Famigerati o favolosi? Comunque sia, probabilmente il dibattito sarebbe interminabile, gli anni Ottanta rappresentano una vera e propria rivoluzione tecnologica nella musica. E il 13 luglio 1985 altro non è che lo spartiacque di un’epoca: l’importanza della TV si mette clamorosamente a fuoco nel contesto rock. Un’interminabile, meravigliosa giornata con i più grandi artisti riesce a compiere, come vedremo, una sorta di “miracolo a tre livelli”. Ma non perdiamo tempo, immergiamoci subito, con una particolare attenzione al mondo chitarristico, in Live Aid, monumento all’incredibile potenza della musica, capace di unire e rendersi veicolo di solidarietà globale.
Uno show, due continenti
Nella vita, dalla prima cotta alla nascita di un figlio, i momenti davvero speciali sono principalmente personali e ne condividiamo l’esperienza con una limitata cerchia di conoscenti. Tuttavia la Storia ci ha regalato alcuni rari casi ove è accaduto qualcosa di così emozionante, di così potente da farci trovare all’improvviso uniti e insieme, con un unico comune intento.
Live Aid è stato l’importante happening che ci ha reso parte di una causa più grande di noi, completamente al di fuori della nostra sfera privata, lontani dalla nostra intimità eppure fortemente coinvolti.
Il 13 luglio 1985 nasce quello che è uno dei giorni più lunghi in musica, dal mezzogiorno di fuoco degli Status Quo, con le loro mitiche Fender Telecaster allo Wembley Stadium di Londra, alle note finali di We Are the World risuonate quando scoccavano le 23 (fuso americano) al JFK Stadium di Philadelphia.
Sedici ore, per uno show con esibizioni in contemporanea in due continenti e milioni e milioni di telespettatori collegati in diretta, il primo festival televisivo della storia. L’occasione è nobile: su iniziativa dell’istrionico Bob Geldof, un nutrito gruppo di rockstar accetta di partecipare a uno spettacolo di beneficenza per raccogliere fondi destinati alle popolazioni etiopi colpite da una biblica carestia. La fame in Africa aveva già stimolato nei mesi precedenti due diversi benefit discografici (Band Aid in Gran Bretagna e USA for Africa negli Stati Uniti), ma questa volta l’idea è di un impegno in concerto.
Il rock e, per forza di cose, la nostra cara amata chitarra sono il tema conduttore, la TV il filo che lega gli eventi e il magico specchio che li riflette a quasi due miliardi di persone.
Gli highlights chitarristici di un concerto indimenticabile
I fasti di Wembley: un ospite a sorpresa, i sussulti degli U2 e la solidità dei Dire Straits
L’atmosfera a Wembley si fa subito incandescente, e nonostante il gran caldo piovono canzoni di gran livello, un vademecum della new wave, del pop e rock melodico degli eighties. Tra i tanti grandi artisti e gruppi spiccano Style Council, Boomtown Rats, Ultravox, Spandau Ballet e Nik Kershaw.
Sting e Phil Collins duettano, mentre Bryan Ferry, fresco della realizzazione del pluripremiato Boys and Girls, stupisce con un ospite speciale.
La Fender Stratocaster 57 candy apple red reissue del 1983 di David Gilmour non perdona in Slave to Love (godetevi il suo lancinante “solo” appena dopo il minuto 2.00), un evergreen che fa ancora venire i brividi quarant’anni dopo, e Jealous Guy, ma per i fan dell’air guitar non c’è tempo di rifiatare. The Edge e Mark Knopfler incombono.
Prima gli U2, oramai divenuti fenomeno mondiale con The Unforgettable Fire e ancora amanti dei contrasti netti, dei messaggi urlati, incantano con gli slogan a tutta voce di Sunday Bloody Sunday e di una Bad salvifica e infarcita di citazioni. Nelle sue precise geometrie The Edge sfoggia la sua epica Black Strato del ’73, una chitarra chiave per molti momenti iconici degli U2: modificata con un capotasto in grafite, sellette del ponte in ottone e un pickup Seymour Duncan “quarter pound”, rappresenta l’emblema del sound degli eighties del gruppo irlandese.
Fender Player II Strat HSS MN BLK
Arriva poi il turno dei Dire Straits e dei due loro cavalli di battaglia: si comincia bene grazie a una tonitruante Money for Nothing, con special guest uno Sting attapirato mentre Knopfler benedice a suon di riff con la sua Gibson Les Paul Standard 59 reissue del 1983, chitarra ufficiale di Live Aid e del Brothers in Arms tour. E si termina ancora meglio con la maratona di Sultans of Swing, territorio perfetto per consentire stavolta alla Fender Strato rossa di giganteggiare.
Gibson Les Paul 59 Iced Tea Burst VOS
L’apoteosi dei Queen e la magia degli Who
Il carisma di Brian May brilla come non mai nella giornata di Freddie Mercury. Il cantante baffuto si scatena per tutto lo show, con Radio Gaga e We Are the Champions da urlo, ma i chitarristi in erba (e non) come avrebbero fatto senza la Red Special di Brian in Hammer to Fall e We Will Rock You?
Un’esibizione storica, probabilmente la più potente e trascinante della kermesse, ma prima del magico finale con Paul McCartney e Band Aid, inserito in mezzo a quello di due leggende come David Bowie e Elton John arriva l’altrettanto roboante set degli Who.
Un assatanato Pete Townshend sciorina il suo tipico windmill, ovvero il celebre colpo a mulinello, durante un’epica Won’t Get Fooled Again, senza dimenticare il fragore e la cascata di emozioni di Love Reign O’er Me, imbracciando sempre la Gold Schecter durante le tirate performance.
E così, se a Wembley il sipario si sta chiudendo, a Philadelphia dopo i primi squilli di tromba lo show sta proseguendo a meraviglia. Da un palcoscenico all’altro c’è sempre la musica, con la sensazione che in qualche modo scandisca non solo i diversi momenti dello spettacolo, ma anche le varie fasi della vita, rivissute grazie a un nugolo di canzoni senza tempo…
Il calore di Philadelphia
Il duetto dimenticato e il ruggito di Tom
Joan Baez, i Four Tops, ma soprattutto i Black Sabbath con la SG ruggente di Tony Iommi e il piglio indiavolato di un ritrovato Ozzy Osbourne scaldano i motori e danno il via sgommando al gran premio a stelle e strisce che piazza subito in prima fila Crosby, Stills & Nash e Bryan Adams per poi lasciare il testimone ai redivivi Beach Boys con Brian Wilson. Seguono il blues scintillante di George Thorogood con ospiti due maestri, Bo Diddley e Albert Collins, e il post punk rock di Simple Minds (Charlie Burchill fa faville con la sua Strato White) e Pretenders.
La vera sorpresa, tuttavia, deve ancora arrivare e si materializza nelle figure di Carlos Santana e Pat Metheny. In nome di una fratellanza universale, rispettosi delle ragioni della manifestazione, anche due personaggi lontani per il risultato ottenuto con le sonorità, ma davvero molto vicini per animo, passione e spirito, si trovano a condividere dal vivo, on stage, la loro musica. Il risultato è straordinario…
Il tocco di Metheny associato alle ritmiche indiavolate dei Santana e agli assolo del loro leader Carlos sono qualcosa di difficile descrizione, tante sono le positive vibes emanate che giungono all’orecchio di chi le sa captare. L’uno apparentemente freddo, o per meglio dire posato, concentrato solo sulla sua chitarra, ma con un cuore caldo, una forza e potenza che provengono dal profondo dell’animo: si percepisce tutto questo non appena si ascoltano le note cesellate fluire dalla sua Roland guitar, stimolato dall’altro, il quale dopo averlo introdotto (minuto 10:50), fa uscire il suo tipico sound corposo e lamentoso, un urlo di piacere da una PRS esagitata, mentre le percussioni e i canti dei vocalist creano un’atmosfera spettacolare e avvolgente.
E’ un vero peccato che la performance dei Santana e il successivo arrivo di Metheny siano stati trasmessi live solo all’epoca, ma non siano finiti sulla pubblicazione ufficiale della manifestazione, nella quale è invece fortunatamente presente una delle grandi colonne del rock americano, il mai dimenticato Tom Petty con i suoi Heartbreakers e la sua Rickenbacker 360 a 12 corde!
Rickenbacker 360/12C63 Fireglo 12-string
La zampata di Neil e Il riscatto di EC
Live Aid capita a fagiolo per due “dinosauri” (ecco come venivano chiamati negli anni Ottanta i quarantenni con la carriera già ventennale!) in cerca di riscossa.
Neil Young arriva da un periodo definito da fan e addetti ai lavori un po’ troppo sperimentale e riappacifica pubblico e critica con un paio di classici quali Sugar Mountain e The Needle and the Damage Done eseguiti in solitaria, accompagnato solo dalla sua storica Martin D-45. Si unisce poi alla sua country band dell’epoca, gli International Harvesters, e sciorina un pezzo da novanta quale Helpless, ci regala un succulento inedito, Nothing Is Perfect (In God’s Perfect Plan) imbracciando una Gibson J-200 e termina elettrico con l’acclamata Powderfinger, occasione per sfoderare l’amata “Old Black”, la mitica Les Paul Goldtop del 1953 verniciata di nero. La sua serata si chiuderà più tardi in bellezza grazie alla rimpatriata in compagnia di CSN, ma un altro eroe dei sixties sta per salire sul palco…
Gibson SJ-200 Original VS
“A Philadelphia si sentiva musica dappertutto e fummo contagiati subito dall’atmosfera. Avremmo suonato in serata, così guardai le altre esibizioni in TV, il che fu probabilmente un errore dal punto di vista psicologico…Come avrei potuto eguagliare la prova di band come i Four Tops, con quella fantastica orchestra Motown e tutta la loro energia?”
-Tratto da L’Autobiografia, Sperling & Kupfer, 2007.
Solo pochi mesi prima, a Marzo, Eric Clapton pubblica Behind the Sun, un disco rivoluzionario, sofferto e sincero anche se fra mille contraddizioni, vero spartiacque della sua carriera. Pur mantenendo viscerale il rock blues, le sonorità cambiano con un miscuglio di elettronica e sintetizzatori per merito della produzione di Phil Collins, presente pure a Philadelphia (dedicheremo un successivo capitolo a questo suo incredibile record) nelle vesti di batterista durante la performance. She’s Waiting, seconda traccia in scaletta, è l’esempio di questo nuovo corso, che permette a Slowhand di tornare in carreggiata dopo un periodo molto difficile (gli abusi da sostanze e la vita sentimentale tormentata lo stavano “lentamente” distruggendo).
Tuttavia a infiammare gli animi e a far conoscere ai giovani dell’epoca l’epopea del guitar hero e della sua “Blackie”, la leggendaria sei corde assemblata utilizzando i pezzi migliori di tre Strato, sono Layla, una delle canzoni più intense e passionali mai scritte riguardo a un amore non corrisposto, qui riproposta in una versione tiratissima, e White Room, classico dei Cream ripescato dopo tanto tempo e “gettato” a furor di popolo in setlist dopo una comparsata alla puntata dell’8 maggio del Late Night with David Letterman.
Fender Clapton Custom Shop BLK
“Ho ancora i brividi a pensare al Live Aid!! La mia canzone preferita della serata fu White Room. Ho sempre amato quel magico momento in cui Eric la suonava, è così bella!”.
–Marcella Detroit, estratto da intervista di Alessandro Vailati pubblicata su Loudd.it, luglio 2021.
Circondato da una band scintillante, con due batterie (Collins e Jamie Oldaker), il basso pulsante di Donald “Duck” Dunn e un ritorno importante, quello di Marcy Levy aka Marcella Detroit ai cori, Clapton vive una specie di rinascita musicale in diciotto minuti, riprendendosi il ruolo di chitarrista, cantante e songwriter in un colpo solo. E forse non è un caso che il suo acclamato tour del 2025 presenti come opener proprio White Room, quarant’anni dopo quella leggendaria performance…
La reunion dei Led Zeppelin e il gran finale
Non tutte ciambelle riescono col buco: il vecchio detto ben si applica anche ad alcune performance di Live Aid. Se la rilevanza storica della reunion dei Led Zeppelin è inconfutabile, il risultato degli sforzi è discutibile, tanto da convincere Robert Plant e Jimmy Page a vietare la diffusione del loro set per eventuali pubblicazioni future. Page, in evidente stato di alterazione, agita le sue Gibson (una Les Paul terribilmente out of tune e l’iconica EDS-1275 a doppio manico per Stairway to Heaven) come una durlindana impazzita, Plant gorgheggia quasi afono cercando di tenere i tempi davanti a un John Paul Jones attonito e sgomento.
Harley Benton DC-Custom II 612 Cherry
Rimane comunque una prestazione da registrare negli almanacchi delle statistiche e fa un po’ sorridere pensare che il buon Jimmy se la sia presa a morte con il povero Phil Collins, reo, secondo lui, di aver pesantemente influito in maniera negativa sulla performance, armonizzandosi male con Tony Thompson (degli Chic), l’altro batterista presente. Ai posteri dei posteri l’ardua sentenza, per una possibile riabilitazione attualmente difficile da pensare…I tre Zeppelin avranno le opportunità per riscattarsi nei decenni successivi, insieme o separati, grazie ad alcuni progetti indovinati.
Nel finale sfilano i Duran Duran, alcuni membri dei Temptations si uniscono a Hall & Oates, mentre Mick Jagger e Tina Turner infiammano un clima rovente già di suo (chi l’ha vissuta la racconta come una delle giornate più calde mai esistite su questa Terra!) ricordando i paradigmi del rock and roll. E se poche ore prima un trio inaspettato composto da Steve Stevens, Nile Rodgers e Madonna, pilotato dai Thompson Twins, sorprende in un’imbizzarita cover di Revolution dei Beatles, un altro trittico di personaggi illustri quali Bob Dylan, Ronnie Wood e Keith Richards tira invece un po’ troppo a campare, nonostante l’immancabile vena polemica del primo, soprattutto per l’evidente scazzo dei due Rolling Stones.
Così, dopo un’estenuante e tuttavia appagante maratona di sedici ore, giungiamo al gran finale citato all’inizio e…Niente sarà più come prima.
Il 13 luglio 1985, soprannominato “il giorno in cui il rock’n’roll ha cambiato il mondo”, con i suoi 150 milioni di sterline raccolti grazie agli spettacoli del Live Aid nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rappresenta una data epocale. Per una volta, e finalmente, la musica surclassa politica ed economia e si pone al primo posto nel tentativo di fare del bene, lasciando nel cuore di ogni singolo spettatore (e telespettatore) la felicità di aver contribuito a rendere il mondo un posto migliore.
Stremato, ma mai così vivo: ritratto di Phil Collins a Live Aid e altre curiosità
La storia di Phil tra UK e USA, coinvolto nel set di EC e LZ
Se un sogno può avverarsi, non è bello fare di tutto per realizzarlo?
Imprese come quelle di Phil Collins, specialmente se contestualizzate nell’epoca, non sono solo straordinarie: evocano un che di più profondo, fanno pensare alla musica come qualcosa di ubiquo non solo a livello sonoro, ma anche a livello fisico.
L’allora nuovo leader dei Genesis, lanciato pure nella carriera solista con il pluripremiato No Jacket Required, dopo aver dato il meglio al fianco di Sting, vola in USA su un Concorde. Anche a Philadelphia la chicca è il suo set al pianoforte, ma, ovviamente, non è finita qui per questo camaleontico personaggio: eccolo inoltre dietro alle pelli per suonare con Clapton e nei redivivi Led Zeppelin. Incredibile!
Curiosità, sorprese e grandi assenti
Forse non tutti sanno che David Gilmour cambia la sua Sunburst 57 del 1983, che si guasta durante Sensation, la prima canzone del set con Bryan Ferry, con la già menzionata Stratocaster 57 candy apple red.
Alcuni avranno notato il dito medio alzato per un attimo da Tom Petty al minuto 1.11 di American Girl. Chissà a chi era rivolto, sui social vi sono tante ricostruzioni, nessuna realmente convincente. In seguito (minuto 2.12) il rocker allarga le braccia stupito dal volume della sezione fiati, mentre la Telecaster di Mike Campbell prosegue i fraseggi imperterrita.
“Scandalo”, invece, nella seconda parte del duetto It’s Only Rock ‘n Roll (But I Like It). Il colpevole è sempre una “pietra rotolante”: Mick Jagger preso dalla foga si mette a torso nudo, poi si riveste con una giacca gialla e, al minuto 4:23, strappa via parte del vestito di Tina Turner, lasciandola finire la canzone in quello che era, di fatto, un body.
Infine molti si saranno accorti delle gesta di Ronnie Wood quando, sul finire di Blowing in the Wind, si toglie la chitarra e la porge a Dylan, in affanno per la rottura di una corda della sua. Si narra che l’istrionico “Woody”, non inquadrato, dopo aver alzato le spalle al pubblico, suoni l’air guitar, imitando persino Pete Townshend degli Who, facendo oscillare il braccio in ampi cerchi fino a quando (e qui lo vediamo) un roadie gli porta una chitarra di ricambio.
Durante la manifestazione, inoltre, vi sono stati tanti collegamenti con il resto del mondo e per noi amanti della chitarra la chicca rimane sicuramente l’esibizione di B.B. King e la sua “Lucille” dall’Olanda…
Come abbiamo visto, tra UK e USA si esibiscono la crema degli artisti, il fior fiore dei chitarristi, tuttavia con qualche assenza, per un motivo o un altro, inaspettata: come sarebbe cambiato Live Aid con Bruce Springsteen, Michael Jackson, Prince, Roger Waters e Annie Lennox?
Conclusioni
Un miracolo…triplo
I quaranta anni compiuti da Live Aid lasciano un groppo in gola e un pizzico di nostalgia. Quanto accaduto nel 1985 è una sorta di miracolo su tre differenti livelli: tecnologico, emozionale e politico.
Pensate al significato di un concerto del genere in un’epoca senza cellulari e internet, ove la semplice e-mail era un sogno del futuro. Niente social, streaming, TV on demand, DVD. Vedere su uno stesso palco in un sol giorno celebrità del calibro di Sting, Queen, Dire Straits, Tom Petty e tutti gli altri, grandissimi artisti uniti per un’unica, benefica causa fa ancora venire i brividi. Quando sarà possibile rivivere un’emozione del genere, unire la musica a un messaggio politico ben definito?
We Will Rock You
“Vive le Rock” cantava Adam Ant, non a caso uno dei protagonisti della manifestazione insieme ai “ribelli” Mick & Tina, alle prese con un classico dei Rolling Stones dal titolo chiaro e incontrovertibile, It’s Only Rock ‘n Roll (But I Like It). Ma non solo. We Will Rock You è forse il più potente inno alla vita mai creato musicalmente, grazie al suo ritmo semplice, evocativo e primordiale, e liricamente, con le tre strofe del brano a rappresentare le tre età dell’uomo: la speranza del bambino, il coraggio dell’adulto e la saggezza raggiunta con l’accettazione della vecchiaia.
Ed eccoci al punto. Il rock è invecchiato benissimo. Gran parte dei brani di Live Aid mantengono intatto tutto il loro fascino e la forza espressiva. Per diventare dei classici non basta la vetustà, occorre avere la capacità di raccontare dell’oggi: le canzoni di cui abbiamo parlato continuano a farlo, è come se il tempo si fosse fermato e tutto avesse raggiunto un’altra dimensione.
Classici Immortali.
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