Ispirandosi al fenomeno naturale dell’eco il musicista ha sempre trovato nel delay uno stimolo a sperimentare ed ampliare il palcoscenico sonoro della chitarra e più in generale degli strumenti, sia dal vivo che in studio. Usato sia come semplice aggiunta che come vero e proprio strumento questo effetto, sia rack che nella versione a pedale, ha permesso la creazione di innumerevoli brani musicali che non sarebbero mai stati lo stesso senza di esso.
Partendo dalle sue forme più rudimentali fino ad arrivare agli algoritmi più complessi, utilizzati nei moderni pedali, approfondiremo in questo articolo il funzionamento e l’uso di un effetto immancabile nella catena sonora di uno strumento: il delay.
Cos’è il delay?
La definizione più generica e caratteristica per un effetto come il delay corrisponde alla seguente: un effetto, analogico o digitale, che permetta di ottenere in uscita la ripetizione ad intervalli temporalmente equispaziati del suono in ingresso. Questa definizione riassume in poche parole il funzionamento base dell’effetto, ma ovviamente esso non si limita a questo. In tutte le sue forme il delay, o più in generale i macchinari con cui era prodotto, sono sfruttati dall’industria musicale in svariati modi.
Un esempio può essere quello dei musicisti country che settando un delay analogico con una singola ripetizione molto corta ottenevano quello che in gergo si chiama slapback, ovvero un effetto molto simile alla situazione in cui la nota plettrata sia suonata due volte consecutive in maniera molto ravvicinata. Curioso l’utilizzo che ne facevano Jimmy Page e Van Halen i quali invece di usare il delay presente nel macchinario Echoplex EP-3 (un delay analogico a nastro magnetico) utilizzavano solamente il preamplificatore integrato per colorare il suono. Un ultimo esempio può essere quello di The Edge degli U2 che utilizza il delay per creare dei veri e propri pattern ritmici che vanno ad affiancarsi alla batteria.
Come lo percepiamo?
Il fondamento con cui opera il delay si ispira all’effetto che possiamo ottenere in un grande spazio chiuso con poco assorbimento acustico come ad esempio una grotta. Riprendendo il precedente approfondimento sul riverbero possiamo descrivere il delay come un riverbero le cui ripetizioni sono abbastanza separate nel tempo da risultare distinguibili all’orecchio umano ed organizzate in modo da essere equidistanti. Un piccolo esperimento può essere infatti quello di provare ad abbassare al minimo il settaggio di tempo del delay per notare come l’effetto somigli al riverbero, con le dovute differenze.
La spazialità del suono chiaramente ne giova permettendo di ottenere suoni d’ambiente (il genere ambient si fonda proprio su un largo utilizzo di delay e riverberi) ed il tutto è particolarmente potenziato dall’introduzione di delay stereo che permettono un diverso settaggio (temporale o di feedback) dei canali destro e sinistro. Pat Metheny utilizzava già questa tecnica negli anni ‘80 grazie a due moduli delay rack di eventide, ma ora con la presenza sul mercato di pedali dotati di uscite stereo e DSP (digital signal processor, un potente processore di segnali audio) come il Walrus Audio MAKO D1 le potenzialità di ampliamento spaziale e sperimentazione, soprattutto in contesti live, è alla portata di tutti.
Walrus Audio MAKO D1 V2
Tipologie di delay
Il mercato pullula oggigiorno di potenti pedalini con capacità di calcolo paragonabili a quelle di un computer, lo sviluppo di queste tecnologie ha permesso agli algoritmi digitali, sia di emulazione di hardware analogico che non, di essere incredibilmente veritieri e spingersi verso diverse possibilità sonore come il reverse delay e il glitch delay. Un esempio di queste nuove tecnologie si può vedere in questi pedalini di Walrus particolarmente sperimentali che lascio a voi approfondire:
Walrus Audio Fable Soundscape Generator
Walrus Audio LORE Soundscape Generator
Nonostante la presenza sul mercato di tutti questi nuovi algoritmi ed effetti mi limiterò a presentarvi i più famosi e storicamente rilevanti.
Le principali tipologie di delay, siano esse riprodotte digitalmente o analogiche, sono echo a nastro, bucket-brigade e digitale
Echo a nastro
L’echo a nastro è il delay più anticamente sviluppato ed il suo funzionamento si basa sulla rotazione di un nastro magnetico attorno a delle testine. Il nastro magnetico viene polarizzato dalle testine e ottiene dunque memoria del suono. Girando più o meno velocemente a seconda del settaggio il registratore rileva questa memoria magnetica ed il meccanismo permette di ottenere in uscita una copia del segnale in ingresso. Questi delay, sebbene siano molto fragili ed inclini ad aver bisogno di frequente manutenzione, sono noti per avere un calore unico ed una leggera distorsione armonica dovuta appunto alla saturazione magnetica del nastro. Un’altra caratteristica che li contraddistingue è lo scurimento del suono e la sua leggera distorsione derivanti dall’usura del nastro magnetico.
Bucket Brigade
Il Bucket Brigade è un delay analogico che ha alla base del suo funzionamento un chip chiamato per l’appunto Bucket Brigade. Il chip fondamentalmente non sfrutta altro che delle piccole celle capacitive al suo interno lungo il percorso del suono che, come il nastro magnetico dell’echo, hanno memoria del suono. I delay bucket brigade mancano dello spessore sonoro, della modulazione (che gli verrà aggiunta in seguito) e delle caratteristiche di saturazione del delay a nastro, tuttavia compensa con un costo di acquisto e manutenzione molto meno elevato ed una compattezza notevole. Un’altra caratteristica di questa tipologia di effetto è il colore scuro delle ripetizioni.
Delay digitale
Il delay digitale rappresenta per così dire l’alternativa moderna a quelli che sono tutti i più costosi delay analogici sul mercato. Nella sua forma più basilare il delay analogico non fa altro che copiare digitalmente il segnale in ingresso ed applicare delle ripetizioni equispaziate a seconda del settaggio. Il segnale viene dunque digitalizzato in zeri e uni perdendo quello che è il colore impartito da una macchina analogica. Le ripetizioni sono particolarmente brillanti e al contrario dei delay precedentemente presentati non si degradano nel tempo, ovvero a mano a mano che le ripetizioni aumentano esse non vengono intaccate o sporcate.
Ecco 3 esempi in ordine per queste 3 categorie:
T-Rex Binson Echorec Disk Delay
MXR M169 Carbon Copy Analog Delay
Boss DD-3T Digital Delay
Tendenzialmente i settaggi dei vari delay sono molto semplici ed intuitivi. Un controllo di mix decide il rapporto tra la quantità di effetto ed il segnale dry non effettato (nei delay moderni settando il controllo al massimo si taglia di fatto il segnale in ingresso). Un controllo di feedback che dà un’indicazione sulla quantità di ripetizioni ed un controllo di time che gestisce il ritardo delle ripetizioni. Nei delay più moderni sono presenti anche un footswitch chiamato tap tempo che serve a settare direttamente col piede il tempo delle ripetizioni e dei controlli per controllare (soprattutto nei delay analogici) una modulazione applicata al segnale.
Per dare un contesto al tutto e farvi sentire immediatamente l’effetto, ho deciso di registrare dei piccoli sample di chitarra con e senza un delay analogico Bucket Brigade: il classicissimo Carbon Copy della MXR. Gli esempi sono suonati con una Gibson Les Paul standard 2013 con pickup Seymour Duncan Alnico Pro ll. Le tracce audio sono registrate utilizzando una scheda audio Audient id14mkll e il canale pulito del plug-in SLO100 della Neural-DSP.
MXR M169 Carbon Copy Analog Delay
Seymour Duncan APH-2S Slash Alnico II Pro ZB
Audient iD14 MKII
Eccoli a voi:
Spero di aver stimolato la vostra curiosità per quello che, forse, rappresenta l’effetto con più possibilità sonore presente oggi: il delay. Dai macchinari analogici più costosi fino ai più economici effetti digitali sono sicuro che nella vostra pedaliera troverete un posto per questo incredibile pedale.
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