Spirito di innovazione e libertà contraddistinguono due guitar hero atipici, Stanley Jordan e Tim Reynolds, veri fuoriclasse della sei corde. Il primo vanta una carriera stratosferica, che lo ha portato ad affermarsi come uno dei nomi più importanti della chitarra elettrica moderna fin dalla metà degli anni Ottanta. L’altro, virtuoso dal gusto raffinato e la grande tecnica, ha spopolato in una delle rock band fondamentali di questi ultimi decenni, oltre ad aver intrapreso una serie di progetti entusiasmanti. I loro pirotecnici incroci, proprio al cospetto della Dave Matthews Band, non potevano mancare in una puntata della nostra serie Crossroads. Si dia il via alle danze!

Chitarra e Libertà. Due menti geniali spopolano nell’universo a sei corde
Metti, una sera a…un concerto della Dave Matthews Band
C’è chi viaggia per partire e chi viaggia per tornare. Chi per scoprirsi, chi per ritrovarsi. E poi c’è chi viaggia lasciandosi scivolare nelle canzoni, cullato dalla musica che porta in mondi lontani nel tempo e nello spazio. Tutto sta nel trovare il disco giusto al quale affidarsi. E di dischi memorabili, brani su cui viaggiare liberi e distanti dalla frenesia di questo pazzo pazzo mondo, Stanley Jordan e Tim Reynolds ce ne hanno regalati tanti.
Il re del tapping a due mani è ancora al top dopo una carriera vorticosa, con capisaldi quali Magic Touch (1985) e Friends (2011), mentre il guitar hero della Dave Matthews Band è sempre sulla cresta dell’onda con questo gruppo, grazie al quale ha lasciato pagine memorabili a partire da Under the Table and Dreaming.
Praticamente coetanei, entrambi nella loro vita artistica si sono evoluti, trasformati, tuttavia hanno mantenuto la propria identità: quella voglia di sperimentare che nasce dal corpo come materia viva, in continua evoluzione. Non hanno mai lavorato partendo da passi predefiniti, ma da una ricerca libera, che si nutre di scoperta. E proprio durante un concerto della DMB hanno avuto occasione di toccare l’apice musicale dei loro incontri, stabilendo un forte contatto emotivo proseguito in altri show indimenticabili.
Can’t Stop: uno dei momenti Top
Scorre il 2012 e la Dave Matthews Band si sta godendo l’ennesimo successo del suo tour americano. Iniziato il 18 maggio in pompa magna a The Woodlands, nel Texas, esattamente una settimana dopo, il 25, fa tappa a Hartford, Connecticut, concedendo il bis il giorno seguente nella medesima location, il Comcast Theatre.
Spaceman e Lie in Our Graves presentano lo stesso ospite in queste due date: Stanley Jordan.
È l’inizio dell’apoteosi, che tocca uno dei momenti più belli nello show successivo a Scranton, Pennsylvania, in Can’t Stop. Gli scambi con Tim Reynolds, sotto gli occhi di un compiaciuto e tarantolato Dave Matthews sono spettacolari, ai confini della jazz fusion. La ormai mitica Vigier Arpege Series II si intreccia per l’occasione con la Fender Stratocaster Black. Le chitarre prendono magicamente vita guidate dai due maestri: volteggiano, gorgheggiano, giocano a rimpiattino e scalpitano come bambine curiose, impazienti di uscire allo scoperto.
Momenti memorabili, come d’altronde l’incendiaria jam di un anno dopo, prima di Grace Is Gone, durante l’esibizione nello storico Alpine Valley Music Theatre a East Troy, Wisconsin. Pure qui qualcosa di incredibile, mozzafiato. Un cerchio che si chiude.
Le canzoni eseguite in due anni vissuti magnificamente
Stanley Jordan è stato spesso ospite della DMB nel 2012 e nel 2013, partecipando a ben tredici diversi concerti. Il chitarrista nato a Chicago ha contribuito ad alcune versioni live di Rhyme & Reason, uno dei brani più sofferti di Under the Table And Dreaming. Il suo caratteristico tapping si adatta perfettamente a questa canzone, come ai ritmi sognanti di The Dreaming Tree, un’incredibile danza ipnotica di sedici minuti, e all’incantevole incedere prog rock di Raven, arricchita da interludi dissonanti e intricate contromelodie che sono una lezione di alta scuola di matrice jazz.
Anche la ritmica rilassata di Cry Freedom, la dolcezza di Spoon e la freschezza compositiva giacente in Fool to Think ben si prestano alla variegata tavolozza di colori presente nelle note dei due axeman, mentre lo storico bis con la cover di Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) rimane negli annali come una delle esibizioni più pazze del gruppo, con Tim sugli scudi a reggere da solo tutto l’impeto chitarristico del pezzo, uno Stanley carico a mille (si metterà a ballare salendo poi anche sugli amplificatori) prima ai cori e poi all’acustica prestatagli da Dave, il quale salta e danza come un canguro impazzito!
Un connubio perfetto, insomma quello tra Jordan e Reynolds, che ha trovato la sua urgenza e le sue tematiche migliori sul palcoscenico della Dave Matthews Band. La loro amicizia e stima reciproca, tuttavia, nascono molto prima. Una così grande affinità ha infatti un’importante storia iniziale. Andiamo ora a scoprirla…
Quel piacere di suonare insieme nato tanto tempo fa
19 Novembre 2005: ecco la prima volta in assoluto che Tim Reynolds e Stanley Jordan suonano insieme, senza nemmeno conoscersi (e questo la dice lunga sull’incredibile empatia subito creatasi), a Nags Head, in North Carolina.
Il merito è di un’associazione benefica locale, The Kids In Dare Support, che li assolda per raccogliere fondi.
Al termine dei due set separati, Stanley invita Tim on stage e i due magicamente improvvisano estasiati prima di lanciarsi in una spettacolare Here Comes the Sun, legati entrambi da una grande passione per i Beatles. Ma non è finita qui…
24 Marzo 2012: se la precedente condivisione del palco è Il seme da cui nasce una profonda sintonia, la successiva dà il la alla fruttuosa partnership con la Dave Matthews Band di pochi mesi dopo.
Questa volta non sono in solitaria, ed è Jordan, quando ormai si è abbondantemente oltre mezzanotte, a unirsi a Reynolds e al suo gruppo, i TR3, per una folgorante jam session di 20 minuti. Il locale è il noto Port O’ Call a Kill Devil Hills, sempre in North Carolina.
Uno spettacolo fantastico, di cui, come abbiamo visto, rimane un piccolo clip a memoria, un tassello importante nella carriera di Tim, di cui ora ci accingiamo ad approfondire le fasi più salienti.

Rodolfo Sassano / Alamy Stock Photos
Tim Reynolds: storia di un musicista geniale
Straordinario polistrumentista, imbattibile con la chitarra
Tim Reynolds nasce il 15 dicembre 1957 a Wiesbaden, in Germania, dove è di stanza suo padre, che sta prestando servizio nell’esercito statunitense. Una fattoria nell’Indiana, le basi militari in Alaska, nel Kansas e nel Missouri, sono gli altri luoghi dell’infanzia del ragazzo, prima di diventare abbastanza grande da scegliere personalmente il suo cammino.
Grazie alla sorella maggiore si innamora fin dal primo istante dei Beatles e a dodici anni sa già suonare chitarra e basso. Dopo il diploma di scuola superiore, si trasferisce nel Midwest, e Il suo talento lo conduce presto a incontrare quelli che sarebbero diventati altri due membri della Dave Matthews Band, Carter Beauford e Butch Taylor, nella fusion band Secrets a Richmond, in Virginia.
Successivamente approda a Charlottesville, dove trova confidenza tra appassionati di jazz, fusion e musica sperimentale. La città, sede universitaria di gran spicco, si rivela un ambiente accogliente per espandere le sue capacità artistiche. Con Jimi Hendrix, Carlos Santana e Led Zeppelin nel cuore, forma il suo power trio e negli anni Ottanta furoreggia in vari locali, attirando le attenzioni di un altro personaggio in cerca d’autore, Dave Matthews. Sarà l’inizio di un sodalizio vincente anche se Tim, da vero spirito libero, inizialmente partecipa alle sessioni in studio e si esibisce come ospite negli show della Dave Matthews Band senza diventarne membro ufficiale.
A tutta DMB
Negli anni Novanta il “folletto stravagante” furoreggia sempre con il suo trio, i Tim Reynolds Three, o TR3, avvalendosi di una formazione di musicisti a rotazione, e continua a imparare a suonare altri strumenti, tra cui il violino, il sitar, il sarod, il mandolino, il didgeridoo, le tastiere, le tubular bells e altre percussioni, diventando molto abile nella programmazione e sequenza della drum machine.

Un artista completo, che lascia il suo contributo in tutti i dischi storici della Dave Matthews Band, da Under the Table and Dreaming a Before These Crowded Street, sino finalmente a diventarne ufficialmente parte a cominciare dal bellissimo e sottovalutato Away from the World. Anche l’ultimo (al momento, ma a breve verrà ufficializzato un nuovo lavoro) Walk Around the Moon vede la sua presenza in pianta stabile, come d’altronde risulta parte integrante e inamovibile nelle performance dal vivo.
Gli altri meravigliosi progetti
Tecnicamente versatile, maestro di chitarra elettrica ed acustica, emotivamente onesto e ispirato, Reynolds ha sfornato dischi solisti (se ne contano una dozzina, oltre a due live) a partire dal 1993, con il celebre Stream, fino ai giorni nostri. Le ultime due uscite, Venus Transit (2020) e Soul Pilgrimage (2021, con la partecipazione dell’amico di lunga data Michael Sokolowski) sono la sua rappresentazione artistica più matura, con una grande capacità di essere immediato e discorsivo con la musica.
I già citati TR3, di cui è l’indiscusso leader, meritano un approfondimento sia per la qualità degli album rilasciati (da ricordare sicuramente il rutilante Light Up Ahead, 1995, il sorprendente Like Some Kind of Alien Invasion, 2014, e l’ultimo Watch It, 2024), sia per la spiazzante naturalezza, nonostante il virtuosismo di un gigante. Prima che un incidente danneggiasse le sue corde vocali, impedendogli per anni quasi di parlare, Tim possedeva una voce molto acuta, in grado di cimentarsi persino nelle parti femminili.
Adesso, pur quasi afono, non disdegna di cantare nel suo mitico trio, ora formato stabilmente dal bassista Mick Vaughn e il batterista Dan Martier, a dimostrazione che a volte volere è davvero potere.
Le chitarre di TR
Con una carriera musicale che abbraccia più di quarantacinque anni, Tim Reynolds ha una magistrale padronanza armonica e ritmica unita a una straordinaria capacità di improvvisare in qualsiasi ambientazione, sia elettrica, sia acustica.
Le sue chitarre rispecchiano perfettamente questo assunto e sono state davvero numerose nel suo excursus artistico.
Sicuramente, parlando di sei corde elettriche, due marchi rappresentano il suo punto di riferimento, Fender e Gibson.
Le Stratocaster Custom e HSS abbondano, così come le Telecaster (notevole quella costruita dal liutaio argentino Ivan Leschner).
Pure diverse Les Paul Custom (Black e Gold Top) e Standard, la SG Gothic e la mitica Flying V sono da annoverare tra le preferite, senza dimenticare alcune particolarità, ossia la Ibanez RG Series 7 String e la Gretsch White Falcon (sciorinata durante un’intensa versione di Dancing Nancies nel 2023).
Entrando nell’universo delle acustiche, oltre alle predilette Martin D-45 e D-35 ( di quest’ultima ne possiede due, del ’96 e ’93), spiccano una Gibson J50 del ’64, una Yamaha FG 230 12 String del ’68 e una Taylor 714ce.
Una menzione particolare, infine, per la Veillette Mk-IV Baritone 12 String, un’elettroacustica su cui ricavare, da grande amante delle sperimentazioni, importanti sonorità.
Tim e l’Italia
Bella vita, stupendi paesaggi e buon cibo: come potrebbe un americano non godersi l’Italia? Dal primo concerto del 2007, all’estasi di Lucca (2009), con le date di Milano (2010) e Padova (2019) nel cuore e il fiore all’occhiello di Firenze l’anno scorso, senza dimenticare quel concerto straordinario al Teatro degli Arcimboldi nell’aprile 2017…
Fioccano i ricordi per il caro Reynolds, ripensando alle sue comparsate su e giù per lo Stivale, e ad accompagnarlo in veste di leader del gruppo o come partner per il duetto c’è sempre stato lui, l’inossidabile Dave Matthews, amico e compare di mille avventure chitarristiche. Un altro avvincente episodio di “Crossroads”, la rubrica speciale di Planet Guitar, sta prendendo forma!
Stay tuned
To be continued…
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