di iconico, dalla melodia alle immagini a cui rimanda, fino alle parti di chitarra. E proprio per queste ultime è stata realizzata una modifica ad una chitarra altrettanto iconica affinché Don Felder potesse suonare sul palco tutte le parti di chitarra del disco, con un solo strumento. Questa è la storia di come il chitarrista degli Eagles ha modificato la sua Gibson EDS-1275 doppio manico, ispirandosi a Chet Hatkins e Jimmy Page…

Il lavoro in studio per Hotel California ha fatto sì che Don Felder modificasse la sua Gibson doppio manico per poter suonare dal vivo...
Don Felder, Hotel California © TaurusEmerald, link, CC BY-SA 4.0 © Fair Use

La sfida di portare in scena Hotel California

Quando gli Eagles pubblicarono Hotel California nel 1977, la complessità degli arrangiamenti chitarristici rappresentò subito una sfida per Don Felder. In studio aveva registrato fino a 14 parti diverse, usando sia chitarre a sei corde sia a dodici corde. Ma come riprodurre tutto questo sul palco rimaneva un enigma.

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La soluzione più logica sembrava la Gibson EDS-1275 a doppio manico, resa celebre da Jimmy Page in Stairway to Heaven. Tuttavia, Don Felder si rese presto conto che lo strumento necessitava di modifiche per poter davvero ricreare l’intreccio sonoro del brano.

I primi tentativi e i rischi sul palco

Inizialmente si pensò a un sistema piuttosto macchinoso: posizionare una dodici corde acustica su un supporto pronto all’uso e tenere una Gibson Les Paul sei corde dietro la schiena. Don Felder avrebbe potuto alternarle durante il brano, ma il rischio di far cadere lo strumento era troppo alto. Come racconta lui stesso, «sapevo già che la prima volta che fossi stato un po’ sbilanciato, la chitarra sul supporto sarebbe caduta a faccia in giù, e allora che fai? Fermi la canzone?»

Era necessario trovare un’alternativa più sicura e a prova di errore.

La strumentazione di Don Felder in Hotel California

In fase di registrazione Don Felder aveva utilizzato la sua Les Paul Standard del 1959, collegata a un Fender Tweed Deluxe degli anni ’50 e a un Echoplex a nastro. La chitarra dodici corde, elemento chiave del brano, passava invece attraverso un altoparlante Leslie rotante.

La modifica alla Gibson doppio manico

Per risolvere la questione, Felder incaricò il suo tecnico di procurargli una doppio manico. Il risultato fu la Gibson EDS-1275 Olympic White, che da allora è rimasta parte integrante del suo arsenale. Ma non bastava: lo strumento doveva essere adattato per rispettare la ricchezza della versione in studio.

Fu un’idea ispirata da Chet Atkins a fornire la soluzione definitiva. Felder ricorda:

«Poiché la dodici corde doveva uscire da un Leslie, e la sei corde da un amplificatore normale, l’idea delle due uscite mi venne quando vidi suonare Chet Atkins. Aveva diviso un pickup, permettendogli di avere due suoni contemporaneamente. Così presi quel concetto e invece di dividere il pickup, installai una seconda uscita jack e divisi l’interruttore tra i due manici».

Il lavoro in studio per Hotel California ha fatto sì che Don Felder modificasse la sua Gibson doppio manico per poter suonare dal vivo...
Dettaglio della doppia uscita jack della Gibson di Don Felder © TaurusEmerald, link, CC BY-SA 4.0

Grazie a questa modifica, la Gibson a doppio manico di Don Felder divenne unica e perfettamente adatta alle esigenze di Hotel California.

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Ulteriori informazioni

Il ritorno di Don Felder con The Vault

Oggi Felder è tornato sulle scene dopo un breve stop e ha pubblicato The Vault — Fifty Years of Music, un album solista che prende forma da demo ritrovati risalenti agli anni d’oro degli Eagles. Alcuni spunti risalgono addirittura al 1974, anno del suo ingresso nella band.

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Pur partendo da materiali storici, il chitarrista ci tiene a precisare: «Non volevo che suonasse come un mucchio di vecchie canzoni. Non sono vecchie canzoni. L’unica che suona particolarmente datata, e l’ho fatto di proposito, è All the Girls Love to Dance. Fu scritta a metà degli anni ’80, quindi volevo rappresentare quel periodo. Ma il resto penso suoni piuttosto attuale».

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Giuseppe Ruocco