Ozzy Osbourne se n’è andato per davvero. Dopo decenni di eccessi, leggende e improbabili resurrezioni, il Principe delle Tenebre ha fatto il suo ultimo inchino proprio a Birmingham, la città in cui tutto era iniziato. Una domanda però resta sospesa come un riff nell’aria: come ha fatto a vivere così a lungo? In questo articolo ripercorriamo la vita di un uomo che ha sfidato la chimica, l’anatomia e la statistica, tra aneddoti incredibili, analisi genetiche e momenti struggenti. Un omaggio tra scienza, emozione e ironia a una delle figure più inclassificabili della musica. Ozzy è morto. Ma il mistero resta.

L’ultimo inchino, a casa sua
Qualche giorno fa, Ozzy Osbourne saliva sul palco per un ultimo concerto nella sua Birmingham. Era stanco, fragile, ma sorridente.
I fan c’erano tutti. Anche quelli che, negli anni ’80, giuravano che non sarebbe mai arrivato ai 40 anni. È stato uno show breve, intenso, quasi tenero. Lo si è visto lasciare il palco lentamente, salutando con la mano tremolante. Ora lo sappiamo: quello era il suo addio. E il mondo non piange solo una rockstar. Piange un’icona della resistenza. Una parabola umana così folle da sembrare scritta da Hunter S. Thompson con la chitarra di Tony Iommi.
Ozzy Osbourne: un miracolo biologico (e pure un po’ metal)
Nato come John Michael Osbourne il 3 dicembre 1948 a Birmingham, Ozzy è diventato, nel tempo, non solo la voce e il volto dei Black Sabbath, ma anche un simbolo di indistruttibilità. L’immortalità non l’ha mai nascosta dietro lifting o fitness: l’ha affrontata a colpi di bourbon, LSD e concerti devastanti. Era l’antitesi di ogni protocollo medico, eppure eccolo lì, a 70 anni passati, a urlare ancora “All aboard!” come se fosse il 1980.
Nel corso degli anni, le leggende sul suo conto si sono moltiplicate: il pipistrello morso sul palco (e realmente ingoiato), la rissa con un piccione, le cliniche di riabilitazione frequentate più assiduamente di uno Starbucks, la vita da reality con la famiglia più metal d’America. Ma la domanda che aleggiava ovunque, dagli stadi agli ambulatori, era sempre una: come fa a essere ancora vivo?
La risposta della scienza: “Non lo sappiamo, ma abbiamo provato”
Nel 2010, la società di biotecnologia americana Knome Inc. decise di sequenziare l’intero genoma di Ozzy Osbourne. Non per motivi terapeutici o di ricerca avanzata, ma per quello che in campo medico si definisce tecnicamente come “curiosità estrema e assolutamente perplessa”. Il risultato? Qualcosa che nessun genetista aveva mai visto prima: una serie di mutazioni genetiche che sembravano progettate apposta per sopravvivere a un festival di droga, alcol e sostanze psicoattive.
In particolare:
- CYP2D6: è un gene che codifica per un enzima epatico responsabile del metabolismo di moltissimi farmaci e droghe. Ozzy mostrava una variazione che potrebbe aumentare la velocità con cui smaltiva certe sostanze psicoattive.
- ADH4 (alcol deidrogenasi): coinvolto nella degradazione dell’alcol. Anche qui, una mutazione lo rendeva probabilmente molto più efficiente nel “bruciarlo” nel fegato.
- Composti associati alla dipendenza e al comportamento compulsivo: geni legati alla dopamina e alla risposta cerebrale a sostanze stimolanti risultavano alterati.
In sintesi? Il Principe delle Tenebre era biologicamente modificato per sopportare un carico tossico che per altri sarebbe letale, una sorta di esperimento darwiniano che ha spinto il corpo umano oltre ogni limite noto. Uno dei ricercatori dichiarò: “È il primo individuo della nostra specie di cui abbiamo deciso di mappare il genoma per pura, genuina, insopprimibile curiosità clinica. Siamo ancora increduli.” Se mai esisterà una branca della medicina chiamata Ozzyologia, ora sapete da dove comincerà.
L’effetto Wolverine, ma con il Parkinson
Col passare degli anni, Ozzy ha dovuto affrontare i conti con la biologia. Una forma di Parkinson atipico, problemi alla colonna vertebrale, infezioni respiratorie: malanni veri, non causati da eccessi, ma dalla vita che chiede il conto. Eppure continuava a scherzarci su. “Ho preso più droghe di tutta la CIA negli anni ’70 e il mio fegato ancora batte il tempo”. La sua forza non era solo genetica. Era anche emotiva. L’amore per la musica, per la famiglia (con Sharon compagna, manager e a volte infermiera), per il palco. Era la voglia disperata di restare Ozzy, finché possibile. Fino a oggi.
Una vita ai limiti della biochimica per Ozzy
Ozzy ha trascorso decenni a mettere alla prova ogni concetto medico noto: dai recettori della dopamina fino alla pazienza degli epatologi.
La sua carriera è una lista infinita di “don’t try this at home”, di cui ricordiamo solo alcuni episodi:
- Ozzy una volta sniffò una fila di formiche vive perché era rimasto senza cocaina davanti ai Mötley Crüe, che uscirono di scena sconfitti.
- Nel 1982 morse la testa di un pipistrello vero lanciato sul palco, pensando fosse di gomma. Finì in ospedale per la rabbia.
- Un giorno urinò davanti all’Alamo vestito con gli abiti di sua moglie Sharon, e venne arrestato sul posto.
- È stato licenziato dai Black Sabbath perché si drogava troppo persino per loro.
- Per anni ha vissuto in un reality dove non riusciva a capire come funzionasse il telecomando. Letteralmente.
- È sopravvissuto a più di un’overdose: ne ha avute almeno una decina documentate, ma in qualche modo si è sempre svegliato. Di solito con un tour da iniziare.
- Ozzy smise di prendere LSD dopo aver passato un’ora a parlare con un cavallo in un campo. Giura che l’animale, a un certo punto, si girò e gli disse: “Fuck off”. E quella fu la fine della sua carriera con le droghe psichedeliche.
Chi non ce l’ha fatta, e perché Ozzy Osbourne è diventato il superstite del rock
Ozzy ha camminato sull’orlo dell’abisso per tutta la vita. Ma dove molti hanno trovato la fine, lui ha trovato un altro palco. Gli eccessi che per lui erano routine, pastiglie, alcol, tour devastanti, per altri sono stati condanne a morte. Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, Layne Staley, Amy Winehouse: tutti nomi che oggi risuonano come leggende, ma che hanno lasciato questo mondo troppo in fretta. Mentre loro si spegnevano in camere d’albergo, vasche da bagno e silenzi pieni di rimpianti, Ozzy, incredibilmente, cantava ancora. Magari dimenticava il testo, barcollava, si confondeva. Ma c’era. Ancora vivo. Come se qualcosa nel suo DNA, nel suo caos, nella sua dannazione l’avesse reso resistente alla fine. Non era più forte, né più sano. Era solo Ozzy.
L’ultimo superstite di un’epoca in cui vivere era già una sfida. Sopravvivere, un miracolo.
Il lato umano: fragilità e redenzione
Negli ultimi anni, Ozzy aveva smesso di scherzare sugli eccessi. Parlava più spesso di dolore, perdita di equilibrio, depressione, rimpianti. Nel 2020 ha annunciato di soffrire di una forma di Parkinson atipico, una sindrome neurodegenerativa che colpisce l’equilibrio, la coordinazione e i muscoli.
“Ho il corpo distrutto, ma l’anima è ancora quella di un ragazzino” diceva.
Lo si vedeva nei video con Sharon, nei momenti teneri con i suoi cani, nei silenzi.
Era ancora il Principe delle Tenebre, ma si vedeva l’uomo dietro il mito. E quell’uomo era stanco.
Una conclusione da brividi
Non è morto solo un cantante. È morto un personaggio mitologico, a metà tra supereroe e cartone animato, tra sciamano e clown, tra genio e rottame. Ozzy non era perfetto. Era umano nel modo più spietato e onesto possibile. E per questo lo amavamo. Non ha mai smesso di essere sé stesso. Nemmeno quando tremava, quando cadeva, quando non ricordava in che città fosse. Eppure saliva sul palco. Sempre. Fino alla fine.
Un urlo nel buio, che non si spegne
Ozzy è morto. Ma l’eco della sua voce, quel ruggito spezzato, quella risata demoniaca, resteranno. Nei concerti, nei dischi graffiati, nelle prime chitarre distorte di un ragazzo che si affaccia al metal. Resterà anche nella medicina, come il paziente zero dell’indistruttibilità. Una leggenda scritta non solo con le parole, ma con i codici genetici. E allora oggi, se vi scende una lacrima, lasciatela scendere. Ma fate che si mescoli a un sorriso. Perché Ozzy, in fondo, non ha mai voluto farci piangere. Solo urlare, ridere, alzare le corna e gridare:
“I’m going off the rails on a crazy train!”
E ci siamo saliti tutti, almeno una volta.
Grazie, Ozzy.
A nome di chi non ce l’ha fatta.
A nome di chi ce la sta facendo.
A nome di chi ha ancora voglia di vivere, anche se a modo suo.
Ci mancherai. Il buio non sarà più lo stesso, senza la tua risata, ma l’eco delle tue ultime parole “Rock And Roll Will Never Die”, durerà per sempre.
Appendice semiseria: la cartella clinica impossibile di Ozzy
Parametro | Dato |
Anni di carriera | 55+ |
Diagnosi genetica | Mutazioni nei geni CYP2D6, ADH4, recettori dopaminergici |
Alcol ingerito in vita | Sufficiente per disinfettare il Pacifico |
Droghe testate | Probabilmente tutte (inclusa l’aria) |
Numero di volte in cui “dovrebbe essere morto” | ≥ 37 secondo Sharon |
Diagnosi finale | Parkinson, trauma cranico, immortalità temporanea |
Ultime parole sul palco | “Rock And Roll Will Never Die” |
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