Nel cuore degli anni Sessanta una band cambiò per sempre il linguaggio della chitarra dal vivo. Uno dei suoi pezzi più celebri potrebbe non essere quello che pensiamo di conoscere. E persino il suo protagonista non è mai stato del tutto in pace con quel risultato. In quegli anni in Inghilterra c’era un fermento incredibile e tra nomi leggendari si fece strada un trio completamente nuovo che prometteva di riscrivere le pagine della musica e della chitarra. Eppure un degli assoli più iconici di Eric Clapton, di quel periodo nei Cream, è proprio uno di quelli che lui “odia” di più.

La nascita dei Cream e una visione diversa della musica
Quando Eric Clapton formò i Cream nel 1966 insieme a Jack Bruce e Ginger Baker, aveva in mente un obiettivo preciso. Dopo aver visto dal vivo il suo idolo Buddy Guy, sognava un trio blues che gli permettesse di esprimersi come chitarrista solista. Per questo lasciò i John Mayall’s Bluesbreakers e iniziò una nuova avventura.
Ciò che Clapton non aveva pienamente considerato era il retroscena musicale dei suoi futuri compagni. Bruce e Baker provenivano da solide esperienze jazz e immaginavano i Cream come una formazione di fusione tra jazz e rock. Una visione che li collocava tra i pionieri di una corrente che avrebbe incluso artisti come Miles Davis, Frank Zappa, i Free Spirits di Larry Coryell e Jeff Beck.
Bruce lo avrebbe poi raccontato con ironia dicendo che i Cream erano una sorta di band jazz e che Clapton non fu mai informato di essere il loro Ornette Coleman.
L’improvvisazione come linguaggio dei Cream
Come in una vera formazione jazz, l’improvvisazione divenne il fulcro dell’identità dei Cream. Nei concerti il trio portò il concetto di jam virtuosa al pubblico rock, trasformando l’esecuzione dal vivo in un territorio di esplorazione musicale.
Questa attitudine si riflette chiaramente negli album dal vivo e in studio come Wheels of Fire, Goodbye, Live Cream e Live Cream Volume II. Brani come Spoonful, Toad, I’m So Glad, N.S.U., Sweet Wine e Steppin’ Out raggiunsero durate insolite per l’epoca, testimoniando la libertà espressiva del gruppo.
Il solo di Eric Clapton che ha fatto scuola
Tra tutte le jam dei Cream, Crossroads è senza dubbio la più celebre. Registrata dal vivo il 10 marzo ’68 al Winterland di San Francisco e pubblicata su Wheels of Fire, dura appena quattro minuti e diciotto secondi, una durata sorprendentemente contenuta rispetto ad altri brani del repertorio.
In quei pochi minuti Eric Clapton offre uno dei suoi assoli più celebrati. Sei chorus di chitarra costruiti con frasi memorabili, melodiche e intense, lontane dall’esibizionismo fine a se stesso. Linee talmente incisive da poter essere ricordate e persino cantate. La loro importanza è tale che Eddie Van Halen imparò quegli assoli nota per nota.

Il mistero della versione più lunga
La domanda sorge spontanea. È possibile che esista una versione più lunga di Crossroads?
Secondo il produttore Tom Dowd, che lavorò con Eric Clapton nei Cream, nella carriera solista e con i Derek and the Dominos, la risposta è sì. In un’intervista del 1985 per Guitar Player, Dowd raccontò che molte esecuzioni live finirono accorciate in fase di montaggio. Durante le registrazioni tra il Fillmore e il Winterland di San Francisco, Crossroads veniva suonata sul palco per almeno sette o dieci minuti. Le parti solistiche tra le voci vennero quindi ridotte, senza però alcun intervento di sovraincisione.
A distanza di decenni, tuttavia, nessuna versione non editata è mai emersa. Inoltre, altre incisioni live di Crossroads tratte dal tour d’addio dei Cream nel millenovecentosessantotto presentano la stessa struttura e una durata simile, incluse le esibizioni al Forum di Los Angeles, al San Diego Sports Arena e alla Royal Albert Hall.
Uno smarrimento di Eric Clapton o un taglio di studio
C’è però un dettaglio che continua ad alimentare i dubbi. Intorno al minuto due e quarantaquattro della registrazione di Wheels of Fire, sembra che Clapton anticipi il tempo e che il gruppo perda per un istante il riferimento ritmico principale. È un recupero magistrale dopo un momento di smarrimento o il risultato di un montaggio non ideale?
Lo stesso Eric Clapton non ne era certo. Nell’intervista con Dan Forte per Guitar Player ammise di non ricordare se il brano fosse stato accorciato e confessò di non amare particolarmente quella performance. Spiegò che durante le jam capitava spesso di perdere l’uno del tempo e di ritrovarsi a suonare su accenti sbagliati. Quando percepiva questo tipo di errore, non riusciva più a godersi l’assolo, anche se il gruppo riusciva a uscirne compatto.
Un capolavoro nato dalla tensione
Che Crossroads sia stata editata o meno resta un mistero. Ciò che appare chiaro è il rapporto complesso di Clapton con i Cream. Lui immaginava un trio blues, mentre Bruce e Baker inseguivano una visione più libera e jazzistica. Da questa tensione nacque però una musica unica.
Alla fine, al di là della durata e delle imperfezioni percepite dal suo autore, Crossroads rimane una delle più grandi testimonianze di chitarra nella storia del rock. Un brano che continua a raccontare come anche il disagio possa trasformarsi in leggenda.
Contenuti correlati:
* Questo post contiene link affiliati e/o widget. Quando acquistate un prodotto tramite un nostro partner affiliato, riceviamo una piccola commissione che ci aiuta a sostenere il nostro lavoro. Non preoccupatevi, pagherete lo stesso prezzo. Grazie per il vostro sostegno!
- Considerato uno dei suoi migliori assoli, a lui non piace - 8. Dicembre 2025
- Jimmy Page, le qualità nascoste dei session man e l’elogio a uno dei più grandi - 7. Dicembre 2025
- Il figlio di Van Halen rinuncia al concerto: assoli impossibili? - 6. Dicembre 2025






