In questa nuova intervista abbiamo incontrato Giorgio Secco, un’istituzione della chitarra nel nostro paese. Oltre alla lunghissima collaborazione con Eros Ramazzotti può annoverare tour e dischi con Giorgia, Tiziano Ferro, Mina, Adriano Celentano e molti altri. Ci siamo dati appuntamento al Sound Workshop di Monza. Ecco che cosa è uscito dalla nostra chiacchierata…
Planet Guitar: Ciao Giorgio e benvenuto su Planet Guitar! Ci sono tante cose di cui vorremmo parlare con te. Partiamo dall’inizio, da quando ti sei appassionato alla chitarra…
Giorgio Secco: Ho iniziato con il pianoforte quando avevo circa 11 anni. Dopo cinque anni di lezioni massacranti, perché all’epoca si faceva sul serio, non ce l’ho fatta più e ho mollato. Dopo pochi mesi mio padre è arrivato a casa con una chitarra classica 3/4 e ho iniziato a suonare. Non ho mai smesso!
P.G.: Quando hai pensato che potesse diventare una cosa seria?
G.S. : In realtà mai, nel senso che ho sempre suonato tanto, ma non ho mai creduto di riuscire a fare di questa cosa un lavoro. È successo dopo tanti anni ed è successo un po’ in maniera naturale, non saprei dire quanto è stata provocata da me. Francamente non ci speravo moltissimo, devo dire la verità.
P.G.: Diciamo che è una cosa che è maturata con il tempo e l’esperienza di vari progetti…
G.S. : Con mio fratello, che all’epoca suonava la batteria, facevamo colonne sonore…cose piccole per carità. Poi avevamo un quartetto blues oriented diciamo e facevamo un bel po’ di serate, c’erano tanti locali…però se e quando arrivavano dei soldi erano frutto della composizione di questi piccoli jingle. Grazie a quello sono entrato in contatto con molti addetti ai lavori; è arrivato il primo tour e le cose hanno iniziato a mettersi sulla strada giusta. Meno male perché avevo lasciato l’università con l’intento di suonare, ma non sapevo bene come fare e dove andare.
Avevo circa vent’anni e all’epoca era un’età dove bisognava già avere delle idee e le persone attorno si aspettavano che tu facessi già qualcosa di concreto. Questa cosa stride con lo studiare, il crescere musicalmente, avere tutto il tempo necessario per maturare con la musica. È una scelta difficile e lo vedo ancora oggi quotidianamente con i miei allievi. A meno che tu non sia particolarmente fortunato, questa è una strada che va avanti a piccoli step… Si va un po’ avanti e a volte di torna indietro e piano piano, senza quasi accorgersene raggiungi un minimo di stabilità che è comunque sempre molto relativa.
P.G.: Raccontaci quando è arrivato il momento nel tuo percorso in cui hai pensato che era il momento di fare sul serio.
G.S. : Il momento di fare sul serio… Non so forse quando ho iniziato con Eros Ramazzotti. Prima ci sono stati più di dieci anni di altri lavori, conditi da qualche brutta esperienza che mi ha sempre indotto ad essere cauto. Non ho mai pensato “Ok ora sono tranquillo, ce l’ho fatta!”
P.G.: Con Eros possiamo parlare di una collaborazione stabile e durevole…
G.S. : Anche qui andrei molto cauto! Il capo può sempre decidere di cambiare la band, di fare altre scelte artistiche. La sicurezza non c’è mai anche se adesso sono passati più di vent’anni dalla prima data ed è sicuramente la collaborazione più lunga e continuativa.
Grazie a lui ho girato il mondo svariate volte. Stati Uniti, Sud America, Russia, Germania, Francia, Spagna… Non siamo mai stati in Giappone e credo sia uno dei pochi luoghi che non abbiamo toccato.
P.G.: Sappiamo che sei un appassionato di strumentazione. Ti faccio la domanda dell’isola deserta…una chitarra, un ampli e un pedale.
G.S. : Non potrei mai rinunciare al mio Fender Princeton. È del 1964, ha la mia età! Con lui ho registrato tantissime cose ed un ampli con il quale posso fare tutte le cose che mi piacciono.
Pedale direi un distorsore, un Dumbloid, con quello riuscirei a passare il tempo piacevolmente.
Chitarra direi proprio una Telecaster!
Fender AV II 51 TELE MN BTB
P.G.: Hai sempre avuto la passione per il gear o è una cosa che è cresciuta con il tempo, anche in virtù della ricerca del suono per i tuoi progetti solisti?
G.S. : Direi tutte e due le cose. La fissa per la strumentazione ce l’ho da molto tempo senza una motivazione particolare. Con il crescere del mio lavoro come turnista ho sempre cercato di avere una palette di suoni variegata, anche se non sono mai stato dell’idea di avere tutto. Ad esempio io non ho una distorsione tipo Mesa Boogie, spinta, da metal. Ho provato qualche volta ad ottenerla, ma è un tipo di suono che non mi appassiona e ad un certo punto mi sono detto “Non mi piace e non ce l’ho, amen”.
Ho sempre lavorato pensando a cosa mi piace di più, ai suoni attraverso i quali posso dire qualcosa. Mi piace ricercare i suoni che sento sui dischi che mi piacciono e non è detto che il risultato lo si ottenga con la stessa strumentazione; ci si può incredibilmente arrivare con altro ed ottenere la stessa sensazione sonora. A quel punto metti via quel suono e sai di averlo nel tuo arsenale. Il crollo del lavoro in studio degli ultimi anni è stata un’occasione per puntare ancora di più a ciò che mi piace davvero e a lasciare il resto.
P.G.: Quali sono state le influenze musicali che ti hanno portato ad essere il musicista che sei oggi?
G.S. : Io ho cominciato ascoltando il punk, i Police… La musica che andava ai tempi della scuola, che ascoltavano tutti i miei amici. Tutti cercavano di suonare quel tipo di musica e quindi ho avuto questo imprinting. Nello stesso tempo amavo il folk, soprattutto Neil Young. Conosco a memoria tutto il suo repertorio e ho bene in testa, nelle orecchie e nel cuore il suo suono di chitarra acustica. Ho tenuto ben nascosto il tutto ai miei colleghi quando ho iniziato a lavorare; nessuno conosceva un gruppo punk! Forse i Sex Pistols perché li conoscono un po’ tutti…e con gli amici punk tenevo nascosta la mia passione per Neil Young altrimenti mi avrebbero preso per un “fricchettone”!
P.G.: Ascoltando alcune delle tue canzoni si sentono molti strati nel tuo modo di suonare, eco di diversi generi…
G.S. : È inevitabile, la curiosità musicale c’è sempre. A un certo punto senti Scott Henderson e pensi “aspetta un attimo, cosa sta succedendo?”. Cerchi di capire che scale sta usando, come fa i suoni e da lì parte un lavoro dalla teoria che si sposta poi alla pratica, facendo i conti con il fatto che non userai spesso queste sonorità. Ci vuole una marea di tempo per svilupparlo e pochissime occasioni per sperimentarlo. Ma è indispensabile affrontare queste cose… Come lo studio del jazz ad esempio. Non puoi non aver frequentato un po’ di bebop, è fondamentale anche perché gli altri intorno a te spesso sono in grado di parlare, anche approssimativamente, quel linguaggio. È proprio una questione di battere diversi percorsi per ampliare il proprio vocabolario.
P.G.: Hai detto una verità assoluta. In tanti si approcciano a generi più complessi, ad artisti come Scott Henderson. Ci sono tanti input ma poi, purtroppo, le occasioni dove poter mettere in pratica sono veramente poche…
G.S. : Assolutamente sì! Io ho anche la fortuna all’epoca di suonare tanta musica strumentale. Suonavo con una band, i Soggetti a rischio, con Maxx Furian, Marco Bianchi e Massimo Scoca; lì ho fatto tanta esperienza, soprattutto sui cambi dove ero un po’ debole. Ho dovuto lavorare molto per suonare su certi accordi e quello era il momento per confrontarmi con quel modo di suonare che poi mi è servito molto anche più avanti.
P.G.: Prossima domanda. Componi la tua band ideale nella quale suonare come chitarrista ovviamente.
G.S. : Allora prenderei la sessione ritmica di John Hiatt, ovvero Nick Lowey al basso e Jim Keltner alla batteria. Vogliamo prendere un tastierista? Chiamiamo Larry Goldings che è un’iniezione di classe ed eleganza. Per la voce mi piacciono le voci femminili… Direi Chrissie Hynde che facciamo salire ogni tanto a fare un pezzo! Anche Norah Jones, visto che stiamo sognando…
P.G.: Ricordo che mi facesti ascoltare una cantante molto brava…Phoebe…
G.S. : Phoebe Snow! Mi piace molto, gran bella produzione, suoni stupendi! Lei ad un certo punto ha avuto a che fare a livello di produzione con Blake Mills, chitarrista strepitoso e bravissimo produttore. Non ha fatto tantissime cose, ma ha un modo di suonare e concepire le produzioni proiettato in avanti di vent’anni!
P.G.: Parlaci di cosa stai combinando con i tuoi progetti solisti.
G.S. : Noi come trio, anzi come quartetto visto che c’è anche Nicola Peruch alle tastiere, abbiamo un disco cantato di inediti che è in uscita. Quando non lo so perché dipenderà molto poi dalla promozione, che, come sai, non è mai semplice. In trio invece con Luca Corradin e Diego Visigalli abbiamo formato i Joe Dry & The Seltz, progetto di cover rock blues, classic rock. Musica che difficilmente si sente in giro ma che conta diversi appassionati.
P.G.: Siamo al momento dell’aneddoto! Pensa ad un momento divertente oppure tragicomico che ti è successo in tutti questi anni…
G.S.: Me ne viene in mente uno. Eravamo in tour con Eros a Bruxelles in questo grandissimo albergo… Non mi sembrava neanche vero! Ci volevano i pattini per andare da una parte all’altra…
In quel tour c’era un corista bravissima, di Londra, si chiama Joe Malcolm. Ha lavorato anche con Brian Ferry… Un curriculum spaventoso!
Una notte io me ne stavo in camera con la mia signora di allora e ad un certo punto la sentiamo urlare fortissimo in corridoio, come se la stessero aggredendo. Corriamo fuori, in mutande… Vediamo lei con delle forbici in mano che inveisce contro il suo ragazzo! Lui le si avvicina e così lei indietreggiando inciampa, le cadono le forbici e corre nella mia camera, chiudendosi dietro la porta. Rimaniamo io e la mia ragazza in mutande, con le forbici e questo tizio di colore nudo che veniva verso di noi. Questa era la situazione!
Nel frattempo arriva la security che lo porta via di peso e nonostante ciò lei non vuole più uscire dalla mia stanza!
Comunque lei era davvero fuori di testa… Arrivava sul palco con il bicchiere di whisky e si lamentava che non sentiva nulla e magari non aveva né le cuffie né tantomeno il body pack! Grande cantante, ma personaggio davvero strano…
P.G.: Grazie mille Giorgio per questa bellissima chiacchierata e sicuramente ci vedremo presto!
G.S. : Grazie a voi! A presto!
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