Amata e riverita dai colleghi, addirittura venerata dal suo pubblico, Emmylou Harris è una vera e propria icona della musica country. La prima volta che Dave Matthews ha sentito la sua voce se ne è innamorato pazzamente, serbando nel cuore un grande desiderio: poterla incontrare e suonare con lei. Grazie alla serie Crossroads andiamo a rivivere i momenti più emozionanti di quel sogno divenuto realtà. 

 ©  Alamy Stock Photos

Due artisti innovatori, fortemente innamorati della tradizione

Sulle orme di Johnny & June

Dave Matthews lo sa: quando la lanterna magica della musica si accende, si infiamma lo sguardo dell’anima e si dimenticano tutte le tristezze. Una chitarra acustica, i dischi dei grandi autori americani e africani lo hanno salvato più di una volta in gioventù e durante l’inizio della carriera artistica. 

Il songwriter nato a Joannesburg ha visto con i suoi occhi gli orrori dell’apartheid e ha vissuto una terribile tragedia familiare, con la sorella uccisa dal marito, poi suicida. Di fronte a tanta desolazione le note di Johnny Cash e Hugh Masekela sono state prima un’epifania e poi un continuo conforto, un frammento di luce, un’eco di futuro, nonostante tutto.

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L’occasione della vita in una vita piena di occasioni diventa il suo gruppo, la Dave Matthews Band, con il quale costruisce il suo riscatto. Gli anni Novanta gli regalano fama e ricchezza, tuttavia ciò che lo gratifica maggiormente è coronare uno dei suoi sogni fin da ragazzino, suonare insieme alle persone che sono state più importanti per il suo sviluppo artistico. E sul finire del secolo, durante un All-Star Tribute all’Hammerstein Ballroom di NYC, guarda caso dedicato a uno dei suoi grandi eroi, un’altra occasione della vita si materializza.

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In una dimensione intima e sospesa, nella quale ci si sorprende a voler subito fare ritorno, partono i primi accordi di Long Black Veil, un classico della tradizione a stelle e strisce originariamente inciso da Lefty Frizzell e reso celebre proprio dall’indimenticabile Man in Black, uno dei Maestri per eccellenza insieme all’inseparabile moglie June Carter anche per la splendida Emmylou Harris. Quella sera tra lei e Dave scocca una scintilla, come se si fossero sempre conosciuti, ed è l’inizio di un’amicizia e di una collaborazione artistica che giunge fino a giorni nostri.

“È stato fenomenale trovarsi nella stessa stanza con la sua voce, una delle più insolite che siano mai esistite e una delle più belle”, ha raccontato Matthews in merito alla sua prima volta in compagnia della Harris. Un nuovo importante capitolo della meravigliosa partnership avviene invece in studio di registrazione, con una canzone altrettanto fondamentale nella loro storia…

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Red Dirt Girl, un disco memorabile

Red Dirt Girl (2000), vincitore del Grammy Award quale miglior album di folk contemporaneo, è un lavoro importante per la Harris. Dopo una vita vissuta principalmente da interprete, la regina di Nashville mostra la sua vena da cantautrice scrivendo, da sola o in compagnia di pregiati artisti, ben undici delle dodici tracce. My Antonia, ove suona pure la chitarra elettrica baritona, è tutta farina del suo sacco e vede in Dave Matthews una perfetta figura per un ammaliante ed emozionante duetto vocale.

Incantevole folk song dalle venature country, la composizione è basata sull’omonimo romanzo classico di Willa Cather del 1918, e utilizza la prospettiva dei personaggi del libro Jim e Antonia come sfondo per una storia sul rimpianto per il potenziale amore perduto. 

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La magia di questo brano risuonerà in tanti altri appuntamenti condivisi dalla coppia, a partire dal Tibet House Benefit alla Carnegie Hall (NYC, 2001) per arrivare al Lampedusa: Concert for Refugee (2017), nella data tenutasi a Seattle, al Moore Theater. Ma ci sono anche altre canzoni che scombussolano il cuore di Emmylou e Dave: interpretarle insieme è un po’ come fermare il tempo. Tutto passa, ma la bellezza che esprimono non ha età, resterà per sempre.

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Bellezza e vulnerabilità, passato e futuro in una manciata di canzoni senza tempo

Gulf Coast Highway (Nancy Griffith, 1988) è un piccolo capolavoro. Meriterebbe di entrare nel grande canzoniere americano del secolo scorso per le sue melodie dolci e nostalgiche, per le armonie struggenti. È una malinconica canzone d’amore che fa sentire il calore del sole sulla pelle, il pungente odore dell’aria salmastra e il silenzioso dolore di un’esistenza ben vissuta ma ormai in declino. Nel suo significato profondo ci ricorda di apprezzare i bei momenti prima che diventino solo un ricordo, mentre la lunga strada ormai percorsa si fa tortuosa. Un tema caro a Matthews, che la fa sua con trasporto, felice di avere una musa ispiratrice al suo fianco. 

Oh, Sister, dal repertorio di Bob Dylan, spicca per il numero di volte (12!) suonata insieme e rispecchia la profonda adorazione (una versione sincopata e sofferta di All Along the Watchtower rappresenta uno dei cavalli di battaglia di Matthews) nei confronti del menestrello di Duluth, che, peraltro, dopo averla registrata con la Harris per Desire (1976), l’ha inserita parecchie volte in scaletta solo fino al 1992, lasciando un vuoto che dura da più trent’anni. 

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La soffice e sognante The Maker (Daniel Lanois, 1989) è un altro pezzo da novanta, a cavallo tra folk, country, rock e world music, spesso performata con la Dave Matthews Band al completo.

Mercy incarna invece il classico esempio di quanto si sia affinato col tempo il songwriting di Dave. 

Merita poi un discorso a parte Angel from Montgomery (John Prine, 1971). Il motivo in questione, ripreso con ardore e audacia anche da Bonnie Raitt e Susan Tedeschi, è una riflessione dal punto di vista femminile sulla vecchiaia, quando arriva il momento di fare bilanci. Viene eseguito due volte, prima a Portland (2017), sempre per il Lampedusa: Concert for Refugee e infine recentemente, durante la quarantasettesima edizione dei Kennedy Center Honors, l’8 dicembre 2024, in quella che rimane l’ultima esibizione sul palco della coppia. 

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Gli artisti nel cuore di Emmylou & Dave in 25 anni di incroci

25 anni di incontri, 25 show (in solitaria o con altri musicisti per occasioni speciali, in tour con Dave Matthews & Friends o la DMB, e in quest’ultimo caso con la chicca pure degli acoustic set, periodo 2014/15), 54 performance spalmate su 19 canzoni: questi sono i numeri impressionanti di un connubio che forse avrebbe meritato anche un disco (mai dire mai!), ma ha sempre fatto tesoro di una delle regole non scritte nel mondo delle sette note, ossia il mantenere salda l’ispirazione, la naturalezza e la genuinità senza mai cadere nella routine. Le location più svariate, la scelta di importanti eventi di beneficenza o suggestive commemorazioni hanno reso costantemente sorprendenti le loro esibizioni.

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Abbiamo parlato di Johnny Cash e June Carter, tuttavia non possiamo dimenticare la comune passione per i mai troppo compianti Tom Petty e Jerry Garcia (con l’amore viscerale per i suoi Grateful Dead), l’adorazione per Willie Nelson, con il quale hanno condiviso più volte il palcoscenico, e The Band, probabilmente il gruppo più importante per la diffusione del genere americana, per merito del suo roots rock diversificato che attinge da blues, folk e country.

Nel solco della tradizione, ma libera, emancipata e con doti vocali uniche, Emmylou Harris è un’artista dalle mille sfaccettature. Cantante, musicista, compositrice, attrice e attivista, vanta una carriera incredibile, in cui non sono mancati frangenti difficili, tuttavia sempre vissuti con il coraggio di ripartire: andiamo a ripercorrerne le fasi salienti.

T99F7A Emmylou Harris, Nijmegen, Netherlands – 1976, (Photo Gijsbert Hanekroot)

Sensibilità, gusto e talento fenomenale: Emmylou Harris, storia di una predestinata

Gli inizi e l’amicizia con Gram Parsons

Birmingham, Alabama, dove è nata, il 2 aprile 1947, Cherry Point in North Carolina, infine Quantico e Woodbridge, Virginia: questi sono i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza per Emmylou Harris. 

Una vita sempre di corsa per lei, figlia di un ufficiale dei Marines, con un fratello maggiore letteralmente estasiato dalla musica country. Bellissima (durante il liceo viene eletta “Miss Woodbridge”), secchiona (“lo studio prima di tutto” è il suo motto) e musicalmente talentuosa, suona il sassofono nella banda del posto e, dopo aver scartato il piano, si butta a tutta forza sulla chitarra grazie a un regalo del nonno.

Con Joan Baez, Bob Dylan e tutta la scena folk dell’epoca nel cuore,

si trasferisce sul finire dei Sessanta a New York, nel Village, dove diventa amica di musicisti come Jerry Jeff Walker, David Bromberg e Paul Siebel. Il decennio successivo si rivelerà cruciale.

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La Harris rilascia il suo primo album, Gliding Bird, nel 1970. Pur con alcune canzoni originali, il disco si rivela molto derivativo e di certo, inoltre, non aiuta la bancarotta dell’etichetta discografica di riferimento. Emmylou ha il coraggio e l’umiltà di trasferirsi a Nashville, affrontando nello stesso tempo anche il divorzio dal marito.

Torna presto ad esibirsi con due musicisti locali, Gerry Mule e Tom Guidera di Washington D.C., ove in un secondo tempo si trasferisce. Proprio durante alcuni show nella capitale, viene segnalata a Gram Parsons, da poco separatosi dai Flying Burrito Brothers e alla ricerca di una vocalist per i suoi lavori solisti. Escono GP e il postumo Grievous Angel, sorta di vademecum del country secondo Parson, un originale miscuglio del genere con soul, R&B, gospel, folk e rock and roll. Pur nella tragicità della situazione, come vedremo tra poco, la Harris non perde la bussola e prova con tenacia a orientarsi in questo periodo travagliato.

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“Volevo essere Joni Mitchell”

Un’altra icona del panorama musicale a stelle e strisce, Joni MItchell, poetessa folk e signora del jazz, rimbomba nella mente di Emmylou, che trova nella parentesi con Parson una scuola importante. Senza una tecnica vocale specifica, ma con una voce unica e speciale, riesce a legarsi visceralmente alle canzoni di Gram. La sua morte per overdose il 19 settembre 1973 potrebbe sembrare la fine di tutto, ma ancora una volta la futura regina di Nashville ha dentro di sé la forza per andare avanti, e memore di quelle lezioni ricomincia l’avventura solista.

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Cronache di una discografia sconfinata, sintesi perfetta di istinto e passione

Occorrerebbe la stesura di un’enciclopedia per citare tutti i brani in cui è presente la voce di Emmylou Harris e nel prossimo paragrafo vedremo alcune delle infinite partnership con artisti di ogni genere. Qui ci limitiamo ad analizzare il meglio degli album pubblicati, ricordando anche la sua bravura nell’accompagnarsi spesso con l’adorata chitarra acustica e, in qualche caso, con quella baritona elettrica.

Elite Hotel (1975) si può considerare il vero debutto, che risente ancora dell’ala protettiva del mentore Parson. Con la commovente beatlesiana Here, There and Everywhere e la divertita Jambalaya di Hank Williams, dimostra di essere pronta ad entrare nell’Olimpo delle star, dando un saggio della sua classe e versatilità. Dopo l’incantevole Pieces of the Sky, arriva il successo commerciale di Luxury Liner, con la sua Hot Band all’apice della forma, senza rinunciare alla qualità. La Harris conquista il pubblico con una tracklist eclettica, riproponendo brani di Chuck Berry, della Carter Family, fino a una deliziosa versione di Pancho & Lefty, dal repertorio di Townes Van Zandt.

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A chi la accusava di non essere abbastanza country, Emmy risponde con Blue Kentucky Girl (1979), mentre un anno dopo Roses in the Snow è un tuffo nel passato, con musica old time e bluegrass.

Angel Band (1987) è un gioiellino acustico, At the Ryman (live con i Nash Rumblers, 1992) un picco della carriera, in cui tradizione e innovazione si fondono in modo naturale e la sua voce è già leggenda.

La liaison artistico-sentimentale con il celebrato producer Daniel Lanois partorisce nel 1995 un’opera controversa, Wrecking Ball, amata dalla critica e meno dalla fanbase. La classe della nostra Queen gira la partita a suo favore, con Orphan Girl, di Gillian Welch, e la sorprendente May This Be Love di Jimi Hendrix a dimostrare intensità ed eleganza.

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Arriviamo così al già citato, stupendo Red Dirt Girl, che vede la partecipazione anche di Bruce Springsteen, per chiudere in bellezza con Hard Bargain (2011), una chicca per palati raffinati prodotta dal geniale Jay Joyce, noto per il suo lavoro con Wallflowers, Amos Lee, Derek Trucks Band e Black Crowes.

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Da Bob Dylan a Mark Knopfler. Una carriera fitta di collaborazioni

I già citati Bob Dylan, Johnny Cash, John Prine e Willie Nelson rappresentano il fiore all’occhiello delle collaborazioni in studio o live di Emmy. Partecipare a sessioni con personaggi del calibro di John Denver, Rodney Crowell, Elvis Costello, Guy Clark, Vince Gill, Kris Kristofferson, Neil Young e Warren Zevon palesa quanto sia colorato il caleidoscopio musicale di una leggendaria interprete capace di riscoprire, negli anni, la sua vena autorale

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Gli album Trio (1987) e Trio II (1999), insieme alle amiche Dolly Parton e Linda Ronstadt, la forte connessione con Bonnie Raitt, Nancy Griffith, Sheryl Crow e Chrissie Hynde certifica inoltre una forte empatia con le colleghe, sempre senza alcuna rivalità.

Umile e generosa, la si può vedere anche al fianco di gruppi atipici come gli irlandesi Chieftains e i messicani Los Lobos o di guitar hero quali James Burton e Albert Lee, due virtuosi strettamente collegati alla straordinaria Hot Band.

Emmylou Harris con Mark Knopfler, Napoli, 2006  © Fabio Diena / Alamy Stock Photos

Parlando di virtuosi delle sei corde è ormai diventato un classico il disco All the Roadrunning (2006) e il conseguente tour dal vivo con Mark Knopfler, ben corredato dall’ottimo, imprescindibile CD/DVD Real Live Roadrunning.

Vedere l’ex Dire Straits imbracciare (fra le tante), le mitiche Gibson Les Paul Standard Burst 1958, Gretsch 6120 Chet Atkins 1957 e Fender Telecaster Blonde 1954 in compagnia della voce suadente della Harris è qualcosa di impareggiabile, tuttavia è altrettanto emozionante ascoltare Emmylou alla chitarra ritmica. Ma quali sono stati, durante la carriera, i suoi modelli preferiti?

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Le chitarre di Emmylou

“Nei concerti Emmy è la migliore chitarrista ritmica al mondo”, sostiene Buddy Miller, illustre cantautore statunitense e come dargli torto

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Da anni, infatti, la Gibson produce modelli Emmylou Harris Signature, come la L-200, una versione leggermente più piccola della classica SJ-200, la storica sei corde utilizzata dalla country singer nell’arco della sua vita artistica.

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Prevalentemente acustica (un altro marchio utilizzato in modo meno frequente è stato Martin), la Harris si è cimentata anche con una Fender Telecaster, fra le preferite di un personaggio molto affezionato a lei, con cui ha condiviso una pagina importante nella storia della musica. Stiamo parlando del grande Robbie Robertson: un’altra entusiasmante puntata di “Crossroads”, la rubrica speciale di Planet Guitar, sta prendendo forma!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati