Nel 1995 Pat Metheny e Pino Daniele finalmente incrociano per la prima volta le loro chitarre. Nasce una profonda amicizia: curiosità, passione e libertà artistica rappresentano il loro linguaggio comune in musica. Era davvero un’alchimia speciale quella che legava due virtuosi, due Re delle sei corde già complementari prima che si conoscessero.

© Pacific Press Media Production Corp. (sinistra) e NurPhoto SRL (destra) / Alamy Stock Photo / Composizione: Rodrigo Sánchez

Pat Metheny e Napoli

Un rapporto lungo più di quarant’anni con Napoli, cementato dall’amicizia con Pino Daniele. Ogni volta per Pat Metheny tornare a esibirsi nel capoluogo campano è un tuffo al cuore. Ha visto la città cambiare, crescere e conservare sempre una speciale atmosfera che non si trova in nessun altro posto nel mondo. Ma ha anche perso un amico con cui aveva tanti progetti. Poco prima della scomparsa di Pino, infatti, stavano studiando una nuova collaborazione on stage e su disco, la ciliegina sulla torta di una partnership sempre al di fuori da qualsiasi retorica commerciale, che, semplicemente, ha goduto della bellezza di unire due compositori e performer straordinari. 

Anche nel Missouri amano “O Scarrafone”: la passione di Pat per Pino 

Per Pat Metheny, Pino era una persona e un musicista incredibilmente speciale. Era colui che rappresentava Napoli nel mondo in una maniera musicale unica e assolutamente sorprendente. Quando a metà degli anni Ottanta il chitarrista di Kansas City ascolta per la prima volta la musica del bluesman partenopeo, riconosce immediatamente un fratello. Sono più o meno coetanei, condividono la passione per la chitarra e la ricerca. Sono curiosi e odiano le formalità, le etichette, le barriere e le frontiere.

Fu quindi molto semplice pensare di suonare insieme e condividere le proprie passioni, divertendosi.

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Pat Metheny: breve cronistoria di un rivoluzionario

Da insegnante a pioniere del suono

Nato a Kansas City nel 1954, famoso per essere il più giovane insegnante di musica, appena maggiorenne all’Università di Miami e, poco dopo aver soffiato diciannove candeline, al Berklee College of Music di Boston, Pat Metheny è un pioniere della musica elettronica e della sua commistione con il jazz. In particolare l’uso del sintetizzatore Roland “applicato” alla chitarra, il considerarlo uno strumento vero e serio anche in un genere con un’ottica “classista”, rivoluziona la visione dell’evoluzione tecnologica, ponendo le basi per nuove sonorità, per una maggiore libertà compositiva, grazie a un artista che ha saputo spaziare dall’amata Gibson ES-175 alle Manzer acoustic e 42-string Pikasso guitar, fino alle Ibanez

Ibanez PM200-NT Pat Metheny

Ibanez PM200-NT Pat Metheny

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Curiosità

Se c’è uno strumento che è diventato lo standard dei sintetizzatori per chitarra, questo è il Roland G-303. Senza dubbio gran parte della sua popolarità è dovuta a Pat Metheny, che ha usato questa chitarra anno dopo anno sui palcoscenici di tutto il mondo, riuscendo a stupire sempre il pubblico con la qualità commovente ed emotiva del suono, simile alle note alte di una tromba.

© Pacific Press Agency/Alamy Live News

Gli esordi e la discografia di riferimento

Metheny porta una ventata di aria moderna, rispettando comunque la tradizione, con l’inizio di carriera insieme al mitico vibrafonista Gary Burton, l’esordio solista con Bright Size Life (1976), seguito da Watercolors, New Chautauqua e da quel piccolo capolavoro di 80/81 con Michael Brecker e Charlie Haden, mentre in parallelo si sviluppa il progetto Pat Metheny Group (durato dal 1977 al 2010 con vari cambi di formazione), che, prima di uno dei live più intensi della storia della musica jazz fusion, Travels (1983), vede la realizzazione del brillante Offramp. Pat Metheny prosegue in una carriera di tutto rispetto fino ai giorni nostri, con What It’s All About (2011), Road to the Sun (2021) e New Box. Fresco di pubblicazione, vette di un’ispirazione mai sopita, di un coraggio pronto a dirottare la nave anche verso acque meno sicure, con traiettorie stimolanti, simbolo di una creatività indomabile. 

Il momento d’oro e quell’affinità sonora con Pino Daniele

Rimangono comunque indelebili gli anni Ottanta e Novanta, i quali, da Travels in poi, brillano per collaborazioni eccezionali. Dalla instant hit This Is Not America con David Bowie a I Can See Your House from Here in duo con John Scofield. Senza scordare le partnership con Ornette Coleman, Charlie Haden, Jim Hall e, appunto, i leggendari show con Pino Daniele. Da ascoltare, se non lo si è fatto già, Sciò live del bluesman napoletano per scoprire quell’affinità elettiva da brividi con il chitarrista a stelle e strisce. Un’empatia che sfocerà in una serie di concerti in terra italiana, fra cui quelli, ormai mitici, a Cava de’ Tirreni e Roma, rispettivamente il 19/20 e 22 settembre 1995. 

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Il ricordo di Metheny del tour e di quel concerto

“Con noi c’erano – fra gli altri, ndr – Victor Bailey, Rita Marcotulli… Non registrammo niente, e forse fu un peccato, è sempre difficile trattare con le case discografiche. Esistono, però, diversi bootleg, qualcuno devo averlo recuperato anche io. Furono concerti bellissimi, divertenti, assieme a un musicista cui mi legano diversi fattori, artistici, musicali, di vita.

Quella notte a Cava fu speciale: per l’affetto, la devozione, il calore che circondavano il palco e arrivavano dal prato, dalle gradinate come mai era successo nella mia carriera. Io ho suonato con ogni genere di artista, tra i più popolari e di successo degli ultimi venti-trent’anni, ma la gente accorsa per Daniele manifestava una forma di tensione amorosa tutta particolare, con le canzoni intonate in cori potentissimi, da togliere il respiro: un fenomeno difficile da spiegare quando sono tornato negli Stati Uniti. Qualcosa di fantastico, che credo non mi capiterà più, una fortuna che potrebbe rendermi invidiabile agli occhi di molti colleghi.” Estratto da articolo di Pat Metheny pubblicato su Il Mattino on line, 24 giugno 2011.

Una testimonianza commovente. Scritta proprio il giorno di un altro grande evento organizzato in quel luogo, la magica serata di Pino Daniele insieme a Eric Clapton.

Il percorso di Pino Daniele e la sua infatuazione per Pat Metheny

Dagli esordi a La grande madre

“Ogni album è un insieme di tutte le esperienze vissute fino a quel momento ed è anche l’occasione e il veicolo per parlare di te e dei tuoi stati d’animo: è lo specchio di te stesso. Ogni mio disco ha diversi lati, diversi momenti, un po’ come sono io, è come vivere una giornata, non si ha sempre lo stesso umore. Poi c’è il filo conduttore della mia voce, la chitarra, le cose da dire.” Da pinodaniele.com

Musicista di rango – per un breve periodo ha suonato il basso con Napoli Centrale -, Daniele parte da una forma moderna di canzone napoletana per integrarla progressivamente con le culture e i colori del mondo. La sua carriera assume in fretta contorni giganteschi e, una volta tanto, la quantità dei dischi venduti va a pari passo con la qualità, dal respiro insolitamente internazionale. Le collaborazioni spaziano da Chick Corea a Richie Havens, Gato Barbieri e i Simple Minds. Il suo tocco chitarristico è fortemente influenzato dai Cream e i Blind Faith di Eric Clapton, soprattutto nelle prime esperienze discografiche. Pino ha sposato la tradizione napoletana con un’impressionante serie di generi diversi: blues, rock, soul, etnica, jazz, fusion. E in questa contaminazione ha preso come esempio un maestro della sperimentazione come Metheny, dimostrazione vivente di tecnica, estro e capacità improvvisativa in un solo colpo.

Dopo i seminali Terra mia e Pino Daniele, gli anni Ottanta si aprono con il capolavoro Nero a metà, cui seguono, citando solo quelli più intensi, Vai mò, Bella ‘mbriana e Musicante. I Novanta si aprono con l’ispirato Un uomo in blues, apripista di un ritrovato e rinnovato successo commerciale che sfocia in best seller come Che Dio ti benedica e Non calpestare i fiori nel deserto, periodo ove si “concretizza” l’amicizia con Pat.

Il nuovo secolo si dipana tra alti e bassi, con Medina, una serie azzeccata di raccolte, il sottovalutato Electric Jam e l’ultimo sorprendente lavoro in studio, La grande madre (2012), da ricordare. La dimensione live rimane uno dei momenti migliori per il Mascalzone Latino e, oltre al citato Sciò live rimangono irraggiungibili per tensione emotiva e abilità strumentale il live @ RTSI (1983) e il sublime E sona mò di dieci anni dopo, registrato, corsi e ricorsi storici, sempre in un luogo determinante per la sua vita on stage, lo stadio Simonetta Lamberti di Cava de’ Tirreni.

Due personaggi importanti che legano Pino Daniele a Pat Metheny

Naná Vasconcelos

Lo storico e compianto percussionista brasiliano, re del berimbau, è strettamente connesso a una delle fasi più prolifiche e imprescindibili di Pat Metheny e del Pat Metheny Group. Le sue ritmiche e i suoi accenni vocali caratterizzano il già menzionato Travels (1983), fiammeggiante doppio disco dal vivo del PMG. Una delle opere più apprezzate da Pino Daniele, folgorato dalle varie tipologie di suono, puro e sintetizzato, scelte dal chitarrista del Missouri.

E non è un caso che l’artista napoletano annoveri nella sua line up del 1984 Vasconcelos – già conosciuto in Italia per aver inciso L’attesa con Saro Liotta, piccolo gioiello della nostrana cultura musicale – per Musicante e Sciò Live, due fra i più chiari esempi di lavori influenzati dal Metheny sound. Daniele inoltre continua la collaborazione con il funambolo carioca curando gli arrangiamenti di due brani, Rekebra e Nanatroniko che avrebbero dovuto far parte di un album di Vasconcelos da lui prodotto, ma purtroppo mai pubblicato. Si incroceranno nuovamente nel 2005 per la sessione di registrazione del CD Iguana Cafè – Latin Blues E Melodie.

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Nick The Nightfly

Un’identica sensibilità, la stessa onda sonora li attraversa: è un’affinità elettiva che spinge Metheny a mettersi in contatto con Daniele tra l’85 e l’86. Ma pare che il primo incontro “fisico” sia avvenuto parecchi anni dopo, grazie a un istrionico musicista e conduttore radiofonico.

“Uno dei momenti più belli ed emozionanti di Monte Carlo Nights è stato quando ho fatto incontrare Pino Daniele con Pat Metheny. Li ho intervistati insieme in radio, si sono conosciuti attraverso il mio programma e hanno fatto un tour insieme in Italia. Quella serata è stata memorabile: avevo lì due dei miei artisti maggiormente adorati. Pino è il mio preferito da sempre. E Pat un musicista, un chitarrista che ci ha regalato momenti meravigliosi.” Estratto da articolo di Giordano Brega pubblicato su affaritaliani.it, 20 novembre 2019.

© Mairo Cinquetti/NurPhoto

Due performance memorabili che li legano indissolubilmente 

Riascoltare e rivedere negli audio e filmati d’epoca le esibizioni live del duo non fa che accrescere la nostalgia e il rimpianto per quello che sarebbe ancora potuto avvenire in questi giorni. Il patrimonio musicale da loro creato rimane immenso e inestinguibile ed è bellissimo vederli impegnati ed emozionati l’uno nelle canzoni dell’altro. Così Pino, come faceva spesso Vasconcelos, ricama con armonie vocali una splendida Are You Going With Me. Mentre Pat con entusiasmo ed empatia si unisce al “nero a metà” per ‘O Scarrafone. Lui che viene dal Missouri, diventa anch’egli ambasciatore della musica napoletana, una musica, come la sua, senza confini. Parafrasando proprio un brano di Daniele, questi due maestri delle sei corde non sono più Gente di frontiera, ma liberano le loro note senza frontiere, con un’anima e uno spirito soli.

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Pino Daniele, Pat Metheny e Carlos Santana: quando estro, sperimentazione e popolarità vanno a braccetto

Musica universale

“La chiamo musica universale ed è una fratellanza. I chitarristi non sono in competizione tra loro. Nello sport si compete, ma nella musica ci si completa.” Carlos Santana da Sunshine Of Your Love – The Crossroads Festivals 1999-2013/Eric Clapton and Friends – Genesis Publications

Un particolare importante accomuna questi due straordinari chitarristi a un’altra anima gemella, Carlos Santana: hanno tutti partecipato al Crossroads Guitar Festival di Eric Clapton. Confrontarsi per migliorarsi e completarsi è una vera filosofia di pensiero e vita per loro, sempre in conflitto tra due identità, alla fine complementari. Da una parte la volontà di sperimentare, superare ogni confine di genere, dall’altra rappresentare l’archetipo del mago della chitarra “rock” mainstream popolare e divertente, che spinge la folla a ballare e riconoscersi in essi. E in realtà proprio queste due facce della stessa medaglia sono la fonte di ricchezza della loro musica, la caratteristica che li ha forgiati. Ma i legami tra loro non finiscono qui. Il destino, come spesso capita, garantisce ai cuori affini intrecci anche puramente casuali.

Le affinità tra Pino e Carlos

Pino Daniele, nelle sue varie anime, rappresenta pure la via partenopea al latin sound di Santana. E guarda caso, apre per Bob Dylan e Carlos nel 1984, a San Siro, Milano, proprio quel 24 giugno ove insieme alla band, con special guest Vasconcelos, esegue una brillante esecuzione di Have You Seen My Shoes, che viene inclusa, indovinate un po’, in Sciò Live. Più si approfondisce, più tutto sembra sempre maggiormente e incredibilmente collegato. L’amicizia di entrambi con il mai troppo compianto Wayne Shorter, sfociata in diversi progetti artistici, rimane sicuramente un’altra bella cosa da ricordare.

L’incrocio e la fratellanza tra due visionari

Così diversi e così uguali. Santana e Metheny, di primo acchito, appaiono l’uno l’opposto dell’altro, come il caldo e il freddo o l’estroverso e l’introverso. Ma la passione per la chitarra, l’idea che ogni frontiera del suono sia superabile, la forza, il sacrificio e la completa dedizione all’arte delle sei corde, anche a costo di rinunciare a perfezionare il canto, li fanno volare vicino. In percorsi paralleli che a volte si sfiorano, fino ad incontrarsi in un’occasione indimenticabile, che fa ancora battere forte il cuore quasi quarant’anni dopo…

To be continued…

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Alessandro Vailati