Sly Stone, leggendario leader degli Sly and the Family Stone e figura fondamentale nello sviluppo di funk, soul, rock psichedelico e R&B, è scomparso il 9 giugno all’età di 82 anni. L’annuncio è stato dato dalla sua famiglia con un comunicato ufficiale, che ha ricordato con commozione il carisma e l’impatto musicale ineguagliabile dell’artista.
“È con profonda tristezza che annunciamo la scomparsa del nostro amato papà, Sly Stone. Dopo una lunga battaglia contro la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e altri problemi di salute preesistenti, Sly è venuto a mancare serenamente, circondato dall’affetto dei suoi tre figli, del suo più caro amico e della sua famiglia allargata”, si legge nella nota. “Mentre piangiamo la sua assenza, troviamo conforto nella consapevolezza che la sua straordinaria eredità musicale continuerà a ispirare generazioni future”.
Un pioniere senza tempo
Nato Sylvester Stewart nel marzo del 1943 a Denton, Texas, e cresciuto nella Bay Area in California, Sly Stone iniziò a cantare sin da piccolo nel coro della chiesa insieme ai fratelli. Negli anni ’60 divenne DJ per la radio KSOL di San Francisco, oltre che produttore discografico e musicista polistrumentista. Nel 1966 formò gli Sly and the Family Stone, un gruppo destinato a cambiare per sempre il volto della musica americana.
La band divenne celebre non solo per l’eclettico mix di generi, funk, rock, soul e psichedelia, ma anche per la composizione rivoluzionaria: uomini e donne, bianchi e neri, insieme sullo stesso palco. In un’America ancora segnata da forti tensioni razziali, il gruppo rappresentava una visione di armonia e integrazione.
Tra i loro brani più famosi ci sono Dance to the Music, Everyday People, Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin), Family Affair.
Il capolavoro assoluto del gruppo, l’album There’s a Riot Goin’ On del 1971, è considerato uno dei dischi più influenti della storia del rock e del funk, specchio delle inquietudini e dei conflitti dell’America post-anni ’60.
Declino di Sly Stone e ritiro dalle scene
Dopo anni di successi, la carriera di Sly Stone fu offuscata da problemi personali e dall’abuso di droghe, che portarono allo scioglimento della band nel 1975. Nonostante alcuni tentativi solisti negli anni ’80, Sly si ritirò quasi completamente dalla vita sociale, apparendo raramente in pubblico.
Memorabile la sua partecipazione ai Grammy Awards 2006 con I Want To Take You Higher, che fu la prima esibizione in quasi vent’anni.
Nel 1993 entrò con la band nella Rock & Roll Hall of Fame, e nel 2025 fu protagonista del documentario Sly Lives! (The Burden of Black Genius), diretto da Questlove. Solo due anni fa aveva pubblicato un libro di memorie che aveva suscitato grande interesse.
Un’eredità incancellabile
Sly Stone ha lasciato un’impronta enorme su tutta la musica afroamericana e pop mondiale. Insieme a James Brown, George Clinton e Prince, è ritenuto uno dei padri del funk moderno. Il suo sound ha influenzato profondamente il rock psichedelico degli anni ’70 e, decenni dopo, l’hip-hop: artisti come Dr. Dre, Tupac, OutKast e The Notorious B.I.G. hanno campionato le sue tracce centinaia di volte.
La sua band vanta 17 successi nella Billboard Hot 100, di cui cinque nella top 10 e tre al primo posto, oltre a nove album nella Billboard 200.
Il futuro di Sly Stone: un film in arrivo
Prima di morire, Sly aveva terminato la sceneggiatura della propria autobiografia cinematografica, un progetto che la famiglia ha promesso di condividere col pubblico nei prossimi anni, a completamento del suo memoir uscito nel 2024.
Nel concludere il messaggio di addio, la famiglia ha ringraziato “per l’amore e le preghiere ricevute” e ha auspicato “pace e armonia a tutti coloro che sono stati toccati dalla sua vita e dalla sua musica iconica”.
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