«È un sogno per noi suonare dove i Pink Floyd si consegnarono alla storia» ha detto, con emozione palpabile, James LaBrie di fronte al pubblico dell’Anfiteatro romano di Pompei, gremito come poche altre volte. E quel sogno si è trasformato in un’esperienza musicale potente, tecnicamente impeccabile, capace di unire il presente e il passato in un unico grande flusso di memoria e suono.
I Dream Theater omaggiano I Pink Floyd
Dove nel 1971 i Pink Floyd resero immortale un concerto senza pubblico, documentato da Live at Pompeii di Adrian Maben, si sono da poco esibiti i Dream Theater con la formazione storica al completo, nel cuore del loro 40th Anniversary Tour. Un evento speciale, inserito nella seconda edizione del festival BOP – Beats of Pompeii, che ha visto il ritorno sul palco del carismatico Mike Portnoy alla batteria.
Il legame tra i Dream Theater e i Pink Floyd è sempre stato profondo. Venti anni fa, la band americana suonò dal vivo l’intero The Dark Side of the Moon. Quell’omaggio si è rinnovato nei giorni scorsi, culminando nella cover integrale di Echoes, a suggellare un ponte ideale tra due generazioni di prog. L’omaggio ha emozionato fin dal primo istante: la goccia d’acqua che cade sulla Terra, riprodotta dal synth di Jordan Rudess, ha richiamato la magia del suono originale di Richard Wright, suscitando un’ovazione istintiva.
Racconto di un concerto storico
La prima parte del concerto si è aperta con Night Terror, tratto dal nuovo album Parasomnia, e ha preso subito quota con un trittico da Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory. Tra cambi di tempo, intricati intrecci armonici e richiami alla storia del protagonista Nicholas, i Dream Theater hanno dimostrato ancora una volta di essere maestri assoluti nell’unire complessità tecnica e narrazione.
John Petrucci, come sempre, ha guidato la band con una padronanza totale della chitarra. Plettrata alternata, legato, bending, sweep-picking, ogni tecnica è stata utilizzata con gusto e potenza, senza mai scadere nell’autocelebrazione.
Nel cuore del concerto, brani come Panic Attack, Barstool Warrior e Peruvian Skies,che ha inglobato anche un frammento di Wish You Were Here e Wherever I May Roam dei Metallica, hanno confermato l’alchimia perfetta tra tecnica e pathos. Peruvian Skies, in particolare, continua a colpire per la sua trattazione sensibile ma intensa di un tema drammatico come la pedofilia in ambito familiare.
Dopo una breve pausa, la seconda parte del concerto si è aperta con l’attesa Echoes dei Pink Floyd: una scelta coraggiosa, che ha aggiunto peso emotivo alla serata. Poi The Enemy Inside e la nuova Midnight Messiah hanno riportato il pubblico in pieno territorio Dream Theater, tra riff taglienti e ritmi spezzati. Il finale, affidato a The Count of Tuscany, The Spirit Carries On e Pull Me Under, ha suggellato una serata memorabile con un’esplosione di energia e nostalgia.
Dream Theater a Pompei: un concerto epico di tecnica e arte
In uno dei luoghi più iconici al mondo, tra le pietre che hanno visto passare secoli e catastrofi, i Dream Theater hanno consegnato un concerto monumentale. Due ore e mezza di musica ad altissimo livello, senza cedimenti.
Le critiche ai Dream Theater sono note: troppa tecnica, poco cuore, freddi, didascalici. Ma, come diceva Georges Brassens, «senza tecnica, il talento non è altro che un abito sporco». E la tecnica, quando è al servizio di una visione artistica precisa, può commuovere tanto quanto un assolo blues su tre accordi.
I Dream Theater non cercano di essere altro da sé. E l’altra sera, nel silenzio riverente di Pompei, ci hanno ricordato che anche la perfezione può avere un’anima.
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