L’8 novembre del 1949 nasceva a Burbank (California, Stati Uniti d’America) Bonnie Lynn Raitt, songwriter, chitarrista e cantante blues, nonché una delle donne più iconiche della storia del rock e del blues, fonte di ispirazione per moltissime chitarriste. La “baronessa del blues” è attiva fin dai primi anni ‘70, con una carriera che ha spaziato tra il rock, il blues, il folk e il country. Bonnie ha collaborato anche con artisti di grandissimo valore e leggendari come Warren Zevon, Jackson Browne, B.B. King, John Lee Hooker, John Prine, Elton John, i Little Feat, Norah Jones e Sheryl Crow, solo per citarne alcuni.

Il grande successo di pubblico arrivò però solo verso la fine degli anni ‘80, con l’album Nick of Time del 1989. Successo che proseguì poi anche con il suo disco seguente, Luck of the Draw del 1991, da cui Paul e Matt di Guitar Tutorials hanno scelto la ballad I Can’t Make You Love Me per omaggiarla nel giorno del suo settantaquattresimo compleanno.

Credit: Simon Reed/WENN.com I Alamy Stock Photo

Vincitrice di 13 Grammy Awards e addirittura del Grammy Lifetime Achievement Award, conferito nel 2022 e che è riconosciuto solo ad “artisti che, nel corso della loro vita, hanno apportato contributi creativi di eccezionale rilevanza artistica nel campo della produzione discografica”, è chiaro che la carriera di Bonnie parla da sola.

Avvicinata alla musica fin da piccola e cresciuta in una famiglia di artisti, la madre era una pianista e il padre un attore di musical. Bonnie iniziò a suonare la chitarra a otto anni, verso la fine degli anni ‘50, influenzata dal revival per la musica folk americana del periodo.

Continuò quindi a suonare e a migliorare con la chitarra, suo vero rifugio, per tutti gli anni dell’adolescenza e dell’high school, per poi proseguire anche al college dove, grazie al promoter di musica blues Dick Waterman, ebbe la possibilità di trasferirsi per un semestre a Philadelphia e provare a lanciare la sua carriera. Grazie all’esibizione dell’estate del ‘70 con Mississippi Fred McDowell al Philadelphia Folk Festival e al concerto di apertura per John Hammond al Gaslight Cafe di New York, un giornalista di Newsweek la notò, attirando l’attenzione delle case discografiche.

Bonnie Raitt, album di debutto

Alla fine Bonnie accettò un’offerta dalla Warner Bros. e pubblicò il suo album di debutto, Bonnie Raitt, nel 1971. L’album fu accolto calorosamente dalla stampa musicale, con particolari apprezzamenti per le sue capacità di interprete e di chitarrista bottleneck. Una cosa inusuale all’epoca, dato che poche donne nella musica popolare avevano una solida reputazione come chitarriste.
Il disco non fu però accompagnato da un successo di vendite, cosa che si ripeterà anche con gli altri suoi lavori degli anni ‘70. In quella decade ottenne dei risultati clamorosi, soprattutto con la sua versione di Runaway, inclusa nell’album Sweet Forgiveness del ‘77, e con i cinque concerti, che contribuì ad organizzare nel ‘79, dei Musicians United for Safe Energy (MUSE) al Madison Square Garden di New York. Portarono alla realizzazione dell’album e del film No Nukes, con una sfilza di star (tra cui Bruce Springsteen con la sua E Street Band).

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Come abbiamo ricordato, però, fu solo con la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 che Bonnie iniziò finalmente ad essere apprezzata universalmente dal grande pubblico. Per questo motivo, nel giorno del suo compleanno, abbiamo deciso di omaggiarla con uno dei singoli di maggior successo: il brano del 1991 I Can’t Make You Love Me.

Luck of the Draw: un omaggio a un amico

Cosa si può fare dopo aver vinto tre Grammy Awards, tra cui anche Album of the Year, con il tuo decimo album in carriera? Di certo Bonnie Raitt deve essersi posta questa domanda dopo lo straordinario successo ottenuto nel 1989 con Nick of Time, il suo primo disco con la Capitol e il suo primo lavoro in studio da sobria, realizzato dopo aver risolto i problemi di abuso di sostanze. A tal proposito, nel 1990, in occasione di un concerto alla Minnesota State Fair, la sera successiva alla morte di Stevie Ray Vaughan, Bonnie ringraziò il leggendario chitarrista texano per il suo aiuto nell’affrontare i suoi problemi di dipendenza e gli dedicò la title track del suo ultimo album. L’omaggio, però, non poteva esaurirsi in una sola notte. 

Bonnie decise quindi di continuare la sua collaborazione con il produttore Don Was anche per il disco successivo e il suo pubblico le diede ragione. Luck of the Draw, uscito nel giugno del ‘91, ebbe infatti ancora più successo del disco precedente. Risulta, infatti, ancora il suo album più venduto, con oltre 7 milioni di copie in USA e un grande successo anche in Europa.

Le dodici tracce dell’album sono magistrali e con un sound magnifico. Anche grazie alla partecipazione di musicisti come Robben Ford alla chitarra in Slow Ride, John Hiatt alla chitarra e alle secondi voci in No Business, Jeff Porcaro alle batterie nella title track e Paulinho da Costa alle percussioni in ben quattro brani, solo per citare alcuni dei nomi più altisonanti del ricchissimo personell di questo lavoro. Bonnie non si dimenticò del suo amico Stevie. Dedicò quindi il disco proprio a SRV, una persona che per lei “brucia ancora in modo luminoso”, come da note del booklet.

Scopriamo ora qualcosa in più su I Can’t Make You Love Me, terza traccia dell’album di cui vi abbiamo proposto l’ascolto.

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I Can’t Make You Love Me: una ballad di successo

Secondo singolo del disco, I Can’t Make You Love Me è davvero una gran bella ballad. È inclusa anche nella Grammy Hall of Fame e risulta essere la canzone di Bonnie con il maggior numero di streaming online. Impreziosita dalla presenza di Bruce Hornsby al piano, il brano è stato composto da Mike Reid e Allen Shamblin, due songwriter di musica country. Canzone dalla grande atmosfera e molto carica emotivamente, il brano è così triste che Bonnie ha dichiarato di aver registrato la voce in una sola take e di non essere stata poi più in grado di ripetersi e catturare nuovamente quell’emozione una seconda volta in studio.

Il pezzo è diventato un elemento chiave della scaletta dei suoi concerti. Successivamente, è stato infatti riproposto anche da altre grandi voci, come George Michael, Bon Iver, i Boyz II Men e Adele. Il range vocale e lo spessore di questi artisti rende ancora più giustizia al valore della versione originale di Bonnie, un brano veramente indimenticabile.

Anche se in questo brano non la sentiamo con la sua amata sei corde, Bonnie è anche una grandissima chitarrista. Amante della Fender Stratocaster, solitamente suona un modello degli anni ‘70 con il classico “palettone” e in finitura Natural. È inoltre una delle prime chitarriste a cui Fender abbia mai dedicato una chitarra signature, la Fender Bonnie Raitt Stratocaster prodotta tra il 1995 e il 2001. Potete però provare ad avvicinarvi al look e allo stile di Bonnie anche partendo da un modello Squier:

Squier CV 70s Strat LRL NAT

Squier CV 70s Strat LRL NAT

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Oltre ad aver suonato anche chitarre elettriche come la Gibson ES-175, Bonnie ha suonato anche molte acustiche, tra cui una Guild F-50. Inoltre è ovviamente conosciuta soprattutto per il suo utilizzo delle tecniche slide con il bottleneck, tanto che lo stesso B.B. King una volta l’ha definita “la miglior chitarrista slide oggi in attività“.

Harley Benton Bottleneck/Slides Set Metal

Harley Benton Bottleneck/Slides Set Metal

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Fender Steel Slide

Fender Steel Slide

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Per quanto riguarda gli effetti, Bonnie ha usato il leggendario pedale di distorsione ProCo Rat e l’MXR Dyna Comp come compressore:

Proco Rat 2 Distortion

Proco Rat 2 Distortion

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MXR Dyna comp 1976

MXR Dyna comp 1976

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Se non siete ancora convinti del valore di Bonnie, guardate questa performance con Tracy Chapman, Jeff Beck e Beth Hart in onore del grandissimo Buddy Guy. O questa con i Double Trouble e Jimmie Vaughan, Paul Rodgers e altri in onore di Muddy Waters.

Buon compleanno, “baronessa del blues”!

Bonnie Raitt con la sua Fender Stratocaster in finitura Natural. Credits Boz Bros I flickr

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Riccardo Yuri Carlucci