Abbiamo incontrato Kenny Wayne Shepherd in occasione della sua unica data italiana di quest’anno, nella splendida cornice dell’Anfiteatro del Vittoriale per il Festival Tener-a-mente. Il bellissimo palco vista-lago del Vittoriale ha ospitato la nostra intervista con il grande chitarrista americano, che ci ha parlato dei suoi primi 30 anni di carriera e ci ha spiegato tutta la strumentazione che ha utilizzato per il tour europeo.
Planet Guitar: Amici di Planet Guitar, bentornati su uno dei palchi più belli d’Italia. Siamo all’Anfiteatro del Vittoriale per il Festival Tener-a-mente e sono sul palco con uno dei miei chitarristi preferiti, un artista blues contemporaneo che ha fatto molto per il mondo della chitarra, Kenny Wayne Shepherd. Grazie Kenny per essere qui con noi!
Possiamo dire che sei già considerato una leggenda nel mondo della chitarra, ma ti ricordi i tuoi inizi? Quali sono i tuoi primi ricordi con la chitarra?
Kenny Wayne Shepherd: Assolutamente sì. Ricordo che per tutta la vita sono stato attratto dalla musica che conteneva molta chitarra. Qualcosa dello strumento mi parlava. Così, quando ero piccolo, a quattro anni, mi regalarono queste piccole chitarre giocattolo di plastica con le corde di nylon. E su quelle ho imparato le prime note. Ho suonato molte di quelle chitarre fino a quando, all’età di sette anni, ho avuto la mia prima chitarra elettrica. A quel punto ho iniziato a esercitarmi molto, perché mi sembrava di avere una vera chitarra e un amplificatore. E ho iniziato a suonare per ore e ore e ore ogni giorno. Ricordo che andavo a scuola, tornavo a casa e suonavo la chitarra fino a quando non andavo a dormire. C’era qualcosa nel legame tra me e lo strumento che era molto bello. I miei amici erano fuori a fare altre cose e io volevo solo suonare la chitarra.
PG: Sei un musicista completamente autodidatta, giusto?
KWS: Sì, voglio dire, nessuno è mai completamente autodidatta. Io dico di essere un autodidatta perché ho fatto tutto questo lavoro principalmente da solo. Ma tutti imparano dagli altri. Per esempio, pensando ai miei artisti preferiti: ho imparato a suonare la chitarra ascoltando la loro musica. Avevamo un amico di famiglia, si chiamava Tommy Kramer, un amico dei miei genitori. Suonava la chitarra e mi ha insegnato a incordarla, ad accordarla, come fare il vibrato e cose del genere. Quindi, voglio dire, tutti, anche i più grandi del blues, hanno fatto così. Ho parlato con molti di loro, come Bobby Rush, con cui ho fatto l’ultimo disco. E Bobby dice che ha imparato a suonare la chitarra da un ragazzo che viveva nel suo quartiere. Quindi tutti imparano qualcosa da qualcun altro. In definitiva, però, non ho frequentato una scuola di musica per imparare a suonare. Ho imparato da solo.

PG: Ricordo di averti visto per la prima volta su YouTube in una tua esibizione dal vivo al David Letterman Show. Era il 1997, avevi 18 anni e suonavi Slow Ride. Ricordi il periodo in cui eri in tour con l’album Trouble Is…?
KWS: Oh, sì. Ci siamo divertiti. Non ricordo tutto perché è stato un vero e proprio susseguirsi di eventi. Ma sì, abbiamo fatto un sacco di cose. Siamo stati in molti programmi televisivi, abbiamo suonato in molti grandi concerti. Voglio dire, quello è stato un periodo molto speciale della mia vita, perché è probabilmente l’album di maggior successo commerciale che abbia mai realizzato. Blue on Black è stato un successo enorme negli Stati Uniti. Eravamo ovunque, continuamente. Quel disco e Ledbetter Heights, i miei primi due album, mi hanno davvero aiutato a costruire questa base di fan che ora mi sostiene da quasi 30 anni di carriera.
PG: 10 anni dopo, nel 2007, hai realizzato un progetto fantastico, un CD e un DVD dedicati ai pionieri del blues, 10 Days Out: Blues from the Backroads. Hai incontrato molte leggende del blues, ma c’è qualcuno che avresti voluto incontrare ma non hai avuto l’opportunità di farlo?
KWS: Beh, abbiamo suonato con musicisti incredibili. Non guardo a quel progetto e dico: “Vorrei che avessimo fatto questo o quello”. Penso che quel progetto sia perfetto così com’è. Abbiamo suonato con musicisti incredibili, alcuni molto noti, B.B. King, Hubert Sumlin, la band di Howlin’ Wolf, Pinetop Perkins, la band di Muddy Waters e altri musicisti blues di incredibile talento che non erano così famosi, ma avevano molto talento. Il mio obiettivo era quello di aiutarli a farli conoscere a un maggior numero di persone e credo che il progetto abbia raggiunto questo scopo.
PG: Stai continuando a suonare con leggende del blues, hai citato anche Bobby Rush, con cui hai realizzato il tuo ultimo album, Young Fashioned Ways. Quali sono i momenti migliori di questo album secondo te?
KWS: Beh, per me tutto l’album è un gioiello! Ogni canzone è incredibile. Bobby Rush, sai, ha 91 anni, ma canta ancora benissimo, suona l’armonica alla grande, è sul palco, intrattiene la gente, ha molta energia. E quindi si esibisce ha un livello molto alto. Quindi è stato davvero straordinario fare un disco con uno come lui perché, a 91 anni, Bobby fa parte di una generazione di musicisti blues che ha contribuito a creare il blues. Ha contribuito a trasformare il blues nella musica che ha ispirato persone come me a diventare quello che sono. Quindi non capita tutti i giorni che uno come me possa fare un album blues con uno come lui. È un album blues incredibilmente autentico perché c’è lui. E per me questo è incredibilmente eccitante. Penso che ogni canzone dell’album sia fantastica.

PG: E un’altra grande leggenda che hai ricordato è B.B. King, sei citato anche nella sua autobiografia. Hai avuto un rapporto speciale con lui? Quali sono i tuoi ricordi di B.B.?
KWS: Sì, la prima volta che ho incontrato B.B. ho fatto tre concerti di apertura per lui. Avevo 15 anni. L’ultimo spettacolo è stato il giorno del mio sedicesimo compleanno. E quella sera ho avuto modo di incontrarlo. Quello fu l’inizio di un’amicizia che durò molti, molti anni. Divenne come un padre adottivo per me. Ho fatto molte tournée con lui, ho suonato molti concerti con lui, ho partecipato a molti eventi speciali e cose del genere con lui. E non avrebbe potuto essere un esempio migliore. Ovviamente era il King of the Blues: sapeva suonare la chitarra e sapeva cantare in modo incredibile. Ma a livello personale, è stato un grande esempio per me perché era così famoso, ma non si è mai comportato come se fosse migliore di chiunque altro. E ha sempre trovato il tempo per me. E così mi ha fatto capire che questo è importante. È un grande esempio da seguire.
PG: Sempre a proposito di leggende, in Dirty On My Diamonds Volume 1 hai deciso di interpretare una canzone di uno dei miei idoli, Elton John, Saturday Night’s Alright For Fighting. Perché hai scelto questo brano? Non è un pezzo blues…
Sì, ma non suono solo blues! Ci piace anche il rock and roll, e credo che possiamo fare rock con i migliori. Elton è un artista poliedrico e sono amico del suo chitarrista storico, Davey Johnstone. In quel periodo Elton stava facendo il suo tour di fine carriera, Farewell Yellow Brick Road, ed è stato il nostro modo di fare cover di qualcuno che ammiriamo, apprezziamo la sua musica, ma sentiamo anche di poterne fare una buona versione. Penso che abbiamo fatto una grande versione di quella canzone e che sia stato un buon modo per concludere il disco.
PG: E sulla copertina di quei due dischi, Volume 1 e Volume 2, c’è un’auto bellissima. Sappiamo che le automobili sono una delle tue passioni: se dovessi scegliere un’auto e una chitarra, quale sceglieresti?
Beh, so quale chitarra: la mia Strat del 1961, perché è la mia chitarra numero uno, non riesco a immaginare la vita senza di lei. Per l’auto non lo so. Ho un’auto che ho preso un paio di anni fa, si chiama Dodge Demon 170 e la mia è un pezzo unico, ha una verniciatura molto speciale, è l’unica verniciata così al mondo. Ha mille e venticinque cavalli ed è incredibilmente veloce. Il fatto che sia un’auto unica nel suo genere e che io abbia potuto scegliere la verniciatura e tutto il resto la rende molto speciale per me, quindi probabilmente sceglierei quella.

PG: Nel 1995 hai pubblicato il tuo primo album, Ledbetter Heights. 30 anni dopo, chi è oggi Kenny Wayne? Come ti definiresti?
KWS: Beh, sento che sono ancora la stessa persona, ma sono solo diventato più vecchio e più saggio e forse un po’ più preciso nel suonare la chitarra. Sento però che avevo già la mia identità su chi volevo essere e sulla musica che volevo fare all’inizio della mia carriera e ho continuato a farlo nel corso degli anni.
Kenny ci spiega infine tutta la strumentazione che ha utilizzato per il tour europeo, a partire dalla pedaliera, passando per le sue chitarre (i suoi modelli signature di Fender Stratocaster) per arrivare poi all’amplificazione. Sicuramente qui troviamo l’aspetto più particolare di questa versione del suo rig: la presenza del Neural DSP Quad Cortex. Kenny ci ha spiegato come lo ha utilizzato per profilare due dei suoi amplificatori Dumble, per ottenere sempre il suo suono, evitando però il rischio di portare in giro per il mondo queste preziosissime testate. Come in ogni rig rundown, anche in questo la viva voce dell’artista aiuta a comprendere meglio come Kenny ha costruito il suo suono iconico e cosa ricerca in ogni elemento della sua strumentazione. Vi invitiamo quindi a vedere il video a inizio articolo per una spiegazione molto dettagliata.

Il concerto di Kenny Wayne Shepherd con la sua band è stato veramente fantastico e ci ha mandato in estasi (trovate il nostro racconto qui). Il nostro invito è quello di andare ad ascoltare dal vivo Kenny al suo prossimo passaggio in Italia: è un chitarrista eccezionale, con delle sonorità impressionanti e capaci di farvi vibrare.
Per averci permesso di realizzare questa intervista ringraziamo: Viola Costa, Serena Federici, Rita Costa e tutto lo staff del Festival del Vittoriale Tener-a-mente, oltre a Miki Mulvehill e Kristin Forbes del management di Kenny Wayne Shepherd e Dustin Sears, il suo guitar tech.

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