Abbiamo avuto l’opportunità di salire sul palco di San Siro ospiti di Peter Cornacchia e della produzione di “Marco negli stadi 2025”, il tour di Marco Mengoni, per un’intervista esclusiva. Con Peter abbiamo parlato delle sfide legate a lavorare in una produzione così grande e complessa, della strumentazione adeguata per farlo e di come “produzione pop” non significhi poche chitarre e pochi suoni…
Planet Guitar: Ciao Peter, oggi siamo su un palco particolare e non solo perché siamo a San Siro, ma perché siamo su un palco diviso in 2… Come si fa a suonare in una situazione simile?
Peter Cornacchia: Ciao e benvenuti sul palco! Dal mio lato ho la fortuna di avere la parte ritmica, almeno quella acustica, per cui quando mi trovo in difficoltà, soprattutto in stadi “difficili”, questo riferimento fa molto comodo. In realtà ovviamente ho sempre il click nell’in-ear, ma talvolta non è così semplice da seguire… Quando mi trovo ad esempio a suonare nella buca del palco vicino ai woofer le cui vibrazioni hanno un leggerissimo ritardo rispetto al click, è molto complesso non farsi trasportare.
P.G.: Cosa hai scelto di sentire dal mix nelle tue in-ear?
P.C.: Io mi affido molto al fonico di palco -in questo caso Valerio Motta-, ma in generale mi piace ascoltare il mio strumento come è nel mix fuori. La parte di studio delle mie parti la faccio in sede di allestimento, quando si arriva agli show deve essere tutto automatico… Sento quasi tutto come lo sente il pubblico, ma ho tanta cassa e il click per le ragioni di cui prima e per il fatto che a volte non è scontato che riescano a coprire il pubblico che canta!
P.G.: In un mix così complesso, con tanti strumenti e con sequenze, come si fa a trovare il proprio spazio?
P.C.: Va fatta una premessa: noi facciamo una sorta di viaggio in ogni show, che attraversa gli oltre 10 anni di carriera di Marco Mengoni che quindi si portano dietro i suoni che sono stati concepiti da vari chitarristi: Alessandro “Doc” De Crescenzo per citare un amico, Michael Landau e altri, me compreso chiaramente. Bisogna tenere in equilibrio quindi il proprio suono con le esigenze del direttore musicale e della produzione
P.G.: In questo caso siete 2 chitarre elettriche sul palco, come vi coordinate con le parti tu e Massimo Colagiovanni?
P.C.: Io e Massimo ci conosciamo dal 2008, abbiamo studiato insieme e abbiamo sempre avuto un grande rispetto l’uno dell’altro, il che ci fa andare facilmente d’accordo. Fortunatamente non siamo due chitarristi con manie di protagonismo, quindi di solito concordiamo le parti anche nella maniera logisticamente più semplice (pensando ad esempio alla strumentazione o all’accordatura usata nel pezzo precedente per ridurre i tempi tecnici tra i brani).
P.G.: È giunto il momento di raccontarci un po’ la tua strumentazione… cosa hai portato con te sul palco?
P.C.: Io porto da sempre una Hiwatt David Gilmour signature, con cui ho fatto tutti i tour di Marco, perché è potente, pulita e versatile. Il volume tra l’altro lo tengo veramente alto… Ho chiaramente i medi più spinti per facilitare l’uscita sui medi.
Come spare un’altra Hiwatt, la Pete Townshend signature, mentre la mia main guitar è una Paoletti Stratosferic HSS, una chitarra molto versatile. E poi giusto due pedali…
È un sistema in realtà piuttosto semplice che parte da uno switch radio/cavo per andare in wireless quando non sono in postazione. Dopo il volume ho un compressore di Costalab di cui ho anche il Labyrinth che mi permette di comandare tutto senza toccare nessun pedale (a parte lo switch del Digitech Pitch Shifter Whammy Ricochet per passare da Octaver a Harmonizer). Dopo il compressore ho uno Xotic RC Booster, un RJM Overture e il mitico Vemuram Jan Ray Overdrive che ha un timbro incredibilmente profondo.
Ho poi il fuzz di casa Kernom che mi avete consigliato voi… E con cui faccio addirittura un assolo, perché non è vero che in uno show pop non si suonano i fuzz! Poi qualche grande classico: Strymon Mobius e Big Sky e il TimeFactor di Eventide e infine un EQ Programmabile di Source Audio.
Ho poi una pedalboard spare che spero di non dover mai usare, ma qualora fosse necessario è lì… Insomma, la strumentazione è tanta ed è complessa e sarebbe veramente difficile far andare tutto per il verso giusto senza l’aiuto dei backliner.
P.G.: Sfatiamo quindi un mito: produzioni pop non significa chitarre e strumenti semplici!
P.C.: Esatto! Grazie ragazzi, alla prossima.
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