Risalgono agli anni ’60 le prime documentazioni della famosa del “mulinello” sulla chitarra. Keith Ricards, Pete Townshend, Jimi Hendrix sono solo alcuni di quelli che hanno eseguito questa spettacolare mossa sui palchi di tutto il mondo. Oggi scopriamo la storia, almeno in parte, di questo speciale gesto tecnico e cerchiamo di risalire alla sua prima esecuzione, al suo inventore e alla giusta tecnica per eseguirla.

C’è chi suona la chitarra con delicatezza e chi, come Pete Townshend, la prende a schiaffi con una violenza quasi rituale. Il celebre chitarrista degli Who ha trasformato un semplice gesto tecnico in un’esplosione scenica che ha fatto la storia del rock: il windmill, ovvero il celebre colpo a mulinello.
Per eseguirlo, si alza il braccio come una pala di mulino e lo si fa ruotare in un arco completo, colpendo le corde della chitarra con una forza tale da rischiare seriamente la propria integrità fisica, ameno per quanto riguarda la mano. E secondo Townshend, questo è il modo giusto di farlo:
“Il metodo giusto è sanguinare. La tua mano e il plettro devono connettersi con le fottute corde”
Dichiarava senza mezzi termini in un’intervista a Guitar Player nell’ottobre 1989.
L’origine del mito: Richards o Townshend?
Nonostante sia diventato il suo marchio di fabbrica, Pete Townshend non si è mai preso il merito di aver inventato il windmill. Secondo lui, il primo a farlo fu Keith Richards dei Rolling Stones, durante una delle prime performance della band, nel 1964.
“All’epoca gli Who fecero da gruppo spalla agli Stones per due concerti,” raccontò Townshend in una celebre intervista a David Letterman nel 2012. “Quando si aprì il sipario, vidi Keith fare quel movimento col braccio. Pensai: ‘Wow, è una figata!’ Pensavo fosse parte del suo stile.”
Qualche settimana dopo, Townshend cercò il momento del mulinello in un’altra esibizione degli Stones in un club di Londra, ma Richards non lo eseguì. Alla prima occasione utile, gli chiese perché avesse smesso. La risposta, racconta, un semplice “Cosa?” quasi a dire “‘Davvero pensi che io abbia bisogno di fare quella roba’?”
Richards, dal canto suo, in un’intervista a Guitar Player dell’aprile 1983, minimizzò: “Non mi sono mai preso il merito, ma a quanto pare lui ha detto che ha preso quel movimento col braccio da me. Non ricordo di averlo fatto, ma se lui lo dice…”
Una volta che Richards si tirò fuori, Townshend si sentì libero di fare del mulinello la sua firma. E ne fece una vera arte.
Il “mulinello” come punteggiatura sonora
Con gli anni, Townshend perfezionò il mulinello al punto da usarlo come un’esclamazione musicale. Negli anni d’oro degli Who, durante i concerti, lo riservava per i momenti più esplosivi: basti pensare al colpo di apertura di Baba O’Riley, che mandava in delirio il pubblico già dalla prima nota.
Con una Gibson SG Special, o più tardi una Fender Stratocaster, Townshend trasformava la fisicità in ritmo, diventando una macchina da spettacolo. Ma quel gesto atletico aveva un prezzo.
“Appena attaccavamo Baba O’Riley, facevo djaaang, swing, swing, e tutte le mie unghie si spezzavano completamente. E da lì in poi ero in agonia per il resto del tour,” raccontava nel 1989. “La mia mano pulsava di notte, non riuscivo a dormire.”
E non finisce qui. “Se hai un dito tagliato e fai il mulinello, il sangue ne esce a fiotti, va dappertutto sulle corde.” Uno spettacolo quasi gladiatorio, lontano anni luce dalla precisione chirurgica di tanti virtuosi della sei corde.
Fare le cose sul serio
Townshend è molto critico verso chi cerca di imitare la mossa senza comprenderne la brutalità. “Ho visto un sacco di gente fare oscillare il braccio, ma nessuno lo fa bene,” ha detto. Il motivo? Secondo lui, molti aprono le dita e colpiscono le corde in modo superficiale. “Tu non apri le dita. Devi colpire, col plettro e con la mano. Se non sanguini, lo stai facendo male.”
E non basta: “Devi saperlo fare sia verso il basso che verso l’alto. Farlo dall’alto è facile, ma se provi a farlo risalendo… la corda ti si infila sotto l’unghia, te la scava indietro, te la strappa e fa poing, all’indietro. Se sbagli.”
La tecnica n’del mulinello: un’ eredità (quasi) abbandonata
Col passare degli anni, anche il guerriero del palco ha dovuto fare i conti con il dolore. “Non voglio più farlo. È un altro esempio di come ho sviluppato un modo di lavorare che è invalidante,” ammette Townshend, che soffre di acufeni da anni, dovuti ai volumi spropositati con cui ha sempre suonato.
Eppure, anche oggi, sul palco, Pete Townshend ogni tanto non resiste: il mulinello compare ancora nei live degli Who — solo eseguito con un po’ più di cautela.
Mentre la band si prepara a quello che potrebbe essere il suo ultimo tour americano, previsto per agosto e settembre 2025, Townshend ha confessato che il live “non gli riempie più l’anima.” Ma non esclude del tutto il ritorno sul palco, magari fuori dagli Stati Uniti.
Nel frattempo, la sua leggenda continua. E ogni volta che un chitarrista solleva il braccio in cerchio per colpire le corde, da qualche parte, in qualche modo, il mulinello di Townshend prende di nuovo vita.
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