Il 28 Giugno del 2016 ci lasciava un chitarrista innovativo, creativo e capace di poggiare i pilastri della chitarra Rock. Nato Winfield Scott Moore III il 27 Dicembre 1931 a Gadsden, Tennessee (USA), Moore ha formato i Blue Moon Boys, la band che ha accompagnato nientepopodimeno che Elvis Presley tra il 1954 e il 1968. Il critico musicale Dave Marsh gli attribuisce l’invenzione dei power chords, mentre Rolling Stone lo ha posizionato al numero 29 della classifica dei 100 più grandi chitarristi nel 2011.
È stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2000, nella Musicians Hall of Fame and Museum nel 2007 e nella Memphis Music Hall of Fame nel 2015.
“Quando ho sentito Heartbreak Hotel, ho capito cosa volevo fare nella vita” – ha dichiarato Keith Richards – “Era chiaro come il sole. Tutto ciò che volevo fare al mondo era essere in grado di suonare e suonare come Scotty Moore. Tutti volevano essere Elvis, io volevo essere Scotty”
Scotty Moore, i primi passi nella musica e l’incontro con Elvis
Scotty Moore si avvicinò alla musica grazie alla famiglia. In casa si ascoltava blues, jazz e country e questa miscela di generi contribuì a plasmare lo stile e i gusti musicali di Moore che iniziò a suonare la chitarra all’età di 8 anni. Dopo una chiamata alle armi piuttosto precoce ed un esperienza nella guerra in Cina e Corea, Scotty poté finalmente dedicarsi alla musica. Decise di trasferirsi a Memphis dove fondò gli Starlite Wranglers con il bassista Bill Black. Fortuna volle che di lì a poco registrarono un disco al celebre Sun Studio di Sam Phillips e quest’ultimo si innamorò dello stile chitarristico alla Chet Atkins di Scotty.
Poco dopo quella sessione varcò la porta dello studio un ragazzo che voleva incidere un paio di canzoni da dedicare alla madre. Si chiamava Elvis, di cognome Presley. Nonostante avesse una voce acerba e uno stile da affinare, quel volpone di Phillips ci vide lungo e propose al ragazzo di incidere qualcosa con un paio di musicisti molto bravi che si erano mostrati disponibili: Bill Black e naturalmente Scotty Moore. Nacquero i Blue Moon Boys.
I fuochi d’artificio non furono immediati. Dopo alcuni tentativi, la notte del 5 luglio 1954 successe qualcosa. Poco prima di gettare la spugna per l’ennesima volta, Elvis prese una chitarra e incominciò ad intonare That’s All Right, un blues di Arthur Crudup.
“All’improvviso, Elvis iniziò a cantare questa canzone, saltellando e facendo il pazzo, e poi Bill prese il suo basso e iniziò a fare il pazzo anche lui, e io iniziai a suonare con loro. Sam, credo, aveva la porta della cabina di regia aperta… mise la testa fuori e disse: “Cosa state facendo?”. E noi rispondemmo: “Non lo sappiamo”. “Beh, tornate indietro”, disse, “cercate di trovare un punto di partenza e rifatelo”. Phillips iniziò subito a registrare, perché questo era il suono che stava cercando.”
Stava nascendo il rockabilly, ovvero il blues nero che si fondeva con il country bianco.
I successi accanto al Re
La produzione dei Sun Studios fu qualcosa di eccezionale. Nei giorni successivi alla sessione di That’s All Right, il trio registrò un brano bluegrass, Blue Moon of Kentucky di Bill Monroe, sempre con uno stile caratteristico e utilizzando un effetto eco che Sam Phillips chiamò slapback. Fu stampato un singolo con That’s All Right sul lato A e Blue Moon of Kentucky sul lato B.
Moore assunse anche il ruolo di manager personale di Elvis e dopo poco assunse D.J. Fontana come batterista per completare la band.
Fender Tone Master Deluxe Reverb
A partire dal luglio 1954, i Blue Moon Boys fecero tournée e registrazioni in tutto il Sud degli Stati Uniti. La popolarità di Elvis aumentò esponenzialmente tra le adolescenti e questo aprì nuove porte; la band iniziò ad esibirsi in tutta la nazione, apparendo anche in programmi illustri come l’Ed Sullivan Show, che, all’epoca, era il segno distintivo del successo per i giovani artisti.
La fine della collaborazione con Elvis
La svolta in negativo per i rapporti tra Scotty ed Elvis avvenne quando nella vita della star irruppe il “Colonnello” Tom Parker, nuovo manager di Elvis. Egli aveva un solo scopo: isolare Presley dal mondo e farne la sua gallina dalle uova d’oro. In poco tempo i contatti fra la band ed il cantante furono sempre più rari. Il loro rapporto artistico continuò con brani immortali come Heartbreak Hotel, Jailhouse Rock e la mitica Hound Dog che vede l’assolo di Moore come una pietra miliare della nascente chitarra rock.
Nel 1956 Elvis era il personaggio più famoso della terra. Con lui anche Scotty riuscì a ritagliarsi la sua fetta di notorietà grazie ad un playing fresco, nuovo, fatto di licks country e fraseggi blues.
L’anno dopo Moore e Black decisero però di lasciare il progetto; giravano milioni di dollari, ma a loro venivano lasciate solamente le briciole. Elvis non prese bene la decisione e si impuntò con Parker affinché i Blue Moon Boys si ricomponessero. Il duo venne riassunto e all’inizio del 1958, quando Presley fu arruolato nell’esercito, Moore iniziò a lavorare alla Fernwood Records. Produsse un disco di successo, Tragedy, per Thomas Wayne Perkins, il fratello del chitarrista di Johnny Cash, Luther Perkins.
Nel 1960, Moore iniziò a registrare sessioni con Presley alla RCA Victor e ricoprì anche il ruolo di direttore di produzione alla Sam Phillips Recording Service, che prevedeva la supervisione di tutti gli aspetti del funzionamento dello studio. Moore suonò in canzoni di Presley come Fame and Fortune, Such a Night, Frankfort Special, Surrender, I Feel So Bad e molte altre…
In quegli anni Presley, inghiottito dalle sessioni negli studi cinematografici di Hollywood, di musica ne produsse poca. Moore dal canto suo continuò a lavorare a diverse produzioni e suonò anche in alcuni brani di Roy Orbison ed in particolare nella bellissima Crying. Arriviamo al 1964 quando pubblicò un album da solista per la Epic Records intitolato The Guitar That Changed the World, motivo per cui si guadagnò il licenziamento in tronco da Phillips. Si riunì con Fontana e Presley per lo speciale televisivo della NBC noto come “68 Comeback Special”. Fu l’ultima volta che Presley e Moore si videro.
Il suono di Scotty Moore
“Quando terminai il servizio di leva – dichiarò Scotty nel 1983 alla BBC – comprai una di quelle Fender, una Telecaster o una Stratocaster o qualcosa del genere, ma non riuscivo a tenerla con il suo piccolo corpo sottile. Non riuscivo ad andare d’accordo con la Fender. Così ho preso una Gibson ES 295 gold che ho usato per le prime cose che abbiamo registrato. Poi sono passato alla Gibson L5 e poco dopo ad una Gibson Super 400 natural. Ho sempre avuto un debole per il suono delle chitarre a cassa grande con corde spesse!”
Scotty infatti iniziò a suonare una Fender Telecaster con un amplificatore Fender Deluxe Tweed modello 5C3 del 1952. Scambiò presto la chitarra con la sua mitica ES295, una chitarra hollow body con cutway fiorentino equipaggiata con due pickup P90. La usò per i primi lavori alla Sun; Gibson ne produsse solo 1770 esemplari tra il 1952 e il 1959.
Con la L5 registrò Heartbreak Hotel, Blue Suede Shoes, Hound Dog, Don’t Be Cruel e Mean Woman Blues, solo per citarne alcune. Ma la più importante sotto il punto di vista del suono fu senz’altro Mistery Train, un brano che fu registrato con la L5 collegata ad un amplificatore Ray Butts EchoSonic; 25 watt di potenza e il suo proverbiale effetto slapback che divenne il marchio di fabbrica per l’intero movimento rockabilly.
Catalinbread Belle Epoch BOS
Quando fu la volta delle sessioni di Jailhouse Rock, Scotty aveva sostituito la L5 CES con una Super 400 CES natural. La produzione della Super 400 iniziò a metà degli anni Trenta. Nel 1951 divenne elettrica e si trasformò in CES (Cutaway Electric Spanish).
Quando Scotty registrò l’album The Guitar That Changed The World nel 1964, usò una Super 400 CES Sunburst; la stessa chitarra che suonò durante lo speciale televisivo della NBC del 1968.
Eredità e impronta culturale
Costruire una carriera al fianco di una stella può sembrare semplice come percorrere una strada lastricata, senza scossoni. Scotty ebbe sicuramente la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, perché muovere i primi passi e raggiungere il successo con Elvis Presley negli anni 50 è sicuramente un’esperienza unica, non paragonabile a nessun’altra. Ma c’è sempre un ma… La luce di Elvis era accecante e la sua figura catalizzava l’attenzione di tutti. Nonostante sia ora evidente che lo stile del Re del Rock non possa prescindere dalla chitarra di Scotty Moore, per molti anni di lui si accorsero solo gli addetti ai lavori.
Il suo grandissimo contributo passò in sordina per anni fino a quando i grandi guitar heroes come Keith Richards, Eric Clapton e Jimmy Page su tutti citarono Moore come una delle loro più importanti fonti d’ispirazione. Il mondo iniziò a rendersi conto di quanto fosse stato grande quel chitarrista dall’aria timida che guardava le spalle al grande Elvis sul palco e in studio di registrazione. Se oggi abbiamo il rockabilly, se la chitarra moderna ha intrapreso una determinata direzione lo dobbiamo sicuramente a lui. Grazie di tutto Scotty!
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