Gli Squid hanno iniziato a pubblicare brani nel 2017 e sono cresciuti esponenzialmente fino a rientrare nelle prime 4 posizioni delle classifiche del Regno Unito con il loro primo album Bright Green Field nel 2021.

Credits: Alex Kurunis

Nell’album uscito il 9 giugno il quintetto, composto dal cantante e batterista Ollie Judge, dai chitarristi e vocalist Louis Borlase e Anton Pearson, dal bassista e trombettista Laurie Nankivell e dal tastierista Arthur Leadbetter, continuano a creare strane sonorità e un’incredibile intensità con la loro tecnica tagliente e stratificata che molti considerano totalmente innovativa.

Planet Guitar dà il benvenuto ai chitarristi Louis e Anton, che sono felicissimi di raccontare come ha preso forma l’ultimo album, composto nello studio di Peter Gabriel, e come il brivido della paura abbia finito per ispirare una delle loro migliori esibizioni live di sempre.

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PG: Il vostro nuovo album dalle sonorità futuristiche si intitola O Monolith. Cosa vi ha suggerito questo titolo?

Anton Pearson: Ci siamo prefissi di fare cose deliberatamente ambigue, e in un certo senso questo rappresentava la grande impresa che volevamo mettere in atto.

Credits: Alex Kurunis

Louis Borlase: Il monolite appartiene sia alle società antiche sia a quelle moderne. Può essere una formazione geologica oppure il frutto di una costruzione umana. Ci interessava molto quest’aspetto.

PG: Quali sono le differenze nello stile musicale rispetto a Bright Green Field?

Louis Borlase: È più ricco e maggiormente basato su melodie interconnesse. Non è lontanissimo dai progetti che abbiamo realizzato in precedenza, ma la nostra speranza è che ne rappresenti lo sviluppo. C’è molto da fare.

PG: Per il vostro primo album avete tratto l’ispirazione da libri e film. Si può dire lo stesso anche per questo?

Anton Pearson: Sì, sia nei testi che nella musica. È un po’ complicato stabilire da dove provenga l’ispirazione, perché scriviamo sempre le cose insieme e le suoniamo senza discutere molto le nostre idee.

PG: In Bright Green Field avete usato i suoni di un fagotto medioevale e di una porta in metallo del produttore Dan Carey. C’è qualcosa di simile anche qui?

Louis Borlase: Roger Bolton e i suoi campionatori Fairlight sono molto presenti. Roger e Arthur si sono fatti una chiacchierata in un pub vicino ai Real World Studios di Peter Gabriel, cercando di capire come inserire questo strumento nella struttura vera e propria. Ha introdotto un elemento enigmatico: il suo suono è un notevole arricchimento.

Credits: Alex Kurunis

PG: Ho letto che il brano Undergrowth è stato scritto dalla prospettiva di una “vita ultraterrena in una cassettiera”, secondo Ollie Judge. Puoi dirci qualcosa di più?

Louis Borlase: È esattamente così! [Ride].

Anton Pearson: A livello di testi, Ollie ha iniziato a interessarsi a tematiche animistiche.

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Louis Borlase: Per un po’ non ho capito cosa significasse. Non mi sembrava importante parlarne. Quel pezzo era da tempo presente tra noi in varie forme e aveva attraversato diverse reincarnazioni liriche prima di arrivare alla sua versione finale. Non c’è un basso in questa canzone. La linea di basso è suonata da un sintetizzatore, cosa che non avevamo mai fatto prima. Così Laurie era libero di suonare la tromba e noi potevamo fare qualcosa di nuovo.

PG: The Blades ha un finale più morbido di quel che ci aspettavamo. È stata una decisione collettiva?

Anton Pearson: Sì. Louis e io abbiamo iniziato a suonare il riff a ripetizione, e c’erano un sacco di code di riverbero su quel finale. Ogni volta che lo suonavamo la sequenza era diversa. Non penso che avessimo mai deciso cosa intendevamo fare: la registrazione dell’album ha fermato quel momento preciso.

PG: Mi è piaciuta molto Siphon Song, con i suoi testi robotici distorti. Parla dell’alienazione?

Louis Borlase: Sotto certi punti di vista. Ma è più che altro una sensazione di stanchezza da compassione generata dall’assimilazione di notizie online, specialmente quando ti trovi lontano dalla famiglia e dagli amici per lunghi periodi.

PG: Un altro pezzo forte è If You Had Seen The Bull’s Swimming Attempts You Would Have Stayed Away. Com’è nato questo titolo?

Anton Pearson: In Irlanda abbiamo conosciuto un tizio soprannominato “The Bull”, “il toro”. Un personaggio formidabile che ci è rimasto impresso nella memoria.

Louis Borlase: Era totalmente sbronzo! [Tutti ridono].

Anton Pearson: …ma era anche molto simpatico ed è stato di ottima compagnia.

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PG: Anton, tu di solito usi una Fender Duo Sonic e una Telecaster, Louis una Burns Marquee e una Fender Jazzmaster; per O Monolith avete preso in considerazione qualche cambiamento?

Anton Pearson: Sì, Dan ha una bella Stratocaster di fine anni ’70 che ho preso in prestito per la maggior parte delle registrazioni.

Louis Borlase: Nessuno ha chitarre per mancini, quindi devo per forza usare la mia!

Fender AV II 73 STRAT MN LPB

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PG: Ripensando alle vostre origini, cosa vi ha spinto a suonare la chitarra?

Louis Borlase: Credo avessi circa 12 o 13 anni. Mio padre suona ed è mancino anche lui, quindi c’era sempre una chitarra in casa. Ho iniziato imparando alcuni brani di Brian Adams e dei Led Zeppelin.

Anton Pearson: Avevo 8 o 9 anni quando a Natale mia nonna mi regalò una chitarra acustica con corde di nylon. Dai 12 ai 18 anni ho avuto la fortuna di avere un buon insegnante di chitarra, Jack Torn.

PG: In seguito vi è stato offerto uno spazio per le prove in un jazz club. Forse perché il proprietario sapeva che improvvisate e suonate una tromba?

Louis Borlase: Non avevamo una tromba all’epoca, perché Laurie non era ancora entrato nella band. Più che altro, John Easterby era un nostro caro amico che gestiva un locale a Brighton, il The Verdict, e a quei tempi permetteva alle giovani band di usare gratuitamente i suoi spazi, lasciando che tenessero per sé il ricavato dei biglietti. È stato di grande aiuto, nonché una persona importante nella nostra formazione.

Credits: Wikimedia Commons



PG: Bright Green Field è sembrato un bel salto di qualità. Il riscontro ottenuto vi ha sorpresi?

Anton Pearson: Ogni singolo passo ci ha sorpresi. Prima dell’uscita di The Dial avevamo detto al nostro manager che la nostra ambizione era di tenere un paio di concerti all’estero. Non ci eravamo mai prefissi di farne il nostro lavoro; ci sentivamo già fortunati ad aver incontrato certe persone e ad avere il tempo e lo spazio per fare musica insieme. Inoltre la pandemia aveva reso strana l’atmosfera in cui l’album era uscito, quindi nemmeno pensavamo a suonare dal vivo e vedere la risposta del pubblico. Forse tutto questo ci ha fatto bene, non so.

PG: Lavorate in collaborazione, ma avete fondato un’etichetta indipendente, la INK, per dare libero sfogo alla vostra creatività individuale. È così che speravate di lavorare?

Louis Borlase: Siamo così presi dagli Squid che non stiamo facendo molto a livello individuale. Non stiamo pubblicando cose a parte. Ma è bello che WARP ci abbia concesso questo spazio per progetti personali. Nella band, nessuno arriva dicendo: “Ho qui una canzone che ho scritto, impariamola.” Ognuno porta un suo frammento e gli altri aggiungono le proprie idee.

PG: Cheryl Waters ha detto notoriamente su KEXP che quella degli Squid è stata una delle migliori esibizioni live che avesse mai sentito…

Anton Pearson: È stato molto gentile da parte sua. Era un concerto di fine tour, ed eravamo davvero molto stanchi. Eravamo arrivati in auto al mattino, senza fare colazione, ed eravamo tutti molto nervosi in vista dell’esibizione. C’era una forte energia delirante che siamo riusciti a incanalare nella musica.

Louis Borlase: Pensavo che sarebbe stato un disastro! Quando l’ho riguardata in seguito l’ho trovata una performance fantastica, considerato il fatto che non avevamo quasi dormito…

PG: Nella vostra musica colgo elementi dei Talking Heads, dei Can e dei Radiohead, ma molti dicono che vi state ritagliando un vostro spazio unico. È quello che pensate anche voi?

Anton Pearson: Grazie!

Louis Borlase: Le nostre influenze cambiano in continuazione. Ogni volta che iniziamo un nuovo progetto musicale abbiamo in mente un’idea particolare a cui rifarci. Ma ora è tutto molto aperto, e continua a esserlo sempre più…

Tra l’altro, il monolite è anche il simbolo di una porta verso il futuro. Dove è diretto il viaggio degli Squid? Louis risponde che la band vuole vedere se i brani di O Monolith piacciano al pubblico e quanto siano difficili da suonare dal vivo.
Anton aggiunge che gli Squid hanno in programma molti festival estivi e un tour europeo che inizierà a settembre e a cui faranno seguito una tappa nel Regno Unito in ottobre e un tour in America a febbraio 2024. “Grazie ragazzi. È un periodo elettrizzante per voi!”, conclude Planet Guitar.

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Paul Rigg