Tutta “colpa” di Jimi Hendrix. Due chitarre scintillanti e multiformi, capaci di disegnare non solo panorami ma interi mondi sonori a cavallo tra rock, jazz e fusion, incrociano le loro note per tributargli un sentito omaggio. Stanley Jordan e Andrea Braido, i supervirtuosi della sei corde, duettano in suo nome in assoluta libertà, senza praticamente aver mai programmato questo incontro. Potere e magia della musica…

Foto di Andrea Braido © Emanuele Pellegrino – ZUMA Press, Inc. © Alamy Stock Photos

Tutti pazzi per Jimi 

Una pioggia di assoli 

Era una notte buia e tempestosa

In un certo senso, la frase di Edward Bulwer-Lytton, divenuta il famoso incipit dei racconti battuti a macchina da Snoopy, calza a pennello per iniziare a parlare di quella notte in Sardegna, ove il cielo scuro si agitava scuotendo il mare all’orizzonte, squarciato da una tempesta di chitarre. 

La locandina di “Un Mare di Musica/Un Mare di Chitarre

Il 17 giugno 2023 è una data da ricordare per sempre ad Assemini, cittadina a un passo da Cagliari famosa per l’arte della ceramica. In una notte, Assemini è divenuta celebre per un mare “speciale”, grazie alla XX edizione di “Un Mare di Musica”, quell’anno dedicata a “sua Maestà” la Chitarra. Il clou degli eventi ha regalato un duetto speciale sulle note scritte da un artista incredibile, probabilmente il più rivoluzionario degli anni Sessanta…

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Con Andrea e Stanley l’eccezionale diventa normale

Apprezzato ospite del set di Stanley Jordan, il re della chitarra jazz, atterra sul palco un altro personaggio fuori dall’ordinario, quell’alieno di nome Andrea Braido, che colora Little Wing di nuove sfumature. I due si conoscono appena, ma si nutrono della stessa musica, basta uno sguardo per capirsi. Per loro suonare Jimi Hendrix è come respirare: naturale, automatico. Tutto esce fuori così, da solo… solo il tempo di attaccare il jack all’amplificatore, e non c’è nemmeno bisogno di programmare, pianificare; è come il sangue, quella musica ce l’hanno dentro.

Una magia elettrica: due virtuosi si parlano con lo strumento, l’adorata Vigier Arpege danza e si abbraccia impetuosamente con l’altrettanto amata Tribe Vulture-Braidus prototype (Tribe è un brand svizzero di grande qualità fiero di avere l’artista italiano come endorser).

La tecnica chitarristica jazz deve molto a Jordan, innovatore nel campo di tapping, hammer-on e pull-off e assai vicino, per attitudini, vocazione e playing al nostro Braido, funambolo della sei corde pronto a volteggiare senza plettro in inusuali acrobazie.

La sezione ritmica che li accompagna è fortissima. Andrea è proprio a suo agio, si vede, e se la gode divertito in mezzo a strumentisti del calibro di Gabor Dornyei (batteria) e Yorgos Fanakas (basso).

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Lacrime, sudore e sangue

Purple Haze è un altro attacco al cuore, fa tremare le vene dei polsi. I due supereroi della chitarra sono irrefrenabili, incarnano l’essenza di una musica che vive di urgenza e spontaneità, in cui sangue e sudore si mischiano in un’esiziale miscela che arroventa gli strumenti e percuote i padiglioni auricolari. 

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Lo spirito puro e selvaggio del rock rinasce in un turbinio di note. Oggi, in un mondo che un tempo pensavamo (e speravamo) di poter cambiare con una mitragliata di riff e dove ora è sempre più difficile trovare il contenuto, costantemente influenzati dagli algoritmi, dalla paura e dalle nostre camere di risonanza sociali, i veterani Stanley e Jordan e Andrea Braido  restano ancora gli interpreti più credibili. 

Entrambi nel corso della carriera si sono costantemente legati al “mancino di Seattle” con una valanga di progetti, tra show speciali (imperdibile l’Experience Hendrix Tour) e dischi live (davvero notevole Andrea Braido Plays Hendrix Music pubblicato nel 2008).

I loro lampi e fulmini in All Along the Watchtower illuminano il buio dei nostri tempi.

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Un’incredibile vicinanza

“Stanley Jordan con una mano supersonica spettina il pubblico e con l’altra gli fa la messa in piega!!!“

Tra i tanti difetti, i social (in questo caso Facebook) hanno comunque il pregio di raccontare gli eventi tramite la voce di più persone e a volte regalano qualcosa di pittoresco, un’immagine che può magnificamente descrivere la genialità di un artista. Nei commenti ai video di questo concerto, Jordan, il maestro del tapping a due mani, è ben raffigurato nella citazione sopra, mentre Braido viene definito “Mostro di tecnica”, “Inumano”, una sorta di Extraterrestre, un Supereroe della chitarra.

Certamente Andrea, con le sue doti e temperamento, è il virtuoso italiano che più ha avvicinato l’artista statunitense al Belpaese. Andiamo ora ad analizzare le fasi salienti del “fromboliere” nato a Chicago, un uomo che non è mai sceso a compromessi ed è diventato uno dei chitarristi più influenti, con una personalità musicale camaleontica fatta di apertura, immaginazione, versatilità e audacia anticonformista.

2XT3PYG Stanley Jordan, London Jazz Festival, Town and Country Club, October 1990. © Heritage Image Partnership Ltd Alamy Stock Photos

Stanley Jordan: il “pianista della chitarra”

Un tocco magico

Curiosità e volontà. Ecco il sale della vita, i mattoncini su cui costruire la propria arte. Nel caso di Stanley Jordan sono la spinta verso la musica. La facoltà dello stupore e l’impegno messo per superare i traguardi più ambiziosi lo contraddistinguono fin dalla tenera età.

Jordan nasce a Chicago il 31 luglio 1959, ma cresce nella Bay Area di San Francisco. Non ha ancora sei anni quando comincia a studiare pianoforte, per poi passare alla chitarra a undici. I suoi primi “complessini” sono rock e soul, legati alle influenze primordiali, che, partendo da Hendrix e i Grateful Dead, si diramano in Miles Davis, John Coltrane e Freddie Hubbard per toccare Herbie Hancock e George Benson.

Non ha ancora spento diciassette candeline quando si esibisce con Quincy Jones, evidenziando le sue spiccate qualità, mentre un lustro dopo, nel 1981, consegue una laurea in musica presso la Princeton University. Il sogno sta diventando realtà: ormai Jordan è sulla cresta dell’onda e proprio a Princeton condivide il palco con due dei suoi idoli giovanili, Dizzy Gillespie e Benny Carter

Il mondo delle sette note è pronto a venire a conoscenza del suo stile unico, del suo tocco magico. Scorre il 1985 ed esce l’album che lo porta diritto nell’Olimpo dei chitarristi, Magic Touch. Mai titolo poteva essere più appropriato…

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Una carriera formidabile

Con Magic Touch, Jordan si afferma come una delle voci più distintive e innovative della sei corde elettrica. Grazie alla sua speciale tecnica, il cosiddetto tapping a due mani, suona la chitarra come un pianista, memore dei suoi esordi musicali. Una tecnica già applicata all’epoca del liceo, ora migliorata e affinata seguendo una grande varietà di stili, dallo swing al rock. Le sue versioni singolari di The Lady in My Life e Eleanor Rigby portano il disco in cima alla classifica jazz di Billboard per ben 51 settimane, un record straordinario. 

I lavori successivi vedono Stanley spingersi verso livelli sempre più profondi della sua arte, al di là dei confini stilistici. In Standards Volume 1 (1986) brani di Stevie Wonder e Jimi Hendrix vanno a braccetto con vecchi classici quali Georgia On My Mind, mentre Flying Home (1986) si inoltra in territori dance-pop. 

Il decennio successivo si apre con l’opera più coraggiosa, Cornucopia, che spazia dal jazz tradizionale inciso dal vivo a brani originali multidimensionali registrati in studio. Jordan conferma sempre più la sua versatilità, la grande lungimiranza e intuizione: Il termine genio viene spesso usato a sproposito nel mondo della spettacolo, ma nel suo caso è davvero appropriato.

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Instancabile curioso

Il 1994, è un altro anno d’oro. A seguito del passaggio alla Arista Records del leggendario Clive Davis, Stanley rilascia Bolero, album eclettico e stimolante, con in scaletta Chameleon, una splendida cover di un eroe della sua gioventù, Herbie Hancock, oltre all’immancabile omaggio a Hendrix con Drifting. Spicca inoltre il suo brano originale Plato’s Blues e un eccezionale arrangiamento di ventidue minuti del Bolero di Ravel, genialmente diviso in più parti, con la sezione rock, africana, latina, “groove” e “industrial”. 

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La sua voglia di andare sempre oltre l’orizzonte, alla ricerca di paesaggi sonori inesplorati, lo porta a inizio secolo a realizzare Dreams of Peace e a stringere un primo legame con il Belpaese tramite i Novecento, band famosa negli eighties per la sua Italo disco e che sta vivendo una nuova fase della carriera avvicinandosi allo smooth jazz e al soul.

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I progetti Ragas, una particolare collaborazione insieme a musicisti indiani (con Jay Kishor al sitar) e Relaxing Music for Difficult Situations Volume 1, un’entusiasmante estensione audio del suo conclamato interesse per la musicoterapia palesano la sua curiosità instancabile e il desiderio di aiutare le persone fragili.

Friends (2011) è un altro capitolo importante della sua discografia con brani che spaziano dal jazz blues al pop, riempiendo di nuovi colori la già caleidoscopica tavolozza del chitarrista statunitense. Notevoli gli special guest, dai “colleghi” Mike Stern, Russell Malone e Charlie Hunter alla splendida violinista Regina Carter, il sassofonista Kenny Garrett e il bassista Christian McBride. In attesa di un nuovo lavoro da tempo annunciato e lungamente atteso da tutti i fan, Jordan sta esprimendo il meglio di sé in tournée, con date in arrivo in Europa (anche in Italia!) e States. 

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La bellezza di assistere a uno dei suoi recenti show è la varietà dell’offerta: il Nostro, a seconda delle location scelte, si esibisce in duo, trio e, talvolta, da solo, per il “Solo Live Tour”. Per quest’ultima tipologia di concerto oltre alle chitarre suona il pianoforte, il suo vecchio amore, evidenziando pure le doti di vocalist.

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Le sue collaborazioni e comparsate più intriganti

Un artista irrefrenabile, con milioni di chilometri percorsi, sempre a caccia di nuove sfide: Jordan si è esibito in tutti i continenti, ha partecipato a svariati festival (indimenticabile Montreux!), ma soprattutto non ha lesinato collaborazioni con una vasta gamma di artisti. Art Blakey, Stanley Clarke e Kenny Rogers (Morning Desire è diventato la canzone country numero uno in America nel 1986) riassumono bene le incredibili partnership degli anni Ottanta, come sono leggendarie le “sedute del lunedì sera” alla corte di Les Paul all’Iridium di New York. 

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Amante delle jam session, è stato poi anche ospite frequente della Dave Matthews Band, gli String Cheese Incident, Phil Lesh, Moe e Umphrey’s McGee.

Tuttora Jordan adora salire on stage con altri chitarristi: Kevin Eubanks, Sharon Isbin e Muriel Anderson sono alcuni dei nomi a cui è particolarmente legato.

Infine, è d’uopo ricordare le sue comparsate in televisione e cinema. Nel 1987 è memorabile il suo cameo in Blind Date di Blake Edwards, mentre viene un groppo in gola a vederlo cimentarsi, nel film tributo Les Paul: He Changed the Music, con un supergruppo di chitarristi che include lo stesso Les Paul, il suo idolo Eddie Van Halen e i tanto ammirati B.B. King, Steve Miller, David Gilmour e Brian Setzer

Sono numerosi i programmi ravvivati dalla sua presenza. I tre più importanti risultano sicuramente il leggendario David Letterman Show, i Grammy Awards e il Tonight Show di Johnny Carson, con la perla dell’interpretazione del classico Nature Boy in compagnia di Robert Palmer. Una performance da brividi, che dimostra quanto la vera musica azzeri lo spazio e il tempo: tuttora quella di Stanley Jordan ci regala momenti indimenticabili.

Uno sguardo alla tecnica e alle chitarre di SJ

Un chitarrista originale, unico al mondo

La chiave del rapido successo di Jordan, che attualmente vive a Sedona, in Arizona, è l’incredibile padronanza di una tecnica speciale chiamata touch tapping, che consiste nel premere la corda sulla tastiera, lungo il manico della chitarra, senza usare l’altra mano per pizzicarla. 

Il suo sviluppo di questa innovativa touch technique, “tecnica del tocco”, è una forma avanzata di tapping a due mani, una sua straordinaria attitudine resa possibile da un pickup particolare inserito sotto il manico dello strumento. La corda risuona senza bisogno di pizzicare e, di conseguenza, Stanley può suonare più note e, volendo, più chitarre contemporaneamente. Inoltre, a rafforzare la sua unicità sono la fluidità, le trame multistrato e, ultimo, ma non ultimo, il puro virtuosismo. 

Tuttavia, le sue grandi qualità e l’incredibile originalità, per quanto impressionanti, sono sempre un mezzo per raggiungere un fine, ossia andare a scavare nel profondo dell’animo di se stesso e di chi lo ascolta. 

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La sua musica è intrisa di un calore e di una sensibilità che hanno catturato l’immaginazione del pubblico di tutto il mondo. La ricerca di maggior libertà nell’esprimere gli accordi sulla sua chitarra si è sviluppata utilizzando i principi del pianoforte, suonando melodia e accordi contemporaneamente con un livello di indipendenza senza precedenti. E Jordan sa anche suonare allo stesso tempo proprio chitarra e pianoforte, come se fossero un unico strumento, con un’ampia gamma di tonalità.

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Le Vigier Guitars nel cuore

Stanley Jordan utilizza da quasi quarant’anni la ormai storica Vigier Arpege Series II, che lo ha accompagnato in tutti i suoi dischi e live più importanti.

Si avvale inoltre di altri brand per ottenere effetti diversi, tra cui una chitarra sintetizzatore Casio PG-380 Midi, una Starr Labs Ztar, la Ibanez RG600TK personalizzata e un controller MIDI Zeta Mirror 6. L’uso di chitarre con tastiera piatta (flat fingerboards) si adatta perfettamente alla sua touch technique.

Estroso, originale, curioso e innovatore, Stanley si è spesso confrontato con uno straordinario virtuoso della sei corde, legato indissolubilmente alla Dave Matthews Band: Tim Reynolds. Un’altra scoppiettante puntata di “Crossroads”, la rubrica speciale di Planet Guitar, sta prendendo forma!!

Stay tuned

To be continued…

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Alessandro Vailati