Allan Holdsworth, scomparso nel 2017 a settant’anni, è indiscutibilmente nel pantheon dei geni della chitarra dell’era moderna. La sua musica rappresenta una sintesi tra vari stilemi e linguaggi limitrofi ed affini al jazz, dalla fusion al prog rock. Corrado Rustici, altro fuoriclasse e innovatore della sei corde, prova una sorta di venerazione per l’ex membro dei Soft Machine e riesce a coinvolgerlo, agli inizi del secolo, in un suo brillante progetto. Così, come spesso capita nel mondo delle sette note, da un’importante collaborazione scaturisce pure una bella amicizia. Per “Crossroads”, la rubrica dedicata agli incroci tra grandi artisti, ecco un’altra affascinante storia da raccontare!
Corrado e Allan, una musica che va oltre le note
Un alieno della chitarra
“Amavo Holdsworth e lo conoscevo molto bene, lui ha veramente costruito un pianeta a sé stante, di difficile comprensione e categorizzazione. Allan decise di non seguire le orme del blues, di andare oltre. Il risultato fu una forma di jazz aliena, proprio perché spogliata da alcune radici profonde, come quelle del blues. Era musica nuova”.
Estratto da “Corrado Rustici – Io Sono Corrado”, intervista su ondarock.it, 2018
Una delle più belle collaborazioni di Corrado Rustici nasce quando pochi se l’aspettano. Il tanto adorato chitarrista Allan Holdsworth arriva in sala d’incisione all’improvviso, con sguardo sornione e piglio gagliardo, felice come un bambino, per registrare il suo assolo in un brano dell’album Deconstruction of a Postmodern Musician (2006). Ma non possiamo parlare di un qualcosa che si può organizzare in maniera semplice, pensando alla facilità dei cosiddetti featuring di questi ultimi tempi, dove quelle partnership rappresentano più che altro una moda e non avvengono per affinità elettive, ma, spesso, solo per questioni di portafoglio.
Negli anni Settanta, nel periodo in cui Holdsworth si destreggia tra Soft Machine, U.K. e Bruford, gli Steely Dan di Donald Fagen e Walter Becker, forti di una profonda ammirazione nei suoi confronti, cercano a più riprese di coinvolgere Allan nei loro progetti, tuttavia sempre senza successo. Doveva scoccare una scintilla, crearsi una condizione e un’atmosfera particolari per convincerlo a partecipare.
Per Corrado si tratta quindi di una grande soddisfazione avere a disposizione la sei corde dell’istrionico e talentuoso britannico in Tantrum to Blind, un brano che parte dalla forza delle radici comuni per scoprire frontiere sempre nuove.
L’estasi di Tantrum to Blind, il dolore di The Man from Yorkshire
La bellezza armonica di Tantrum to Blind: un saliscendi emozionale in due assoli di diversa matrice
Il viaggio, l’ignoto, l’avventura, il sogno: sono i quattro punti cardinali della vita di Allan e Corrado, artisti illuminati e svincolati da qualsiasi paragone con il mondo chitarristico. E sono anche sintesi di Tantrum to Blind, una sorprendente scorribanda in un mondo parallelo con due guitar solo mozzafiato: si passa da geometrie frasistiche di ardua codificazione e abbagliante velocità sino ad approdare a temi di più largo respiro, con squarci melodici di matrice italiana, per tornare alle “agitate”, intriganti e movimentate progressioni del tema iniziale.
Geniali e controcorrente, Rustici e Holdsworth vivono momenti di forte empatia durante le sessioni in studio, ricordando i vecchi tempi, i loro primi incroci e riflettendo sui possibili scenari musicali futuri.
“Ho incontrato Allan quando, come parte della mia band fusion Nova, vivevo e andavo in tournée in Inghilterra negli anni Settanta. Siamo sempre rimasti in contatto, così quando stavo registrando Deconstruction l’ho chiamato per chiedergli se fosse interessato a partecipare a una delle mie composizioni. Fortunatamente il brano gli è piaciuto e ha accettato di suonarci sopra”.
Estratto da intervista su ultimateguitar.com, 2021
Un’amicizia costruita nel tempo, basata su una profonda e reciproca stima si rinsalda. Quando la musica va oltre le note.
Tuttavia il destino, purtroppo, ha in serbo una brutta sorpresa…
“Dedicated to a.H.”
Niente faceva presagire l’improvvisa scomparsa di Allan, in una tiepida giornata di metà Aprile nel 2017. Solo pochi giorni prima si era esibito al 10 Twenty Prime di San Marcos in California, a poche miglia da Vista, ove risiedeva, ma un maledetto infarto non gli ha lasciato scampo.
Corrado trova dentro di sé, all’interno della sua arte, la forza per rendere omaggio a un uomo che è stato così importante per la propria esistenza. Nasce così spontaneo il brano The Man from Yorkshire (dall’ultimo, splendido Interfulgent), accorato tributo a uno dei padri fondatori della jazz fusion, principale figura di riferimento del linguaggio personale di Rustici.
Per non dimenticare. Mai.
Tutto in onore di Allan, l’uomo dello Yorkshire
The Man from Yorkshire (Dedicated to a.H.) ricalca nella sua stesura quell’universo degli accordi impossibili che incarna il patrimonio di Holdsworth, del quale è catturata l’essenza. In suo onore il chitarrista napoletano realizza pure una versione al SynthAxe (il genio britannico è stato precursore di tale strumento) che evidenzia ancor più l’originale linea armonica e regala un assolo fluido, come se miracolosamente uscisse da un sassofono e ricordando a tratti proprio uno dei recenti cavalli di battaglia di Allan, Downside Up.
Un ulteriore omaggio davvero sentito ed emozionante al musicista che, insieme a John McLaughlin, ha maggiormente influenzato Corrado Rustici.
Lo stesso McLaughlin ha elogiato in modo eloquente il collega Holdsworth, arrivando con sincerità a definirlo “un pioniere della fusion tecnicamente straordinario, con uno stile distintivo ottenuto per merito di un modo sciolto e disinvolto di suonare che lo ha reso inimitabile”.
Ma qual è stato il tragitto di quest’uomo talentuoso e tormentato, la cui arte seguiva i percorsi esistenziali? Andiamo ad analizzare le fasi salienti della sua carriera…
Allan Holdsworth: l’incredibile storia di un grande innovatore
Violino, sassofono o chitarra?
Allan vede la luce il 6 agosto 1946 a Bradford, contea di West Yorkshire nel Regno Unito, figlio di Vera Holdsworth e Joshua Hollins, militare canadese subito rientrato in patria dopo la sua nascita. Il pargolo viene cresciuto dai nonni materni, Elsie e Sam, e la passione di quest’ultimo per il jazz forgia tutta l’infanzia e l’adolescenza del nipote. Il violino e il sassofono sono i suoi amori iniziali, in realtà mai dimenticati, ma a diciassette anni la chitarra prende il sopravvento nelle passioni del ragazzo, trasportato da leggende del calibro di Django Reinhardt e Charlie Christian.
John Coltrane gli rimane comunque nel cuore e nei fraseggi a sei corde si ispira a lui per raggiungere territori alternativi, dove il tempo sembra correre con regole diverse. Le prime esperienze professionali avvengono a fine sixties nel circuito dei club del nord Inghilterra con la Glen South Band, e poi macina note su note con gruppi quali ‘Igginbottom e Sunship. La prima vera svolta avviene però con Ian Carr (dedicheremo a riguardo un paragrafo a parte) e i Tempest dell’incommensurabile John Hiseman, quando ormai scorre il 1973.
I meravigliosi anni Settanta: dai Soft Machine ai Gong
Allan Holdsworth si trova in un momento cruciale per la sua carriera. Scegliere la chitarra come suo strumento principale gli ha comportato di assistere direttamente alle innovazioni timbriche di Jimi Hendrix, ma la sua continua ricerca espressiva si svincola sorprendentemente dall’universo pentatonico del blues. “L’uomo dello Yorkshire” decide di rischiare: fa un passo indietro rispetto alla tradizione della chitarra jazz per compierne immediatamente due avanti.
Un salto nel buio, fuori dal mondo della sei corde, prendendo ispirazione dal violino e dal modello fiatistico, per ritornarci a piedi ben saldi con un diverso e unico approccio. La chitarra di Allan si trasforma in un sassofono e nel suo fraseggio l’attacco delle note è leggero, le corde sono colpite dal plettro occasionalmente e lo scorrere delle note segue un andamento fluido.
Holdsworth continua a sviluppare e migliorare la sua tecnica nell’incursione jazz prog dei psichedelici Soft Machine (Bundles, 1975), completamente “rivoluzionati” dall’entrata in pianta stabile di un chitarrista, e prosegue le sue gesta nei mitici New Lifetime di Tony Williams (Believe It e Million Dollar Legs, 1976), al posto di John McLaughlin e Ted Dunbar. La parentesi con l’istrionico Jean Luc Ponty (Enigmatic Ocean, 1977) è il preludio ai Gong di Pierre Moerlen con tre album fondamentali quali Gazeuse, Expresso II (1978) e Time is the Key.
Le capacità compositive di Allan sono in continuo rialzo, a partire dal rinnegato album d’esordio solista Velvet Darkness (1976), e la sua versatilità e ingegnosità alla chitarra lo fanno collaborare con i soggetti più disparati, da Bill Bruford, per i progetti Bruford e U.K., a Gordon Beck (Sunbird, 1979), con il quale fa ancora capolino un amore mai sopito, il violino, naturalmente suonato elettrico.
Un lungo e vorticoso decennio, in cui nascono i grandi tormenti, le prime insoddisfazioni nei confronti degli agenti discografici e dei musicisti suoi compagni di viaggio, entrambi colpevoli di voler intrappolare la genuinità di una musica senza schemi e confini, con “l’anti eroe” Holdsworth sempre pronto a scoperchiare ogni tentativo di ingabbiamento e allineamento. Ci penseranno gli anni Ottanta ad avviare la sua cospicua discografia individuale.
La straordinaria carriera solista
Titolare di una carriera solista che conta una dozzina di album in studio intervallati a innumerevoli collaborazioni, Holdsworth vive un buon momento creativo, anche dal punto di vista live, nel decennio 1983-93.
Dopo I.O.U. (1982), primo segno distintivo della propria direzione musicale, viene rilasciato Road Games, grazie allo zampino di un suo grande fan, Eddie Van Halen, che gli apre le porte di una major quale la Warner, con la produzione esecutiva del carismatico Ted Templeman. Allan ottiene l’attenzione della scena internazionale, tuttavia emerge ancora una volta la sua repulsione al controllo artistico, esercitato in questo caso da Templeman.
Allan si sente un leone in gabbia e, ferito ma feroce, firma una serie di album straordinari con altre etichette discografiche a lui più consone. Arrivano l’adrenalinico Metal Fatigue (1985), la sperimentazione con il SynthAxe di Atavachron (1986), seguiti da un’interessante serie di lavori e progetti, fra cui Wardenclyffe Tower (1992), che vedono al suo fianco i migliori musicisti del settore: Jimmy Johnson, Gary Husband, Vinnie Colaiuta, Chad Wackerman, Alan Pasqua e Frank Gambale sono solo alcuni dei nomi importanti presenti in questa decade ricca di pagine di musica epica. E il postumo Live in Japan 1984 è uno dei tanti documenti dal vivo imperdibili.
Hard Hat Area (1993) raggiunge probabilmente il picco creativo dell’artista britannico, che proprio nella title track sciorina, inarrestabile, piroette chitarristiche di alta scuola. Meritano infine una menzione The Sixteen Men of Tain (2000) e Flat Tire: Music for a Non-Existent Movie (2001), ultime sue fatiche prima di Tales from the Vault (2016), curiosa (e di difficile reperibilità) serie di brani inediti registrati tra il 2000 e il 2012 con sovraincisioni del momento, sorta di regalo finale di un personaggio unico, che nell’arte amava sfidare, sorprendere il pubblico e trovava nell’osare la più profonda ispirazione.
Le sue collaborazioni più intense e inaspettate
Gli interscambi e la grande empatia con il compagno d’avventure Jack Bruce, lo scontro fra Titani del rispettivo strumento con Stanley Clarke (1988), l’incredibile liaison con i fratelli Johansson (1996) ben descrivono le buone attitudini a cooperare di Holdsworth, da molti definito freddo e schivo, tuttavia sempre pronto a mettere anima e cuore nelle sue note durante le sue collaborazioni.
Restano indimenticabili gli incendiari assoli su Forest of Feeling di Jeff Watson, nel primo album solista Lone Ranger (1992) dell’ex Night Ranger, e si rivelano infuocate le insospettabili session con Krokus (1986), Level 42 (1991) e Gorky Park (1996).
Non mancano, infine, altre partnership di grande intensità con artisti sui generis come Alex Masi, Derek Sherinian (2004) e l’amico Paul Korda (2009).
Allan si contraddistingue per essere un musicista a tutto tondo, introverso e a tratti contraddittorio, forse per la troppa purezza con cui affronta con coraggio lo showbiz: dopo il trasferimento in California, a metà anni Ottanta si trova in disagiate condizioni economiche ed è costretto a cedere alcuni dei suoi equipaggiamenti e delle sue attrezzature migliori, comunque senza mai di pensare di svendersi commercialmente, come dimostrano queste collaborazioni genuine, anche sorprendenti, ma mirate e sentite.
Belladonna: un disco dimenticato di una bellezza infinita
Belladonna è certamente una chicca da riscoprire: scorrono i primi anni del Settanta e l’irrefrenabile Holdsworth dimostra chiaramente il perchè sia diventato una leggenda della chitarra contemporanea.
Il trombettista scozzese Ian Carr assaggia un pizzico di celebrità nel ’69 alla guida dei Nucleus, poderoso ensemble di progressive rock, jazz fusion e funk psichedelico. Tuttavia è nel progetto solista pubblicato nel 1972, Belladonna, a toccare l’apice, aiutato da uno stuolo di “sidemen” incredibili e da un chitarrista in stato di grazia, Allan Holdsworth.
Sebbene l’ispirazione includa senza dubbio il seminale In a Silent Way di Miles Davis, le sei composizioni presenti impiegano deliberatamente formule armoniche jazz più accessibili e convenzionali e un tempo circolare, nonostante le sue astrazioni. Si odono influenze classiche, bebop tradizionali e suggestioni pop, come se Stravinsky, Thelonius Monk, Howard McGhee e Maynard Ferguson avessero incontrato i Beatles e gli Who.
In tutto il disco emergono le mille sfaccettature di Holdsworth: “gioca” con i pedali wah-wah (Belladonna e Mayday), impone una ritmica estremamente inventiva (Summer Rain e Remadione) e si distingue per assoli da lasciar senza fiato (Hector’s House), a metà strada tra jazz, prog e psych rock in un lavoro che non scende a compromessi né in termini di qualità né di immaginazione creativa.
Le chitarre di AH
Appassionato di ciclismo e birra (sua l’invenzione di una pompa per birra specializzata, la Fizzbuster), Holdsworth è uno degli ultimi talenti contemporanei della scrittura compositiva. Fine curatore del dettaglio tecnico, è maestro indiscusso della sei corde, tanto da esser definito “chitarrista per chitarristi”, per quanto il suo stile, la sua ingegnosità e creatività abbiano influenzato una pletora di virtuosi, capitanati da Eddie Van Halen (la sua tecnica del tapping deve tanto ad Allan) e Steve Vai.
La Gibson (nello specifico la SG) e la Fender (alcune Stratocaster), in seguito le Ibanez e Steinberger sono alcuni dei marchi utilizzati durante le varie fasi della sua carriera, caratterizzata pure dall’incredibile avventura vissuta con il Synthaxe, il controller MIDI applicato alla chitarra creato da Bill Aitken, Mike Dixon e Tony Sedivy.
Steinberger Guitars GT-Pro Deluxe BK
Negli ultimi decenni le Carvin e infine le Kiesel (dopo la separazione nel 2015 da Carvin corporation) diventano il riferimento per Allan, che già a metà anni Novanta comincia a collaborare con Mark Kiesel per sviluppare una linea di chitarre signature. Nel 1996 viene messa a disposizione la Carvin H1, con corpo e manico in ontano e pickup Holdsworth H22. La H1T è dotata di ponte tremolo Wilkinson, mentre le H2/H2T si distinguono per avere 2 pickup. Da allora sono usciti diversi modelli basati sui progetti di Holdsworth, comprese le varianti headless (per questa variante è nota anche la partnership con il liutaio Bill Delap, specializzato pure in chitarre acustiche e baritone) e MIDI synth.
Gotoh Wilkinson VS100N-HBK Tremolo
Un sodalizio fruttuoso, continuato fino alla sua scomparsa, con una costante evoluzione e miglioria del prodotto per soddisfare il palato esigente di questo eccezionale artista, sempre alla ricerca di nuove soluzioni.
E proprio questo suo continuo tendere all’infinito, cercando assiduamente di spostare gli orizzonti chitarristici con scale diverse e inaspettate, con un sound e un playing mai sentiti, ha catturato fin dal loro primo incontro un (allora) tredicenne già completamente immerso nella musica per via di papà: stiamo parlando di Dweezil Zappa.
“Crossroads”, la serie speciale di Planet Guitar, è pronta per vivere un altro entusiasmante episodio della rubrica!
Stay tuned
To be continued…
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