Il 19 maggio del 1945 nasceva a Londra in Inghilterra Peter Dennis Blandford Townshend, fondatore, leader, chitarrista, seconda voce solista e principale autore dei The Who, uno dei gruppi rock più influenti degli anni Sessanta e Settanta. Polistrumentista autodidatta (è in grado di suonare infatti anche tastiere, banjo, fisarmonica, armonica, ukulele, mandolino, violino, sintetizzatore, basso e batteria), Pete Townshend è considerato uno dei più grandi chitarristi di sempre. Ha ricevuto inoltre diversi premi alla carriera e compare stabilmente nelle classifiche dei migliori chitarristi della storia stilate dalle riviste del settore. In occasione del compleanno di questa leggenda vivente, vi invitiamo ad ascoltare e imparare Baba O’Riley con l’aiuto di Paul di Guitar Tutorials!
Presente stabilmente nella formazione dei The Who fin dal loro disco d’esordio del 1965, My Generation, Townshend è anche autore delle due rock opera che impreziosiscono la discografia del gruppo inglese, Tommy e Quadrophenia, album di cui sono state realizzate anche delle versioni cinematografiche.
Negli show della band, Townshend sviluppò uno stunt in cui faceva oscillare il braccio destro contro le corde della chitarra, in uno stile che ricordava le pale di un mulino a vento. Pete Townshend ha creato questa mossa dopo aver osservato il chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards riscaldarsi prima di uno spettacolo. E così, è diventata una delle sue movenze più note.
In occasione del suo settantanovesimo compleanno celebriamo il suo stile e il suo impatto per il mondo della chitarra rock analizzando uno dei brani più noti dei The Who, Baba O’Riley.
Una pietra miliare del rock: Who’s Next
É il 1971 quando i The Who pubblicano il loro quinto disco, destinato a diventare uno degli album chiave del rock degli anni Settanta. Nato dalle ceneri di Lifehouse, un progetto di rock opera che puntava a fondere rock e teatro ma che si rivelò irrealizzabile per l’epoca, il disco ne recupera alcune delle tracce. Ben 8 delle 9 in scaletta facevano parte infatti di Lifehouse e composte da Pete, fa eccezione solo My Wife, scritta dal bassista John Entwistle. L’album contiene alcuni dei migliori brani della produzione dei The Who.
Tra i più noti ci sono sicuramente Behind Blue Eyes e Won’t Get Fooled Again, ma l’intero disco è ormai considerato il miglior lavoro della band, soprattutto per la produzione rock di alto livello, in grado di inserire con successo anche i sintetizzatori nel sound del quartetto.
La copertina dell’album è una fotografia, scattata alla Easington Colliery, della band che sembra aver appena urinato su un grande monolite di cemento. L’idea di scattare la foto venne a Entwistle e Keith Moon, che discutevano di Stanley Kubrick e del film 2001: Odissea nello spazio, uscito al cinema tre anni prima. La band pare infatti che fosse stata contattata per comporre delle musiche per il film. Secondo il fotografo Ethan Russell, solo Townshend aveva effettivamente urinato contro il monolite, quindi fu versata dell’acqua piovana per ottenere l’effetto desiderato. John Kosh, il direttore artistico, aggiunse il cielo sullo sfondo in un secondo momento, per dare all’immagine quella che Russell definì “una qualità ultraterrena”.
Ora è il momento di dedicarci al brano di apertura del disco, Baba O’Riley.
Baba O’Riley: un pezzo memorabile
Baba O’Riley si apre con un ostinato intro di sintetizzatore e tastiera, diventato ormai iconico e immediatamente riconoscibile, che prosegue per tutta la durata del brano. La voce di Roger Daltrey canta la maggior parte del testo, tranne i versi “Don’t cry / don’t raise your eye / it’s only teenage wasteland“, interpretati invece da Townshend.
Curiosamente e grazie a questo verso, il brano è conosciuto anche come Teenage Wasteland. In realtà, è stato solo il titolo provvisorio della canzone durante la realizzazione di Lifehouse ed è diventato poi il titolo di un altro brano di Townshend. Non è chiara l’ispirazione per questa parte del testo. Tuttavia, a detta del chitarrista, potrebbe essere un riferimento alla desolazione e disperazione del pubblico di teenager del festival di Woodstock, che lo aveva colpito particolarmente. Il passaggio non andrebbe letto come una celebrazione dell’adolescenza, come invece spesso lo interpretano. Il titolo scelto è invece un omaggio a due delle figure che avevano avuto una forte influenza su Pete Townshend in quel periodo: il maestro spirituale indiano Meher Baba e il compositore minimalista Terry Riley.
La strumentazione
L’idea originale del chitarrista era infatti quella di inserire i segnali vitali del maestro spirituale nel sintetizzatore e trasformarli quindi in musica. Townshend ha invece poi ottenuto il suono per l’intro registrando un organo Lowrey Berkshire Deluxe TBO-1 e utilizzando la funzione di ripetizione della marimba (uno strumento musicale a percussione di tipo idiofono che ha origini africane), ispirandosi ai principi compositivi del minimalismo di Riley.
Per quanto riguarda il resto della strumentazione utilizzata da Townshend, non mancano le sorprese. A differenza di quanto si poteva vedere in un live della band di quel periodo, in cui Townshend suonava prevalentemente una Gibson SG (di cui è presente anche una versione signature, realizzata solo in 250 esemplari dal Custom Shop di Gibson nel 2000) e amplificatori Hiwatt, in studio durante le registrazioni è utilizzata una chitarra Gretsch modello 6120 Chet Atkins del 1959, assieme ad un amplificatore Fender Bandmaster dello stesso anno. Completavano la strumentazione un pedale volume Edwards Light Beam e un cavo jack di marchio Whirlwind. Elementi identificati da Townshend come fondamentali per il suo suono, in grado di attenuare le frequenze più alte e taglienti della Gretsch e ridurre il classico twang della chitarra. Tutta la strumentazione era un regalo ricevuto da Joe Walsh nel 1970.
Un dettaglio esaltante delle sue esibizioni
A proposito di strumentazione, ovviamente Pete è anche noto per un momento particolarmente esaltante delle sue esibizioni: quello in cui, in uno sfogo di ribellione giovanile estrema, distrugge irrimediabilmente la sua chitarra e, a volte, anche i suoi amplificatori. Pete, che è stato tra i capiscuola e forse vero “maestro” di questo aspetto delle esibizioni nel rock, era spesso seguito e imitato anche dai suoi compagni di band, come ad esempio nel finale dell’esibizione di My Generation al Monterey Pop Festival del 1967 (proprio lo stesso festival in cui Hendrix decise invece di “sacrificare” la sua chitarra), o come testimoniato in questa carrellata di momenti live. A quanto pare, questo momento era diventato talmente essenziale nelle sue esibizioni da trasformarsi quasi in un problema, soprattutto in occasione di più show nella stessa giornata.
Come ha recentemente confessato a Jimmy Fallon (trovate qui sotto l’estratto di quell’intervista), in quei casi Pete era arrivato al punto di dover incollare i pezzi della sua chitarra, appena demolita nell’ultimo concerto, per poter riproporre la distruzione dello strumento in tutte le esibizioni. Questo dettaglio può sembrare assurdo, iperbolico, irrealistico o in ogni caso frutto di una sua esagerazione, ma a quanto sembra Pete non poteva proprio fare a meno di distruggere tutto alla fine delle sue performance, quindi non fatichiamo a credergli.
L’estratto d’intervista
Baba O’Riley è tuttora uno dei brani più noti dei The Who. Spesso è usato anche in ambito cinematografico come parte della colonna sonora di film o episodi di serie tv. La canzone è entrata però definitivamente a far parte della cultura pop degli anni 2000 grazie all’utilizzo nell’opening di CSI: New York. Memorabile è stata anche la performance della band alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra del 2012, in cui Baba O’Riley è stato il brano di apertura del medley.
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