Ci sono collaborazioni musicali che sembrano nate per accendersi e poi svanire all’improvviso. È il caso del rapporto tra Scott Gorham e Gary Moore, due chitarre leggendarie che hanno incendiato il suono dei Thin Lizzy ma si sono anche scontrate sul piano personale, fino a una rottura traumatica nel bel mezzo di un tour.

Un ingresso esplosivo (ma provvisorio)
Gary Moore, chitarrista nato a Belfast e già noto per la sua tecnica impeccabile, fu una presenza intermittente ma potentissima nella storia dei Thin Lizzy. La sua prima apparizione risale a prima ancora dell’arrivo di Scott Gorham, quando contribuì alla struggente Still In Love With You dall’album Nightlife del 1974.
Nonostante ciò, quando Moore tornò brevemente nella band nel 1977 per sostituire Brian Robertson (fuori gioco a causa di una rissa al Marquee Club), Gorham non lo percepì come una minaccia, anzi.
“Ero entusiasta che questo tipo entrasse nella band – perché sapevo cosa era capace di fare. Era uno di quei chitarristi nati, uno da cui imparare un sacco di roba figa”, ha raccontato Gorham.
Due Les Paul e un muro di suono
Sul palco, i due formarono una coppia micidiale. Gary Moore suonava spesso la sua Gibson Les Paul appartenuta a Peter Green, mentre Scott Gorham impugnava la sua Gibson Les Paul del 1957, acquistata a Boston. Ogni tanto Moore tirava fuori anche una Gibson SG, ma la scena era dominata da quelle due Les Paul davanti a un muro di amplificatori Marshall.
“Con il tour dei Queen avevamo solo 45 minuti. Niente cambi chitarre, niente accordature alternative. Era tutto diretto: Boom – si va!”, ha ricordato Gorham.
La combinazione sonora delle due Les Paul era complementare, ma ciò che faceva la differenza era il tocco. “Gary attaccava le corde con velocità diverse per tirar fuori toni differenti. Era così inventivo. Una volta mi disse: ‘Non ti sembra una cornamusa?’ E aveva ragione. Ma non voleva usarla per niente in particolare – voleva solo vedere se ci riusciva”.
Gibson LP Std 59 Greeny Murphy Lab
Gibson Les Paul 57 Goldtop VOS
Un genio difficile da conoscere
Fuori dal palco, però, il rapporto personale era più complicato. Moore tendeva a isolarsi, nonostante gli sforzi di Gorham e Phil Lynott per coinvolgerlo. “Quando andavamo in un club, Gary si sedeva da solo e non interagiva. Dopo un po’ ha smesso proprio di venire”.
Nonostante questo distacco, Moore lasciò un segno indelebile in studio, specialmente nell’album Black Rose: A Rock Legend del 1979.
La firma di Gary su Black Rose
“La mia traccia preferita è Black Rose”, ha confessato Gorham. “Gary ha scritto tutta la sezione centrale. L’ho suonata con altri chitarristi, ma non ce la facevano. Devi essere sul pezzo dall’inizio alla fine. Non c’è un attimo di respiro”.
Anche in Waiting For An Alibi Moore contribuì con la melodia finale, pur non firmando il solo. “Quando l’ho sentita la prima volta, ho pensato: ‘Dannazione Gary, ora dobbiamo rifarla ogni sera!’”
L’abbandono improvviso di Gary e l’ira di Gorham
Tutto sembrava funzionare, ma a luglio 1979, nel bel mezzo di un tour negli Stati Uniti, Gary Moore se ne andò improvvisamente. L’abbandono fu un colpo durissimo per la band, che non riuscì più a recuperare slancio sul mercato americano.
“Credo che alla fine Gary volesse suonare tutte le chitarre lui. Voleva che fosse solo lui sul palco”, ha spiegato Gorham. “E va bene, se vuoi fare una carriera solista. Ma devi mollare al momento giusto. Lui ha fatto la cosa peggiore che un membro di una band possa fare. Mi sono incazzato. Tutto il lavoro che avevamo fatto, e tu esci dalla porta sul retro? Ma che cazzo, amico?”
Riconciliazione e perdono
Ci vollero anni e un evento tragico per sanare quella ferita. Solo dopo la morte di Phil Lynott nel 1986 i due chitarristi si riavvicinarono. E quando Gary Moore morì nel 2011, si erano già chiariti.
“Negli anni Gary continuava a scusarsi per aver mollato il tour. Al tributo per Phil a Dublino, mi chiese di venire e non smetteva di chiedere perdono. Alla fine gli ho detto: ‘È stata una stronzata. Ma ti sei scusato e ti perdono. Lasciamocela alle spalle.’ E da lì siamo tornati amici”.
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