Immaginatevi a suonare come chitarra solista di fronte al più vasto pubblico televisivo di sempre, poi a improvvisare con l’uomo da molti considerato il miglior chitarrista della storia. Jennifer Batten ha fatto entrambe le cose, e molte altre. Oggi racconta a Planet Guitar di questi momenti straordinari e di quel che accade dietro le quinte.

Jennifer Batten
Credits: dpa picture Alliance / Alamy Foto Stock

PlanetGuitar: L’ultima volta che ci siamo visti cinque anni fa eri in tour con una band che suonava a eventi Michael Jackson Tribute, e nel 2019 hai iniziato a collaborare con il ballerino Rodrigo Teaser. Come si fa a creare uno spettacolo diverso dal solito?

Jennifer Batten: Non partecipo alla creazione degli spettacoli. Sono solo un’ospite e di solito suono una mezza dozzina di brani. Per realizzare un grande concerto devi avere musicisti di altissimo livello e, come nel caso di Michael, aggiungere il fattore sorpresa, con effetti speciali e schermi a LED, facendo succedere qualcosa di nuovo ed elettrizzante ogni cinque minuti. Uno spettacolo di quel tipo non è qualcosa che si organizza in un paio di giorni. Ho la fortuna di annoverare nel curriculum diversi concerti in tour con Michael; per questo posso partecipare agli eventi in tributo a lui. Inoltre le canzoni vengono eseguite in diverse tonalità e formati, sicché ho bisogno di un iPad che mi ricordi, per esempio, che stasera suoniamo Beat It in do diesis, altrimenti me lo dimentico! [Ride]

PlanetGuitar: Che accoglienza ricevono questi concerti?

J.B.: Un’ottima accoglienza. Ovviamente il pubblico molto giovane non ha mai avuto occasione di vedere Michael. Questo è quanto di più vicino ci sia alla sua wonderland. Sembra che lo spettacolo entusiasmi e commuova i presenti. Quando suoniamo Man in the Mirror vedo persone scoppiare in lacrime. Forse si sentono vicine a Michael. È una bella cosa.

PlanetGuitar: Beat It è uscita nel 1982 e non avete mai smesso di suonarla. Come riuscite a mantenerla attuale?

J.B.: Quell’assolo mi fa veramente sudare. Doverne venire a capo ogni sera è una sfida. Ci sono determinate armoniche che devono risaltare, e se non succede sono fritta. È un brano che apprezzo molto ovviamente, e l’assolo di Eddie Van Halen è uno dei migliori, con quelle consistenze sonore e quelle tecniche che lo rendono speciale. Tra tutti gli assoli creati, sono contenta di dover suonare la cover di questo. E con quelle 16 battute mi sono comprata casa! [Ridiamo entrambi].

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PlanetGuitar: Il tour Bad ti ha permesso inoltre di realizzare un tuo studio personale. Ce lo descriveresti?

J.B.: Alle pareti ci sono alcune foto molto belle di me in compagnia di Jeff Beck e Billy Gibbons, nonché di Michael e me al Superbowl [il concerto del 1983 visto in diretta da 1,4 miliardi di persone].

PlanetGuitar: E magari una Washburn Parallaxe in un angolo…

J.B.: Sì, sto usando una Parallaxe da qualche tempo. Sei mesi fa ho acquistato una John Suhr. Di solito mi piace usare sempre la stessa chitarra, ma stavolta mi sono davvero affezionata alla Suhr.

Suhr Classic S ST HSS MN OW

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PlanetGuitar: Un tour con Jeff Beck sarebbe stata la personale idea di paradiso per molti chitarristi. Ma per una tra i migliori chitarristi al mondo come te, cosa c’è ancora da imparare?

J.B.: Era di un altro pianeta. Non passavamo mai il tempo a improvvisare insieme o a parlare di strumenti. Con lui ho imparato ad ascoltare. Ogni tanto scherzavo dicendo che poteva ascoltare Ornette Coleman e subito dopo le Spice Girls trovando in ognuna qualcosa di interessante. Quando guardavamo insieme trasmissioni come British Idol lui si inalberava e imprecava, però notava cose che a me sfuggivano, come una certa equalizzazione del rullante o altri piccoli dettagli affascinanti.

A trascorrere ore accanto a lui in studio o in pullman c’era sempre da imparare qualcosa di prezioso. Per esempio, una volta ha detto: “Se hai un’ottima batteria e un ottimo groove, non ti serve altro.” È una cosa così zen, se pensi che la maggior parte dei chitarristi vuole fare tante cose tutte insieme! Lui ci metteva solo lo stretto necessario. Esplorava territori imprevedibili e ti trascinava con sé. Non ha ancora smesso di stupirmi.

PlanetGuitar: Ricordi qualche concerto memorabile?

J.B.: L’Italia era stata il nostro primo tour, e mi pare che in Sardegna il concerto si fosse tenuto direttamente sulla spiaggia. Era estate e suonavo con Jeff Beck. Se mai ho sentito di aver raggiunto un traguardo, è stato quella sera. Un evento magico.

PlanetGuitar: Come ricorderai Jeff?

J.B.: Non so esprimerlo a parole. Ho iniziato ad ascoltarlo quando avevo 13 o 14 anni e da allora è sempre stato il mio chitarrista preferito.

PlanetGuitar: Al Guitar Institute of Technology (GIT) hai incontrato il chitarrista jazz Joe Diorio: hai detto che ti ha influenzato molto.

J.B.: Sì, direi in modo analogo a Jeff. Prima di entrare al GIT ho partecipato a un simposio di un fine settimana organizzato dall’istituto e l’ho trovato troppo difficile per me, perché conoscevo solo le scale pentatoniche e gli accordi in chiave di basso, mentre tutti quei musicisti jazz parlavano di teoria e sostituzioni armoniche. Al termine del simposio ha suonato Joe e ne sono rimasta affascinata, perché era così spontaneo, così diverso dagli altri musicisti.

PlanetGuitar: A molti il successo fa perdere il controllo. Tu come mantieni i piedi per terra?

J.B.: Verso la fine della mia adolescenza tendevo a esagerare un po’ con l’alcol, ma quando ho compiuto 21 anni, al GIT, mi sono detta: “È ora di fare sul serio” e ho smesso di bere. Nei tre anni con Jeff Beck, però, ho bevuto più che in tutta la mia vita. Era praticamente un party ininterrotto! Quando ho smesso il mio fegato mi ha ringraziato. [Fa il gesto delle mani giunte e ride.]

PlanetGuitar: Musica a parte, sei sempre appassionata di vetrate colorate e steam punk?

J.B.: Non fabbrico vetrate colorate da tempo, ma c’è stato un periodo in cui avevo tre forni nel garage! Quando ho lasciato Los Angeles 20 anni fa mi sono presa un anno sabbatico, ho frequentato corsi di arte e ho imparato a realizzare vetrate colorate, vetro fuso e perle in ceramica. Ho venduto quasi tutto, ma i costi superano i guadagni. E quanto allo steam punk, se avevo un mese libero facevo cose pazze come dirigibili fantastici fabbricati con galleggianti per WC. Quelli in rame, in particolare, producevano ottimi risultati! [Ride].

Ho una band a Portland, la Jennifer Batten & Full Steam: ci vestiamo con costumi steam punk, e il tutto ha un che di intrigante. Mi piace come immagine.

Jennifer Batten
Credit: Alberto Gandolfo/Pacific Press/Alamy Live News

PlanetGuitar: Sei più felice sul palco o a casa?

J.B.: Deve esserci un equilibrio. Quando sono in viaggio mi lamento in continuazione. Ho esagerato un po’ con i viaggi per una decina d’anni e non vedevo l’ora di starmene a casa, poi è arrivato il Covid. Attenzione a quel che desideri!

PlanetGuitar: Possiamo aspettarci altre tue cose da solista?

J.B.: Mi servirebbe un mecenate! Occorre molto tempo e molto lavoro, e alla fine tutti riescono ad ascoltarti gratuitamente. Non c’è ritorno economico. Ho suonato nel duo Scherer & Batten con il cantante Marc Scherer; ero andata a Chicago per alcune sessioni e ne hanno chieste delle altre. Quello è stato facile, ma un progetto da solista… aaah! Mi piace il sistema in base a cui fai una canzone e la pubblichi su iTunes, ma anche lì ci guadagni due soldi all’anno, non ha senso.

Batten spiega che in estate ha in programma alcuni concerti ai festival con la sua band, per eseguire cover degli anni ’80. Al termine dell’intervista, tuttavia, stuzzica la mia curiosità dicendo che è in vista un possibile tour, ma non ne può parlare. Cerco di insistere, ma lei scuote la sua celebre testa ossigenata e ride sonoramente: “Nooo! È ancora troppo presto per parlarne!

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Paul Rigg