Non esiste un’età per cominciare una bella amicizia, anzi a volte i rapporti più belli si trovano raggiunta la maturità, quando le cose in comune magari si assottigliano, ma le più profonde legano indissolubilmente. L’amore per la musica, per un songwriting raffinato e colto, ha portato questi due grandi artisti (e chitarristi!) a collaborare. Ne è nata una canzone meravigliosa e un’affinità elettiva speciale, in studio e on stage.

Credits: Peter Cavanagh / Sueddeutsche Zeitung Photo / Alamy Stock Photo

L’appassionante retroscena di Sailing to Philadelphia

L’idea da cui nasce la canzone

Sailing to Philadelphia è un brano ammaliante, dolce, tranquillo, riflessivo. Tocca le corde dell’anima mentre si insinua con piacevole lentezza dentro al cuore, come il sole delicatamente si immerge dietro alle colline in un tardo pomeriggio di fine estate. I sottili giri di chitarra  creano un’atmosfera onirica, quasi incantata, ma prevale un che di malinconico, le sonorità strizzano l’occhio al pop e all’americana ed è bellissimo il timido sopraggiungere della voce di James Taylor, dopo la prima strofa cantata da Mark Knopfler.

Così, in modo molto languido, si concretizza un meraviglioso duetto, ove il background folk dell’artista statunitense si fonde con le attitudini rock dell’ex Dire Straits. L’ispirazione per le liriche proviene da un libro, pubblicato nel 1997, che Mark stava leggendo, Mason & Dixon di Thomas Pynchon. Si tratta dell’epica storia romanzata degli avventurieri inglesi del XVIII secolo Charles Mason e Jeremiah Dixon, un astronomo e un agrimensore trasformatisi in uomini di frontiera transatlantici, i quali effettuarono, affrontando tante traversie, i rilievi delle terre della Pennsylvania e del Maryland e tracciarono la linea di confine che alla fine prese il loro nome. Nel periodo in cui leggeva il libro, Mark faceva frequenti viaggi negli Stati Uniti e cambiava aereo a Philadelphia.

La straordinaria abilità di racchiudere nel presente, in pochi minuti di una composizione, una storia del passato lunga tanti anni

L’aeroporto di Philadelphia è un luogo colmo di vita, come tutti i terminali, pieno di negozi e di milioni di persone che vanno in tutte le direzioni, e Knopfler, con la fama da visionario che lo contraddistingue, non può fare a meno di pensare a come doveva essere proprio ai tempi del Mason-Dixon, quando si salpava su una nave da un porto della costa occidentale dell’Inghilterra e si partiva e ci volevano settimane e settimane e settimane ad arrivare. L’opera di Pynchon lo scuote nel profondo, lo fa riflettere sul presente, a ciò che l’America è diventata per quanto accaduto nel passato.

La coincidenza del contatto con James Taylor

Si chiama serendipità. Significa fare una fortunata scoperta imprevista mentre si sta cercando un’altra cosa. C’è un punto in Sailing to Philadelphia che convince Mark a costruirla con i due personaggi a cantare direttamente le loro parti, e James Taylor proprio in quel periodo, siamo nel ’99, lo contatta per chiedergli di produrlo in un progetto solista. Bastano un paio di chiacchierate per far imboccare ai due (allora freschi cinquantenni) una nuova via alla collaborazione pensata: Taylor impersona Mason, Knopfler diventa Dixon e, come d’incanto, la ballata si trasforma in un duetto bellissimo, speciale e senza tempo.

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L’incontro live a Boston, la “terra” di JT

L’amicizia si consolida

L’album di Mark Knopfler esce nel 2000 con il titolo Sailing to Philadelphia, a dimostrare la centralità del pezzo nel suo lavoro, mentre due brani del progetto originario, con il chitarrista britannico alla produzione, vedono la luce solo nel 2015 in un’edizione speciale di Before This World, primo disco con composizioni autografe di Taylor da October Road (2002). Mark suona in Diamond Joe, mentre cura solo le sonorità di Pretty Boy Floyd insieme al fidato Chuck Ainlay. L’amicizia con il compagno oltreoceano però è ormai salda e rimane da ricordare la bellissima sorpresa avvenuta nell’aprile 2001 a Boston, terra natia dell’autore di Sweet Baby James

Sailing to Philadelphia dal vivo

Siamo all’Orpheum Theatre e durante una data del Sailing to Philadelphia tour Taylor appare, dopo una potente What It Is, nel cuore del concerto (iniziato con una Calling Elvis da brividi!) per eseguire con trasporto ed emozione la canzone che li ha profondamente legati. Il pubblico è in visibilio, colpito da tanta intensità, mentre la chitarra di Knopfler disegna nuove trame per un classico ormai intramontabile.

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Altre sorprese in scaletta

I due artisti fanno sognare gli spettatori presenti offrendo pure  un’anteprima, l’esecuzione dell’allora inedita Raised Up Family, pubblicata l’anno successivo sul già citato, notevole October Road. Le sorprese per i fan non sono però finite: Knopfler regala alla folla esaltata un pezzo raro, scritto in quel periodo, ma mai realizzato: Pyroman. Sono tante le sue perle, concepite durante tutta la sua carriera non ancora date alle stampe. Ora alcune di esse stanno finalmente affiorando nelle edizioni rimasterizzate degli album di questo personaggio incredibile, timido e schivo, completamente dedito alla musica, che ha avuto il coraggio di scendere dal carrozzone del successo e degli eccessi proprio all’apice della notorietà. Ripercorriamo la storia unica dei Dire Straits e del loro leader incontrastato.

I primi passi e l’inizio dell’avventura Dire Straits

Dalla Scozia all’Inghilterra con la musica nel cuore

Classe 1949, Mark nasce a Glasgow da madre inglese, insegnante, e padre ungherese di origini ebree, architetto e abile giocatore di scacchi. Presto la famiglia si trasferisce a Newcastle, ove il bambino si appassiona di musica (grazie allo zio pianista e armonicista), poesia e giornalismo. Muove i passi iniziali con la chitarra da ragazzino, dopo una breve infatuazione per il violino, estasiato dalle gesta di Lonnie Donegan, Scotty Moore, Hank Marvin e B.B. King, e in seguito si diletta nei primi gruppi senza trascurare gli studi e lavorando anche da reporter, laureandosi infine in letteratura inglese nel 1973.

Il trasferimento a Londra: un docente con il pallino per il rock blues si accinge a diventare famoso

Fresco di laurea il giovane si diletta con le band locali, tra cui i Brewers Droop, e si dedica all’insegnamento per tre anni, mentre forma i Cafè Racers, che presto comprenderanno il fratello David alla ritmica e un chitarrista convertitosi al basso, John Illsley. E a proposito di sei corde è di questo frangente lo sviluppo della tecnica del fingerpicking, uno stile che diventerà il suo trademark anche nel costruire gli assoli.

Gli esordi dei Cafè Racers non sono dei più brillanti. I momenti difficili vissuti forgiano comunque il gruppo, sempre affiatato e motivato, che trova la propria denominazione definitiva grazie a un amico di Pick Withers (batterista e quarto membro della formazione), il quale suggerisce le parole Dire Straits (“terribili ristrettezze”) con riferimento all’infelice situazione economica in cui versano i componenti.

I Dire Straits diventano i “Sultani dello swing”

In piena era punk non sembrano certo molte le chance di successo per una band chitarristica di ascendenza rock blues. Eppure quando il DJ della BBC Charlie Gillett comincia a trasmettere il demo di Sultans of Swing si compie il miracolo e il quartetto dà l’avvio a una carriera che avrebbe monopolizzato le classifiche per tanti anni a venire. 

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Rotto il ghiaccio con il primo album semplicemente intitolato Dire Straits, un’opera con perle del calibro di Down to the Waterline, Six Blade Knife e Wild West End, i ragazzi proseguono con un secondo lavoro, Communiqué (1979), sempre ispirato ai paesaggi sonori costruiti dal misconosciuto J.J Cale e alle derive country del Clapton degli anni Settanta. La selvaggia Once Upon a Time in the West, la tenera News e la dolcissima Portobello Belle offrono il tiro giusto a un LP che si chiude con una gemma da riscoprire, Follow Me Home. Qualcosa, però, si è rotto negli ingranaggi finora ben oliati del gruppo, David non accetta più la leadership a livello compositivo e vocale del fratello, il quale, peraltro, è sempre desideroso di innovazione e cambiamento e comincia a scrivere canzoni sempre più elaborate e colte, con necessità di diversi e particolari arrangiamenti.

Gli anni Ottanta e la macchina del successo avviata

Making Movies (1980) nasce all’indomani della separazione fra i fratelli Knopfler e segna la stagione del grande successo per i Dire Straits. Con la produzione di Jimmy Iovine e le tastiere aggiunte di Roy Bittan della E-Street Band, è un perfetto pop rock album che contiene almeno tre classici: Tunnel of Love, Romeo and Juliet e Solid Rock. Seguono l’ambizioso Love Over Gold (1982) con l’intrigante “suite” di quattordici minuti Telegraph Road e la misteriosa Private Investigations, una delle canzoni più difficili in assoluto da classificare a livello di genere, fluttuante tra pop, prog, latin e hard rock.

Il virtuoso tastierista Alan Clark si aggiunge per l’occasione e dà lustro anche all’intenso Alchemy: Dire Straits Live in cui si denota l’impatto devastante dal vivo del gruppo, perfettamente a suo agio davanti a migliaia di spettatori e in grado di dare una veste completamente nuova a gran parte delle canzoni scelte in scaletta. L’apice a livello commerciale viene raggiunto nel pluripremiato Brothers in Arms (1985), ricco di invenzioni sonore, con arrangiamenti raffinati e veri evergreen del calibro di Money for Nothing, So Far Away, Why Worry, Your Latest Trick, senza dimenticare la springsteeniana Walk of Life e la malinconica title track.

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La fine di un ciclo incredibile con On Every Street e il tour

La pausa di riflessione con i Notting Hillbillies

Al culmine del successo Knopfler si sente ormai un pesce fuor d’acqua.  È attirato dalla composizione di colonne sonore, attitudine sviluppata con grande dedizione fin dal 1983 con Local Hero, prosegue la sua passione per la produzione, passando da Bob Dylan a Tina Turner e Willy DeVille, e si diverte a suonare come semplice turnista in studio e on stage (sono memorabili alcune date dove svolge il compito di secondo chitarrista di Eric Clapton).

Realizza inoltre un disco con Chet Atkins e viene coinvolto nel progetto Notting Hillbillies, una vera ventata di freschezza, senza lo stress dello showbiz del “baraccone” Dire Straits e con la possibilità di approfondire brani e generi amati in gioventù. Insieme all’amico storico Steve Phillips, al fido Guy Fletcher e l’istrionico Brendan Croker (purtroppo proprio recentemente scomparso) vengono piacevolmente rivisitati classici del blues, country, folk e gospel, accanto ad alcune indovinate intuizioni autografe, rendendo Missing…Presumed Having a Good Time uno spettacolo. Siamo all’inizio del nuovo decennio, quello che concluderà il secolo e il buon Mark paga tributo ai suoni, alle radici di quella tradizione americana che attinge a piene mani pure da rockabilly, boogie-woogie e bluegrass.

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L’ultimo squillo di tromba con On the Night

Questo viaggio verso altri territori musicali, per merito di differenti compagni d’avventura, gli permette di tornare dai partner storici con occhi e idee diverse, pronto a redigere un nuovo capitolo dopo Brothers in Arms, e nello stesso tempo lo rende anche più consapevole e sicuro delle proprie forze e qualità che lo condurranno alla carriera solista. La sua attività artistica permane incondizionatamente ispirata e illuminata da questa pubblicazione, ricca di soluzioni sonore e profumata di generi musicali che fino ad allora erano solo stati la cornice del quadro Dire Straits, ma appariranno copiosamente nelle opere successive.

On Every Street è l’ultimo lavoro su disco del gruppo, viene realizzato nel 1991 e incorpora infatti svariate influenze, dal blues di You and Your Friend e Fade to Black, al roots rock di Calling Elvis, Iron Hand e The Bug, fino al ritorno alle ritmiche dei primi album in When It Comes to You. Heavy Fuel ha sfumature heavy, mentre la title song piace per la lunga coda strumentale, che diventa uno degli highlights del successivo tour, immortalato nel CD/DVD On the Night. La qualità delle nuove canzoni e l’accuratezza del suono risultano ineccepibili, ma mancano, nella varietà dell’album e delle esibizioni live, i principi che contraddistinguevano i Dire Straits: troppe cose sembrano studiate fino all’ultimo dettaglio facendo perdere genuinità al progetto, pare che la routine e l’esagerata professionalità tendano a soffocare estro e intuizioni.

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La fine di un’epoca

Gli ultimi anni trasformano il fenomeno Dire Straits in una struttura gigantesca (anche a livello di ensemble, perdendo l’immediatezza del debutto come quartetto), troppo diversa dalla concezione familiare che Knopfler ha sempre avuto in testa. In un’intervista del 2002 l’autore di Romeo and Juliet usa un’espressione azzeccata definendo i Dire Straits come un luogo meraviglioso da visitare, ma non in cui fermarsi per viverci. Siamo al capolinea. Al termine del tour, il collettivo interrompe di fatto l’attività in maniera definitiva: Mark decide di concentrare le proprie forze sull’attività solista, continuando al contempo a suonare dal vivo su una scala più piccola. 

Comincia una nuova appagante avventura

Il chitarrista britannico rimane uno dei pochi, forse l’unico nel mondo dello spettacolo ad aver resistito alla tentazione di riunire la band che l’ha reso famoso. Sono tanti e troppi gli stimoli a lavorare in proprio e il debutto Golden Heart del 1996 non può che dargli ragione: ispirato e stimolato, Knopfler confeziona un gioiello di album con brani che ricalcano tutte le esperienze musicali acquisite, ma con un brio innovativo e piglio autorevole. Darling Pretty, Imelda, la stessa title track e la romantica Are We in Trouble Now incarnano perfettamente il nuovo percorso con liriche colte e appassionate. 

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Il successivo già ampiamente citato Sailing to Philadelphia rappresenta il picco creativo dell’autore con la stupenda opener What It Is, la curiosa Prairie Wedding e la rutilante Speedway at Nazareth. Ripresosi da un serio incidente in moto avvenuto nel 2003, il musicista pubblica poi una serie di opere convincenti, fra cui The Ragpicker’s Dream (2002), Shangri-La (2004) e Privateering (2012), alternate ad altre sempre di buon livello, ma più di eleganza e maniera che di forte ispirazione. Rimangono comunque notevoli la partnership con Emmylou Harris e le esibizioni live, nelle quali oltre ai cavalli di battaglia della carriera solista emergono i vecchi successi dei Dire Straits. Down the Road Whatever (2018) è l’ultima fatica registrata in studio e dimostra l’inesauribile vena poetica, compositiva e chitarristica di Knopfler, collocandosi tra i must have del percorso solistico dell’autore.

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Le chitarre di MK

Che cosa caratterizza principalmente Mark Knopfler? Certamente ha il suo perché la sua voce profonda, il suo canto a tratti borbottato. Affascinano poi le sue liriche dai temi imprevedibili, con citazioni argute e poetiche che spesso toccano il tema della perseveranza, dell’aspirazione, della forte determinazione. C’è qualcosa nelle imprese umane che lo attrae e gli spezza sempre il cuore, a voler bene osservare il suo songwriting. Tuttavia c’è ancora di più, molto di più! Sono le sue chitarre, il suo fingerstyle così suadente, preciso, a volte potente a donare un’atmosfera unica alle sue composizioni. 

Cominciamo dalle mitiche Fender. Le due Stratocaster rosse hanno fatto la storia dei Dire Straits dal ’77 all’80, una è stata utilizzata anche durante il tour di Sailing to Philadelphia nel 2001. E poi abbiamo la preziosa sunburst del 1954 e due Telecaster, una usata nei Notting Hillbillies.

Pensa MK 2 Flame Top Lemon

Pensa MK 2 Flame Top Lemon

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La Pensa-Suhr, che tanti ricorderanno nel concerto per Mandela nell’88 è un’altra epica sei corde che tratteggia buona parte della carriera del nostro, senza dimenticare le altrettanto famose Gibson Les Paul fra cui la custom, chitarra ufficiale di Live Aid e del Brothers in Arms tour.

Knopfler è anche un grande virtuoso acustico e la splendida National, celebre per Romeo and Juliet e la foto di copertina in Brothers in Arms, l’amata Martin e la pregiata Monteleone, una delle ultime arrivate al cui costruttore John ha pure dedicato una canzone, completano l’elenco. Si tratta di quelle più conosciute e importanti e pare giusto quindi ricordare anche la Schecter, significativa per Making Movies e la Danelectro, di rilievo nella seconda fase della carriera solista.

La voglia di suonare ancora a lungo: la saggezza acquisita e gli ultimi progetti di Mark

Accanto all’ispirato Down the Road Whatever spiccano la sentita collaborazione con Eric Clapton per The Breeze: An Appreciation of JJ Cale (2014), tributo a uno dei suoi idoli giovanili e la soundtrack di Altamira (2016) insieme a Evelyn Glennie, interessante immersione nella musica celtica, patrimonio e fondamento dell’infanzia di Knopfler. Di gran rilievo anche la partecipazione a Stomping Ground, scorre il 2021, del leggendario Dion: Dancing Girl ha un caratteristico tocco latino e mette in mostra Mark Knopfler che divaga con la solita maestria con la sua Strato rossa. Dopo la serie di concerti del 2019 dedicati all’ultimo lavoro in studio, il 2024 dovrebbe offrire importanti aggiornamenti con un nuovo disco e un probabile ritorno on the road. Si prospetta un altro capitolo della storia di un gigante della sei corde, pronto a regalare con la sua esperienza e con grande sentimento ancora tanta buona musica.

L’Italia nei destini di Knopfler: il particolare legame con il pubblico e l’incontro con Zucchero

Mark Knopfler e l’Italia, cronistoria di un idillio senza fine. Partiamo dai Dire Straits: si va dai mitici show dell’estate 1981 ai concerti sold out di Settembre ’92. E poi via a rimembrare le numerose date soliste, tra cui spicca l’intenso tour del 2005, con prima data a Milano e una memorabile tappa nel 2013 a Lucca, con una palpitante Corned Beef City e l’espressività spontanea di Song for Sonny Liston, trasformata in un blues lacerante. Non solo musica dal vivo comunque nel Belpaese, ma anche una prestigiosa partnership con l’artista che, qui in loco, più incarna i valori della tradizione americana, dal blues al soul. Un incrocio che porterà a una delle più belle canzoni incise recentemente da Zucchero, il bluesman italiano per eccellenza. 

Stay tuned.

To be continued…

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Alessandro Vailati