Da quando si conoscono per la prima volta, nel lontano 1992, fino ad oggi, in un mondo completamente cambiato anche a livello musicale, Zucchero e Brian May continuano ad alimentare la loro amicizia, nata in un momento molto particolare sia per l’artista emiliano, sia per il chitarrista inglese. La loro forza e religione è sempre stata la musica ed è grazie ad essa se le due stelle continuano ancora a brillare.
L’energia e lo stimolo ricevuti da un grandissimo uomo e chitarrista
Le parole dell’amore
“Incontrai Brian May, il chitarrista dei Queen, nel momento buio di Miserere, quando vivevo in solitudine in una casetta sul mare, il mio periodo bukowskiano, superdepresso dopo il divorzio. Mi Invitò al Freddie Mercury Tribute, poi a tutte le manifestazioni per Mandela, a Città del Capo, Londra e New York.”
Estratto da un articolo di Giuseppe Videtti, la Repubblica, 2013
Come accennato nell’articolo del precedente incrocio tra grandi artisti, c’è un chitarrista in particolare che ha segnato musicalmente e spiritualmente Zucchero Fornaciari: Brian May, un uomo geniale, generoso e tutto d’un pezzo, dalla profonda ricchezza interiore. E, in realtà, se definire Brian May “il chitarrista dei Queen” certamente aiuta a posizionarlo nel mondo delle celebrità, è tuttavia diminutivo di quanto da lui creato, in una lunga carriera ancora adesso ricca di colpi di scena.
Questi due personaggi unici e speciali si incontrano e diventano amici in un frangente particolarmente tormentato della loro vita. Sugar, dopo aver finalmente raggiunto la consacrazione nazionale e internazionale, è caduto in una forte depressione. Il suo spirito inquieto fatica a conciliare la tanto ricercata fama con il terremoto sentimentale vissuto.
Il divorzio lo ha divorato mentalmente. Ora vive in lui il desiderio di continuare a scrivere canzoni di successo cercando però di scavare sempre più nel profondo del suo cuore. Brian si trova anch’egli in un periodo molto difficile, è scosso fortemente dalla morte di una persona a cui era legato indissolubilmente, Freddie Mercury.
Tuttavia, come spesso accade nel mondo delle sette note, due anime gemelle riescono a spiccare il volo quando trovano unità d’intenti, e un evento speciale fa scattare la scintilla. Basta un pensiero, una telefonata, un invito… ed eccole sullo stesso palco a suonare e tornare a sognare.
Non è un caso vedere Zucchero interpretare, insieme ai restanti Queen, Las Palabras de Amor (The Words of Love). Per ricordare Freddie in questo speciale Tribute del 1992, May gli lascia una lista di canzoni fra cui scegliere la propria. E l’artista italiano, “annusando” che le più famose sarebbero state facilmente patrimonio delle celebrità del concerto, opta per un brano minore, bellissimo.
Scritto interamente dal chitarrista inglese, Las Palabras de Amor si nutre d’amore e di speranza e sfoggia una melodia molto in sintonia con il modo di comporre di Sugar, che ha da sempre adorato le incredibili doti del chitarrista, capace di scavare con le sue note un tunnel nel cuore di chi lo ascolta. La performance è davvero toccante ed è commovente osservare l’intero Wembley Stadium applaudire l’esecuzione. L’abbraccio finale tra i due artisti immortala la gioia e l’emozione di entrambi.
Quando una telefonata cambia la vita: Zucchero si immerge nel mondo di Brian May e dei Queen
Probabilmente niente sarebbe successo senza quel colpo di telefono di May, il quale, dopo averlo visto in scena come opening act per Eric Clapton alla Royal Albert Hall nel ’90, sente il bisogno di conoscere quell’uomo schietto e sincero, con un passato da contadino a Roncocesi. Sa che c’è bisogno anche di lui, un ragazzo di campagna folgorato dal blues e dal soul, per ricordare il grande Mercury. Da quel momento i due artisti si scoprono amici e spiriti affini.
Entrambi fanno della semplicità un modus vivendi e della passione per la musica una missione. Tante volte si sono così successivamente incrociati, sempre all’insegna del rispetto e della genuinità. Nel nuovo millennio uno degli highlight delle loro collaborazioni è sicuramente la decima edizione del Pavarotti & Friends, e non solo per una struggente We Are the Champions con Sugar e i Queen sullo stesso palco. Quella manifestazione rimane difatti memorabile pure per l’adattamento in italiano di Too Much Love Will Kill You proprio ad opera di Fornaciari, altro fiore all’occhiello della partnership tra i due.
Sempre nel 2003 il bluesman di Roncocesi partecipa, invitato da May e Dave Stewart alla manifestazione organizzata da loro con gli altri membri dei Queen per sostenere la campagna di Nelson Mandela. E nella terra del Nobel per la pace, a Città del Capo, dopo una toccante Everybody’s Got to Learn Sometime, arriva il momento per Zucchero di cantare I Want It All e We Are the Champions, durante un fantastico medley dello storico gruppo inglese. L’esecuzione della prima è da brividi ed evidenzia ancora una volta la magia che scorre tra i due personaggi.
La musica di Sugar come sollievo alle asperità della vita: le note prodigiose di Brian May scorrono libere e indomite sulle canzoni dell’artista emiliano
Oro, incenso & birra ha smosso qualcosa nel profondo di May, alcune tracce all’interno del disco legano indissolubilmente il suo cuore rock a quello soul, melodico e ruspante dell’autore emiliano. Sono sicuramente straordinarie, di conseguenza, le comparsate di Brian durante L’urlo e lo Spirito Divino tour del ’93 e ’95. Ma un’altra sua presenza come special guest al Montreux Jazz Festival nel ’96 lascia un groppo in gola per intensità e affiatamento.
Ovviamente il pezzo in questione è Madre dolcissima, perfetto per aprirsi a svisate chitarristiche, come già accaduto con Corrado Rustici e Stevie Ray Vaughan .
Gli appuntamenti con le canzoni di Adelmo illuminate dal tocco inconfondibile di May proseguono nel 2004. La potente Il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una tendina di stelle… sancisce nuovamente la partnership sia in studio, nella raccolta di classici ed inediti Zu & Co., sia nel relativo concerto ad apertura del tour, ove i due si cimentano anche in Madre dolcissima, ormai un classico dei loro incroci.
Un’altra chicca da ricordare è Così celeste, uno dei brani preferiti in assoluto dall’artista inglese. In un’emozionante versione del giugno 2005, sempre per la serie di show in onore di Mandela, vede la coppia alla chitarra acustica e voce, accompagnati sullo sfondo dalla house band e dal fluttuante violino di Sharon Corr.
Trepidazione e commozione, per una fra le amicizie e collaborazioni in musica più consolidate, giunta fino ai giorni nostri con la medesima energia e freschezza. E nel recente film documentario Zucchero-Sugar Fornaciari, che ripercorre la storia di Adelmo, si distingue, in mezzo ad altri personaggi leggendari che hanno influito sulla sua musica, la presenza e testimonianza di Brian May, a suggellare ancora una volta il loro rapporto artistico e di affetto.
Brian Harold e Adelmo: nati sotto la medesima stella
Settantasei a sessantotto. Sono otto gli anni di differenza tra il chitarrista britannico e il cantautore italiano. Ma staccandosi dall’universo temporale per entrare in quello musicale, non vi sono divari, nascono gemelli. Eric Clapton, Jimi Hendrix, Jeff Beck, Jimmy Page e i Beatles incarnano la comune ispirazione. I quattro Re delle sei corde spingono Brian a imbracciare la chitarra e un giovane Adelmo ad approfondire il mondo del blues, mentre i Fab Four costituiscono la loro bibbia per quanto riguarda la composizione, l’arrangiamento e la produzione di una canzone.
Le strade di May e Sugar prendono un sentiero diverso, pur mantenendo lo stesso percorso, parlando di come si approcciano personalmente nel songwriting. Buddy Holly e i Crickets, Everly Brothers, Led Zeppelin, Rory Gallagher e Steve Hackett caratterizzano la scrittura e il sound del primo, B.B. King, Otis Redding, Sam Cooke, Solomon Burke e Joe Cocker sono la pietra angolare del secondo, orientato maggiormente su sonorità black, soul e r&b.
Proprio Joe Cocker, spesso collegato negli anni ai Queen e Brian May, sarà a contatto pure nell’inizio carriera di quest’ultimo, quando, giovanotto fresco di laurea, abbandona tutto per dedicarsi completamente alla musica.
Dalla laurea ai primi successi con i Queen
Gli inizi, la mitica Red Special e gli Smile
Brian May, classe 1947, nasce in un sobborgo di Londra e fin da piccolo si appassiona alla chitarra. Il merito è di suo padre, un ingegnere con la passione per il modellismo e gli strumenti musicali, che lo aiuta a costruirne una, quando, ormai sedicenne, ha sviluppato uno stile e una tecnica di notevole livello. La ormai mitica Red Special, utilizzata ancora oggi, viene così ultimata dopo un paio d’anni di lavori, nel 1965. Il ragazzo è una forza della natura non solo nel mentre imbraccia l’adorata sei corde, ma anche a scuola. Si laurea in fisica, si immerge con diletto nell’astronomia. Tuttavia abbandona la carriera scientifica per rispondere alla sua vera vocazione.
La musica è infatti per lui un’ancora di salvezza, una passione che si sprigiona in modo irrefrenabile. Dopo aver suonato nei primi gruppi dalla durata effimera, nel ’68 fonda gli Smile insieme al compagno di college Tim Staffell e presto si unisce a loro un altro futuro membro dei Queen, il batterista Roger Taylor. La band apre i concerti di Pink Floyd, Yes, Troggs e Jimi Hendrix, oltre a esibirsi, il 27 febbraio 1969, alla Royal Albert Hall per un concerto di beneficenza, insieme al citato Cocker, i Free e la Bonzo Dog Doo-Dah Band. Gli Smile sono attivi anche in studio, registrano alcuni pezzi, fra cui uno, in particolare, quel Doin’ Alright che diventerà presto conosciuto nella versione dei Queen.
Vox AC30 C2
Il momento che cambia la vita: l’incontro con Farrokh Bulsara
Il 1970 è un anno importante per May. Staffell abbandona il gruppo per unirsi ad un altro, ma come spesso capita nella musica, da situazioni difficili possono nascere coincidenze positive. Entra in scena un nuovo vocalist, l’istrionico Farrokh Bulsara, in arte Freddie Mercury, nato nel 1946 a Zanzibar, all’epoca protettorato britannico, da genitori di origine parsi. Già in contatto con gli Smile prima dello scioglimento, Mercury suggerisce un nuovo nome, Queen. E con l’aggiunta successiva del bassista John Deacon, si forma la storica line up che durerà fino al ’91.
Nei primi tre album il quartetto dimostra subito una spiccata originalità e una stupefacente abilità nell’attraversare vari generi. Ciò significa, in poche parole, ricercare, tentare vie nuove, usare polpa melodica filante e sostanza armonica applicata alle canzoni in maniera inedita, trovare l’equilibrio tra tintinnii acustici e sferzate elettriche. Tuttavia la vera svolta avviene con A Night at the Opera (1975), ove si definisce uno stile unico, che mescola l’hard rock con la teatralità e arrangiamenti complessi per l’epoca. Il progressive pop si fonde con l’heavy metal e i Queen raggiungono la fama in tutto il mondo.
Sacrificio e affinità elettive con gli altri membri del gruppo
Già a metà degli anni Settanta Brian May si dimostra all’avanguardia in termini di suono e tecnica esecutiva. I suoi riff sono incredibilmente creativi. Gli assoli in brani come Bohemian Rhapsody o We Will Rock You, dal pregiatissimo News of the World (1977), rappresentano degli standard e sono ormai pietre miliari della storia del rock.
Quello che piace sottolineare è anche la sua innata capacità, pur con i dovuti distinguo, a collaborare con gli altri membri del gruppo. Se lui e Freddie risultano le star indiscusse del sodalizio, è comunque vero che vengono accettate le composizioni di Taylor e Deacon e questo amalgama giova alla qualità e alla diversificazione musicale. In particolare May, che insieme a Taylor talvolta risulta lead vocalist, riesce ad appropriarsi, con i suoi fraseggi, i suoi trucchi e le sue intuizioni geniali, anche di motivi più lontani dalla sua essenza, come Get Down, Make Love.
Scritta da Mercury, la canzone negli spettacoli dal vivo presenta effetti sonori psichedelici prodotti dalla Red Special di Brian, con un pedale Electro Harmonix Frequency Analyzer. La versione in studio si serve di un Eventide Harmonizer. Innovativo, istintivo e con grande creatività, il chitarrista si approccia così anche al materiale più oscuro, sexy e bizzarro dei Queen in modo eclettico e con entusiasmo, come un pittore con una nuova tavolozza.
Gli eighties dei Queen: rock ed elettronica vanno a braccetto e sono il segreto della loro celebrità
Dopo i successi dell’epoca classic rock ecco l’avvento dei sintetizzatori
Non solo rock progressivo, funk, glam rock, heavy metal, psichedelia e, andando maggiormente indietro ancora, alle radici, gospel e blues rock. I Queen attraversano o sono influenzati da più generi, e anche la musica elettronica, ora nei famigerati anni Ottanta, vuole la sua parte.
Così dopo il camaleontico Jazz (1978), arriva il celebre The Game (1980), con l’utilizzo per la prima volta dei sintetizzatori, seguito a ruota dalla sorprendente e innovativa soundtrack di Flash Gordon. Poi è il turno dell’iconico Hot Space (1982), con drum machine e synth bass e dell’imprescindibile The Works (1984), ove meglio si attua un compromesso tra rock e “avanguardia futurista”.
Il gruppo è sempre molto attivo on stage, si susseguono tour indimenticabili, e a tal proposito è ormai leggendaria la loro partecipazione a Live Aid, che contribuisce a renderli pilastri dello showbiz degli eighties.
La potenza e dolcezza di A Kind of Magic & The Miracle
Dopo il gaudio di Live Aid, arriva quello dell’epico Live at Wembley, mentre esce A Kind of Magic (1986), che prosegue la miscela “controllata” di rock ed elettronica. Si alternano alcuni brani duri, rocciosi, del calibro di One Vision e Princes of the Universe a scorribande nel pop, come la title track. Non mancano bellissime ballate. Fulgido esempio è la struggente Who Wants to Live Forever, capolavoro di May in cui è presente anche la National Philharmonic Orchestra. The Miracle esce sul finire del decennio e comincia a far notare in maniera evidente le prime crepe nella band, dovute anche alla crisi matrimoniale di May e l’incombere della malattia di Mercury.
The Show Must Go On: Innuendo e l’inizio della carriera solista
Il triste addio a Freddie e la realizzazione di Back to the Light
Innuendo è l’ultimo album pubblicato con Freddie Mercury ancora vivo e risente dell’atmosfera cupa e tetra del terribile frangente. Brian è distrutto, scrive la granitica e potente Headlong e, soprattutto, The Show Must Go On che risulta il testamento della band, in un disco a tratti in cortocircuito, fra lampi geniali, tracce strappalacrime, nuove sperimentazioni che si rifanno all’antico come la title song, e troppi riempitivi. Viene dato alle stampe nel febbraio ’91, nove mesi prima della scomparsa di Mercury, mentre il lavoro solista di Brian May, Back to the Light, giunge alcuni mesi dopo lo struggente Freddie Mercury Tribute, nel settembre ’92.
Too Much Love Will Kill You è il brano di punta e anche se sembra un chiaro omaggio all’amico scomparso, in verità viene concepito molto in anticipo, durante il tourbillon sentimentale del chitarrista. La sua attività live prosegue imperterrita l’anno successivo, con la partecipazione della Brian May Band al tour dei Guns ‘N Roses (il 29-30 giugno spiccano due date incandescenti pure in Italia, a Modena). L’affiatamento con il suo nuovo gruppo è evidente nel Live at the Brixton Academy, che li immortala in quel periodo. Il quotato bassista Neil Murray (Whitesnake, Black Sabbath e Gary Moore) e il compianto Cozy Powell, storico batterista dalle doti incredibili, fanno parte della band.
Una chicca imperdibile
La menzione di Powell permette di scorrere indietro nel tempo per un attimo nuovamente al 1983, quando, in un momento ove i membri dei Queen stanno esplorando territori solisti, May s’inventa in quattro e quattr’otto un progetto nientepopodimeno che con Eddie Van Halen. Star Fleet Project è un mini album che contiene il singolo Star Fleet, arrangiamento speciale della sigla finale dell’omonima serie cult di fantascienza. Proprio nel 2023, quarant’anni dopo, è uscita una nuova edizione curata da Brian che comprende anche Let Me Out, altra traccia dell’Ep, catturata dal vivo nel 1993 con la Brian May Band e quindi, ovviamente, con Powell. Rimane da ricordare che all’interno del lavoro originario figura anche una lunga jam tra i due chitarristi e la robusta sezione ritmica costituita da Phil Chen e Alan Gratzer intitolata Blues Breaker, dedicata all’idolo comune Clapton.
La parentesi di Made in Heaven, la pubblicazione di Another World e l’entusiasmante decorso del primo decennio del nuovo secolo
1995-2002, tre dischi e un evento memorabili
Il 1995, 1997 e 1998 sono anni importanti per l’artista inglese. Viene realizzato Made in Heaven, ultimo album a nome Queen, che assembla tracce vocali registrate poco prima della morte di Freddie e incisioni avvenute negli eighties, il tutto rielaborato dai membri rimanenti. Nella compilation Queen Rocks appare No-One but You (Only the Good Die Young), singolo finale del sodalizio, poi è il turno di Another World, seconda fatica solista, ove oltre a interessanti canzoni autografe il nostro rispolvera la passione per Jimi Hendrix, rileggendo la sua One Rainy Wish. Nel nuovo secolo una data importante è il 3 giugno 2002.
Nell’ambito delle celebrazioni per il Giubileo d’Oro di Elisabetta II, May esegue un assolo di chitarra di God Save the Queen dal tetto di Buckingham Palace. E anche qui si chiude un cerchio, dato che l’adattamento/arrangiamento dell’inno è la traccia conclusiva di A Night at the Opera, e quella base registrata veniva utilizzata al termine degli show del gruppo nei seventies. Ora è l’occasione per suonarlo in diretta davanti a centinaia di migliaia di spettatori, e, insieme a Roger Taylor, tenere viva la fiamma dei Queen. Una tonitruante With a Little Help from My Friends con i compari Joe Cocker, Steve Winwood e Phil Collins brilla fra le altre gemme di quella giornata favolosa.
La reunion dei Queen, alcune comparsate come special guest e l’inizio della collaborazione con Kerry Ellis
Queen + Paul Rodgers
Alla fine del 2004, May e Taylor (con la defezione di Deacon) annunciano la reunion e tornano in tour nel 2005 e 2006, con Paul Rodgers, fondatore ed ex cantante dei Free e dei Bad Company. Queen + Paul Rodgers è la scelta del nome, di fatto senza sostituire il defunto Freddie Mercury. May adora stare sul palco e, oltre alle già trattate partecipazioni insieme a Zucchero, è ospite al concerto dei “rifondati” Genesis nel 2007. L’amicizia con Phil Collins è così sempre più che mai solida, mentre ne sboccia una nuova con l’attrice e cantante Kerry Ellis. Intanto viene pubblicato The Cosmos Rocks (2008) che di fatto chiude la partnership tra i Queen e Paul Rodgers, non prima di un estenuante tour negli Stati Uniti ed Europa.
Brian e Kerry
Il chitarrista britannico instaura una fruttuosa partnership con l’attrice e cantante Kerry Ellis dopo averla scritturata nel musical We Will Rock You. Produce e arrangia il suo album di debutto in studio Anthems (2010), seguito dell’EP Wicked in Rock (2008), in cui vi è sempre il suo zampino. Inoltre accompagna Ellis in molte esibizioni pubbliche, suonando la chitarra al suo fianco. Sarà l’inizio di un sodalizio duraturo.
L’inarrestabile, interminabile meravigliosa vita on the road e in studio di registrazione
“Nella mia mente, naturalmente, non ci sono i Queen senza Freddie o John. Siamo solo io e Roger e stiamo facendo quello che sappiamo fare meglio. Suoniamo molto bene insieme. Non siamo bloccati nei nostri ricordi perché siamo in grado di reinterpretare le nostre canzoni con Adam Lambert, che è un grande cantante. Non passiamo assieme tutto il tempo, come sapete.”
Estratto da intervista di marzo 2014. Fonte brianmay.com
A partire dal 2011 l’attore e songwriter americano Adam Lambert sostituisce Rodgers in un progetto, tenere ancora viva la fiammella dei Queen, che prosegue fino ai giorni nostri. Così Brian May e Roger Taylor di tanto in tanto si tuffano indietro e offrono a un gran numero di persone esattamente ciò che vogliono: riascoltare le canzoni di un gruppo indimenticabile.
Ma la frenetica attività dell’autore di I Want It All non finisce qui. Suona a Tenerife con i Tangerine Dream, in occasione dello Starmus Festival 2011 e continuano i concerti con la Ellis, che sbocceranno in un lavoro dal vivo, Acoustic by Candlelight (2013) e in uno in studio, Golden Days (2017). Quest’ultimo include una cover di I (Who Have Nothing) che ci riporta ai “crossroads” con Zucchero. Nel 2012 May e la Ellis si avvicinano per la prima volta a questa canzone, interpretata anche da Joe Cocker, duettando sul palco di Sanremo con la figlia di Sugar, Irene Fornaciari. Uno dei Tanti è la versione italiana originale del motivo reso celebre da Joe Sentieri con testo di Mogol.
May mantiene sempre un occhio di riguardo per l’Italia ed è presente a Verona nel giugno 2015 come ospite d’onore per lo show d’introduzione alla stagione lirica Arena di Verona: lo spettacolo sta per iniziare, e insieme all’inseparabile Kerry Ellis suona e canta un tributo a Freddie Mercury.
Appassionato di cinema, nel 2018 può finalmente annunciare, dopo una lunga gestazione, l’uscita del film Bohemian Rhapsody, per il quale si parla da tempo di un sequel, senza conferma ufficiale della notizia. Inoltre all’inizio dell’anno successivo si esibisce con i Queen + Adam Lambert alla cerimonia di apertura degli Oscar 2019. Nello stesso periodo realizza anche un singolo, New Horizons, colonna sonora dell’omonima missione della Nasa, continuando a dar linfa al suo amore per le missioni nello spazio.
Niente male per un uomo adorato da giganti delle sei corde e delle sette note come Yngwie Malmsteen, Justin Hawkins, Alice Cooper e Thom Yorke. Una personaggio inimitabile, curioso, desideroso di comprendere l’universo che popoliamo sia attraverso la musica, sua vocazione, sia attraverso lo studio della scienza. Brian May ha un dottorato di ricerca in astrofisica conseguito all’Imperial College di Londra e proprio quest’anno è diventato Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico, insignito del titolo di Sir per i suoi servigi resi alla musica e per la sua assidua partecipazione alle manifestazioni di beneficenza.
Instancabile e mai domo presenzierà nel maggio 2024 alla settima edizione dello Starmus Festival, evento dedicato alla comunicazione scientifica di cui è uno dei fondatori, incentrato sul futuro del nostro pianeta natale. Ovviamente non si esimerà dall’offrire una performance dal vivo, vivendo così alcune giornate immerso in due cose fra le più importanti della sua vita.
Storia di una vita in musica: le principali collaborazioni
Risulta davvero impossibile analizzare le numerosissime esperienze accumulate nel corso di una lunga e formidabile carriera. Tuttavia è d’uopo dedicare un paragrafo a tale tipo di attività al fine di rendersi conto della qualità e varietà delle collaborazioni in sala di registrazione e sul palco. Nel corso degli anni Brian May si è cimentato nelle partnership più disparate, dal pop al rockabilly, fino all’heavy metal.
Così le incisioni con la seconda moglie Anita Dobson, Holly Johnson dei Frankie Goes to Hollywood, i Living in a Box e Lady Gaga convivono con quelle dei suoi idoli Brian Wilson, Hank Marvin e Lonnie Donegan. Foo Fighters, Motorhead, Black Sabbath e l’amico Tony Iommi sono altri pezzi da novanta che hanno arricchito il background dell’artista inglese.
Pensando alle esibizioni live risulta sicuramente di spessore, oltre ai tanti eventi di beneficenza, lo show all’Hammersmith Odeon di Londra ospite di Jerry Lee Lewis nel 1989. Una menzione speciale per le cinque notti magiche di Guitar Legends, nell’ottobre 1991, dove si esibisce la prima incarnazione della Brian May Band. Ma soprattutto, il nostro nei bis è fianco a fianco con Joe Satriani, Steve Vai, Nuno Bettencourt e Joe Walsh.
Axe Heaven Brian May Red Special
Le chitarre di Brian May e quella profonda amicizia con un personaggio veramente speciale
Sembra incredibile come possa cambiare l’esistenza una chitarra. Ed è stupefacente ciò che Brian May sia riuscito a fare con tale strumento.
Dentro le note da lui suonate c’è tutta la vita, con i suoi alti e bassi. Ci sono tristezza, perplessità, pensieri di morte, gioia, libertà e l’interezza dell’esperienza che si prova mettendo queste cose in musica. Ma quali sono le chitarre più leggendarie, da cui è uscita tutta l’anima dell’artista?
“Mio padre e io decidemmo di costruire una chitarra elettrica. Progettai uno strumento partendo da zero con l’intenzione di dotarlo di funzionalità ben superiori a tutto ciò che si potesse trovare sul mercato: doveva tenere meglio l’accordatura, avere una gamma più ampia di suoni e tonalità, un miglior tremolo, e la capacità di produrre un buon feedback.”
Sicuramente unica e speciale rimane la mitica Red Special, costruita da lui e suo padre, come ben spiegato nel libro La Red Special di Brian May. La storia della chitarra home-made che ha caratterizzato i Queen e conquistato il mondo, pubblicato da May nel 2014. Uno strumento che ha fatto la storia: da allora è una parte iconica del suo suono e della sua immagine nelle svariate replica.
Poi ci sono le amate acustiche, dalla Godin Acousticaster a 12 corde alle Ovation Pacemaker 1615, sempre 12-strings, e Gibson Chet Atkins, senza dimenticare la Yamaha SLG-100S e la Guild F-512. Infine, tornando alle elettriche, quando non era in compagnia dell’adorata Red Special, ha utilizzato Fender Stratocaster, Gibson Flying V e Les Paul Deluxe. E qui ci fermiamo pensando proprio a Les Paul, straordinario inventore e creatore di chitarre. Un uomo eccezionale che non poteva non intrecciarsi proprio con Brian May, suo grande fan.
Il ciclo “Crossroads”, con gli incroci tra grandi artisti/chitarristi non si ferma!
Stay tuned
To be continued…
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