Planet Guitar incontra Ronald LaPread durante una soleggiata mattinata a Auckland, Nuova Zelanda, dove ricorda una vita piena di amicizie con persone che hanno dato forma al nostro mondo culturale. LaPread è conosciuto per essere il co-fondatore dei Commodores, gruppo che ha venduto più di 70 milioni di album, ma si presenta come un umile, gentile, e affascinante uomo che pare aver avuto una serie di incredibili incontri fortuiti…

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PlanetGuitar: Partiamo dalle tue radici, è incredibile come sei entrato nel mondo della musica: all’inizio, essere pagato per “suonare” le tastiere senza effettivamente suonarle…

Ronald Lapread: [ride] Sì, mia madre era un’estetista, e il suo partner aveva un figlio che aveva un concerto in programma. Mi disse che aveva un batterista, un bassista, un chitarrista e un cantante, ma gli serviva un tastierista. Lui mi aveva sentito suonare il piano, quindi mi disse: “Devi solo stare lì e far sembrare di essere il tastierista e ti pagherò”. A 15 anni, dopo due ore, ero stato pagato 75$: sapevo che la musica sarebbe stata il mio lavoro dopo quello! [ride] 

PG: …e poi dicendo a Lionel Richie che fossi il miglior bassista in zona anche se non era propriamente vero…

RL: [ride] Ero sempre al posto giusto nel momento giusto! Stavo suonando una sousaphone (una tuba d’ottone) nella marching band della scuola quando Richie e Thomas McClary stavano cercando un bassista, e dissi “Sono il migliore!” Richie disse: “Pensavo suonassi il piano?” e io gli risposi: “No, no, no, sono un bassista di professione!.”. Quindi, siamo andati alle prove, e pensavo mi dessero della musica scritta, ma invece misero un disco e dissero “Ascolta e poi suona la tua parte”. Potevo farlo perché avevo un ottimo orecchio, ma poi dovetti tornare a casa e trovare le note…

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Ulteriori informazioni

PG: Ricordi il tuo primo basso?

RL: Era un Precision Bass del 1962. Lo posseggo ancora.

Fender Player Series P-Bass PF 3TS

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PG: Un’altra storia fondamentale è che Richie suonava il sax e non voleva realmente cantare ma fu spinto a farlo…

RL: Quando i Commodores iniziarono Richie era il sassofonista e Walter Orange era il cantante, ed anche il batterista. Richie poteva cantare una canzone a serata, ma poi si ritirava a fondo palco perché non voleva cantare. Poi capimmo di voler intrattenere la gente, quindi dicemmo “Richie sarai tu il cantante principale” – lo odiò! [ride]

PG: Queste storie danno l’impressione che fossi davvero disinvolto e ti stessi divertendo…

RL: [ride] Eravamo giovani, pieni di noi stessi, e tutto quello che sapevamo era di voler incidere un disco. Sentivamo Clarence Carter, Bobby Moore, e Wilson Pickett; c’era molta musica in giro ma a Tuskegee, Alabama, avevamo solo marching bands!

PG: Un rappresentante della Motown venne ad uno dei vostri live e vi chiese di prepararvi per un tour, ma non vi disse con chi…

RL: Un’amica del nostro manager, Benny Ashburn, venne a vederci suonare, e disse: “Ho questo gruppo e mi piacerebbe che faceste qualche show con loro”. Il primo ingaggio era a Rochester, New York, e abbiamo dovuto guidare fino a lì, nevicava, cercammo dove fosse l’auditorium, guardammo in alto e leggemmo “The Jackson 5; special guests the Commodores” – abbiamo quasi schiantato il van! Ci siamo detti ‘Come diavolo faremo?’ [ride]. Alla fine siamo stati in tour con loro per quattro anni.

PG: Come mai non te lo disse?

RL: Probabilmente non voleva spaventarci! I Want You Back, ABC, Ben, c’era tutto questo… cavolo! Quello è stato probabilmente il lavoro più duro che abbiamo fatto, aprire per i The Jackson 5.

PG: Ho letto che Michael rubò la tua idea di indossare un uniforme

RL: Non direi “rubata”, piuttosto “adattata”. Un giorno stavamo suonando al Madison Square Garden e Michael entrò, Richie aveva un’uniforme bianca addosso e Michael la vide e disse che gli piaceva – funzionava benissimo con i suoi guanti! [ride]

PG: Hai contribuito a molte canzoni della band, qual’era la tua motivazione a creare e scrivere a quel tempo?

RL: Probabilmente il bisogno di avere canzoni per l’album a cui stavamo lavorando. È questo che ha dato inizio a tutto. Quando cominci a dare forma ad una canzone può sembrare difficile, ma guardandoti dentro e parlando di quello che pensi e come ti senti, resterai sorpreso da quanti pensano le stesse cose che pensi tu e si sentono come te.

PG: Tutti gli scrittori dei Commodores hanno scritto hits, ma poi le differenze sono emerse e la band si è separata. Eravate vittime del vostro successo?

RL: Potrebbe essere, ma sai ogni tanto l’intero corpo vuole cambiare e se provi a combatterlo causerai problemi. Qualsiasi cosa che valga un minimo in un modo o nell’altro cambierà.

PG: Hai detto di pensare che il collante del gruppo fosse forte. Qual’è stata la tua guida in quel momento?

RL: Se hai una storia triste, dovresti raccontarla a qualcuno. Scoprirai che per loro la tua storia non è così terribile e viceversa. Tutto è un processo di cambiamento.

PG: Non sembra tu abbia mai avuto problemi di droghe o buttato televisori fuori dalle finestre degli hotel – come rimani calmo?

RL: Oh amico, lavoravamo. Avevamo poco tempo per mangiare, suonare, e se avevamo tempo libero, eravamo così stanchi che non volevamo fare altro che dormire. Ed eravamo nella scomoda posizione di essere riconoscibili. Abbiamo girato il mondo 18 o 20 volte, ma dato che eravamo noi non potevamo andare in tutti i posti, o fare tutto ciò che volevamo, quindi stavamo sempre insieme. È anche per questo che quando abbiamo cominciato a dividerci come gruppo la cosa ci ha colti di sorpresa.

Il mio più grande problema è stato quando la Motown disse: “Abbiamo bisogno che i Commodores si spostino in California” e pensai “se ci spostassimo là ognuno avrebbe il suo gruppo di amici che direbbero: ‘Non hai bisogno degli altri’”, e ad un certo punto qualcuno avrebbe iniziato a crederci. Ciò che ha creato il gruppo era il fatto che tutti e sei avevamo forti idee, e c’era della sana competizione tra noi. Sono sempre stato parte del gruppo, e ci bilanciavamo a vicenda.

PG: Ad un certo punto sei volato in Zaire per vedere Muhammad Ali combattere – l’hai incontrato?

RL: In realtà lo avevo incontrato prima, quindi quando organizzò il “Rumble In The Jungle”, volevo essere lì. In quei giorni era un pugile, ma per le persone di colore era un messia.

PG: Hai anche giocato a tennis con Arthur Ashe a casa di Berry Gordy, e incontrato Martin Luther King…

RL: Si, incontrai King a Tuskegee, in Alabama, quando ero ancora un giovane ragazzo.

PG: Cosa pensi che avrebbe fatto per il movimento Black Lives Matters?

RL: Sono sicuro che si sarebbe sentito fiero di vedere che persone da tutto il mondo hanno constatato che qualcosa è sbagliato e ne parlano apertamente. Sono certo che ci sarà un cambiamento.

PG: Ti consideri un attivista?

RL: No; credo solo che bisogna essere equi. Devi conoscere le persone e capirle: devi farlo. Molte persone di colore della mia età non sono mai state schiave, i miei figli non sono mai stati schiavi, ma se vedo qualcuno [comportarsi scorrettamente] glielo dico. È difficile raggiungere tutti.

PG: Dopo che Richie ha mollato la band, i Commodores sono usciti con una top 10 hit: Nightshift, un tributo ai vostri cari amici Marvin Gaye e Jackie Wilson; come ti senti nel sentire quella canzone ora?

RL: Fiero. Quando ascoltai la canzone per la prima volta, mi colpì profondamente e ora che la ascolto 35 anni dopo, sento di potermi dare una pacca sulla spalla. Sapevo che sarebbe andata bene.

La nostra intervista si chiude ricordando alcune delle parole della canzone preferita di LaPread, This Is Your Life: “Do what you want to do, so much in life to see you through, be what you wanna be…” 

Quando LaPread sente queste parole, dice di sentirsi fortunato di aver conosciuto Lionel Richie quando era ancora un ragazzo. “Quando scrisse Just to Be Close to You, andai verso di lui e dissi: ‘Ehi amico, so che non volevi essere il cantante principale, ma hai talento’” dice LaPread. “E poi se ne uscì con Sweet Love, Jesus is Love, Heroes – quando ascolto le parole di queste canzoni, penso lui fosse più attivista di chiunque conosca.

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Paul Rigg