La bassista americana Suzi Quatro è emersa sulle scene con “Can the Can” nel 1973 e da allora non ha mai smesso di esprimere il suo spirito creativo. Planet Guitar scopre che sono state la fiducia in se stessa, l’energia incontenibile e la devozione per Elvis a spingerla sempre verso nuovi orizzonti…

Credits: INTERFOTO / Alamy Stock Photo

Planet Guitar: Che vita che hai avuto!

Suzi Quatro: Lo so, a volte lo penso anch’io! Ero prenotata per un Q&A dopo il documentario “Suzi Q”, ma volevo vederlo con il pubblico, e così mi sono intrufolata in disparte, e continuavo a dirmi: “Ho fatto questo… e questo…“. Mi sono sentito umiliata. Era tutto lì davanti a me, sul grande schermo. È una sensazione strana, sì! [ride]

PG: Tornando alle tue radici, tua madre era ungherese e tuo padre italiano… 

SQ: Sì, a mia madre piaceva chiamarlo “aglio e paprika” [ride] Quando vado a Budapest, sento mia madre dentro. Quando vado in Italia – soprattutto a Roma, perché mio nonno veniva da lì – sento il mio legame in una maniera molto forte. Quindi, sento un’uguale affinità con entrambi i Paesi. Ce l’hai nel sangue. Non puoi farne a meno. 

PG: Ho letto che non parli nessuna delle due lingue, ma forse stai facendo la modesta…

SQ: Ho imparato alcune parolacce in entrambe! Mia madre parlava correntemente l’ungherese, ma mio padre non parlava bene l’italiano. Mio nonno è stato in America da quando aveva dieci anni, ed è stato un “still-a-talk-a-like-dat“, per tutta la vita. E noi ridevamo perché lui diceva: “Non so perché dite ”I-talk-a-like-dat’ – io non lo faccio!“. Ma lui lo faceva! [ride]

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Ulteriori informazioni

PG: Sei cresciuta a Detroit, e tuo padre lavorava sia nel mondo delle auto che in quello della musica… 

SQ: Sì, diceva spesso: “Vorrei aver avuto il coraggio di fare quello che hai fatto tu, perché ho il talento che hai tu… e il carisma!“. E aggiungeva: “Ma avevo cinque figli da mantenere, quindi ho dovuto lavorare alla General Motors“. Ogni sera suonava la sua musica e aveva molto successo. Era conosciuto in tutti i country club e ai matrimoni. Se avevi bisogno di un quartetto, avevi il tuo quartetto; se avevi bisogno di un’orchestra, lui ti procurava un’orchestra… 

PG: E la vostra casa era piena di strumenti… 

SQ: Sì, era una vera casa della musica. Suono, leggo e scrivo percussioni e pianoforte classico, e sono autodidatta al basso. E suono abbastanza la chitarra da poter scrivere una canzone. Nulla di cui vantarsi, però, perché tutti e cinque i figli sono polistrumentisti. Mia sorella suonava l’arpa e avevamo tre pianoforti, due fisarmoniche, violini, banjo e un mandolino elettrico che ho ancora a casa appeso al muro.

PG: Come hai iniziato?

SQ: Dopo aver visto i Beatles in TV, mia sorella Patty disse: “Ehi, perché non mettiamo su una band di sole ragazze?“. E tutte noi rispondemmo “Sì!“. Così ogni ragazza si è buttata subito: “Io prendo la ritmica, la batteria, la voce solista; io il pianoforte“. Io ho detto: “Pronto?! Cosa devo suonare?“. E Patty disse: “Tu suonerai il basso; va bene?“. Non mi dispiaceva. Così andai da mio padre e lui mi regalò il mio primo basso: un Fender Precision del 1957, con la striscia sul retro del manico, la placca dorata, la finitura sunburst. È come regalare a un sedicenne una Rolls-Royce come prima auto! In seguito, quando sono passata a manici diversi e a misure diverse, non mi sono piaciuti; sono tornata al mio Fender perché è lì che si trova il mio cuore. 

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PG: Suonavate dal vivo fin da giovanissime: saltavate la scuola? 

SQ: No, saltavo la chiesa! E non ditelo a mia madre; probabilmente sta ascoltando lassù! [guarda il cielo]. All’inizio ho imparato a suonare il bongo, e sono diventata piuttosto brava. Un giorno mio padre disse: “Sto per lasciarti in chiesa, ma ho i tuoi bonghi sul sedile posteriore; vuoi venire con me al mio concerto?“. Così andavo con lui e mi pagava 25 centesimi per fare tre o quattro canzoni. Mia madre non l’ha mai saputo. Quando mi accompagnava in chiesa, però, se vedevo che il mio bongo era sul retro, sapevo che sarei andata al suo concerto! [ride] In pratica la mia vita sregolata è cominciata a otto anni! [entrambi ridono]. 

PG: Dopo le Pleasure Seekers, eri nelle Cradle, quando Mickie Most ti portò a Londra, dove hai vissuto in una camera da letto dall’aspetto molto triste. Hai avuto qualche dubbio in quel periodo?

SQ: Non ho mai avuto dubbi sulla strada che stavo prendendo. Se ho deciso di andare da qui a lì, ho un buon istinto e sapevo di avere le carte in regola. Ci sono stati molti momenti di solitudine. Non avevo soldi e non c’era un telefono nella stanza. Quindi molto spesso piangevo fino ad addormentarmi. Mi piace però pensare che stavo soffrendo per la mia arte; ce l’ho fatta!

PG: Certo che ce l’hai fatta! I tuoi primi tour sono stati con i Thin Lizzy e gli Slade: ci puoi raccontare un aneddoto?

SQ: Ne ho milioni. Avevo formato la mia band e avevamo fatto il tour dei college, facendo tutte le mie canzoni. Poi Mickie chiamò Chas Chandler, che gestiva gli Slade ed era il bassista degli Animals, e disse: “Ho questa ragazza. Diventerà una grande star. Può unirsi al tour?“. Così ebbi 15 minuti all’inizio dello spettacolo. La storia preferita di Noddy [Holder] è che durante quel tour ha visto il mio ex Lenny [Tuckey] ed io innamorarci. Dice sempre: “Ho visto il flirt. Ho osservato gli sguardi l’uno dell’altro e all’improvviso l’ho visto“. E me lo ricorda ogni volta che lo vedo: “Ti ho visto innamorarti!“. “Ok, Noddy, va bene…“. [ride]

PG: Poi è arrivato il grande momento nel 1973 con Can the Can; come hai gestito la fama?

SQ: Ricordo di aver pensato: “Sono la numero uno. Ne è valsa la pena!“. Ho ricevuto una cassa di champagne dalla EMI, il telefono squillava a ripetizione e venivo assalita nei pub. È stata una bella cosa. Per uno o due giorni ho vissuto una sorta di trip dell’ego, pensando di essere meravigliosa. Poi ricordo di essermi svegliata una mattina, di essermi guardata allo specchio e di aver detto: “Idiota, sei esattamente la stessa idiota che sei sempre stata!“. E poi sono tornata sulla terra di botto. Però non è così che vivo, sai? Non è il mio posto. Non è mai più andata così.

PG: Fino alla settimana scorsa non avevo idea che avessi suonato in Dance with the Devil di Cozy Powell…

SQ: Ho suonato in molte cose. Cozy Powell e Jeff Beck erano entrambi presenti a quell’incontro iniziale, perché Mickie era venuto a Detroit per registrare con loro. Vennero a vedere i Cradle e Jeff si sporse in avanti e disse: “Mickie, la bassista!“. E Mickie rispose: “Presa“. Ecco… Jeff era un grande e Cozy era un uomo adorabile…

PG: Poi sei diventata famosa in America, recitando in Happy Days e pubblicando Stumblin’ In con Chris Norman degli Smokey. Il tuo obiettivo era quello di sfondare negli Stati Uniti?

SQ: Sono andata in tournée nel ’74 per la prima volta con i miei successi inglesi, ma alla radio sentivo solo Linda Ronstadt e gli Eagles. Debbie Harry dice che era troppo presto. Poi Suzi Quatro è arrivata in America con il ruolo di Leather Tuscadero di Happy Days: fu pazzesco!

PG: Mi sembra di capire che torni spesso a Detroit, dove conosci Iggy Pop e Alice Cooper…

SQ: Ho conosciuto Iggy Pop quando era batterista nei Prime Movers. E Alice Cooper lo conosco da quando ero adolescente. Abbiamo fatto il tour “Welcome to My Nightmare” nel 1975, con 80 concerti – è stato un incubo! [ride] Però spero di poterlo avere nel mio prossimo album. Lo adoro. 

PG: Oltre alla tua carriera musicale e televisiva di successo, hai fatto anche teatro, radio e scritto romanzi… Ci sono forme di intrattenimento che ti piacerebbe ancora fare?

SQ: Un film, non l’ho ancora fatto. E mi piacerebbe che si facesse un documentario sulla mia vita; ci stiamo lavorando.

PG: I commenti su YouTube sono pieni di stupore per l’energia che trasmetti nei tuoi spettacoli dal vivo…

SQ: Mia madre diceva sempre: “Suzi, perché non vai a rincorrere te stessa per tutto l’isolato?“. E da allora non ho mai rallentato. Faccio spettacoli di due ore e quando ho finito, onestamente potrei farlo di nuovo. Detto questo, quando dormo, dormo… Voglio dire, potrebbe esplodere una bomba e non mi sveglierei! 

PG: In una delle tue interviste hai detto di essere una intrattenitrice nata che vuole far divertire la gente. E mi hai fatto venire in mente un altro artista che ha detto quasi le stesse identiche parole – sai chi?

SQ: Era Elvis? 

PG: Sì! [entrambi ridono]

Quatro spiega di aver visto Elvis per la prima volta quando aveva cinque anni e mezzo, guardando l’Ed Sullivan Show con la sua famiglia. Dice di ricordare che la sorella maggiore urlava e le chiese: “Che ti prende?“, ma poi si voltò verso la TV e si ritrovò completamente persa nello spettacolo. E racconta che le venne in mente il pensiero: “‘Lo farò!’ – non l’ho messo in dubbio, ed è rimasto con me per tutta la vita“. 

PG: Abbiamo chiuso il cerchio della tua carriera, Suzi. È stato un vero piacere parlare con te; grazie mille per il tuo tempo. 

“Grazie mille!”, risponde lei.

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Paul Rigg