Fare una cover è un’arte delicata: serve coraggio, talento e una certa dose di follia. Alcuni artisti riescono a prendere una canzone già famosa e a trasformarla in una gemma completamente nuova, regalando emozioni inattese. Pensate a Jimi Hendrix con All Along the Watchtower (di cui potete imparare l’assolo qui) o a Johnny Cash con Hurt. E poi ci sono quelli che avrebbero fatto meglio a lasciar perdere. In questa classifica implacabile esploreremo le 10 peggiori cover della storia del rock: esperimenti finiti male, interpretazioni imbarazzanti e veri e propri disastri musicali. Da band leggendarie, vittime di inspiegabili blackout creativi, a improbabili meteore, decise a sabotare la propria carriera con atti di vandalismo sonoro, preparatevi a scoprire canzoni che non avreste mai voluto sentire reinterpretate. Tenetevi forte (e tappatevi le orecchie).

1. Faith No More: War Pigs (1989)

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L’iconico brano antimilitarista dei Black Sabbath viene affidato alle mani e soprattutto alla voce di Mike Patton, che decide di trasformarlo in una specie di folle performance teatrale. Patton affronta la canzone con un entusiasmo talmente sfrenato e schizofrenico da sembrare un comico impazzito piuttosto che il frontman di una band metal.

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Le sue urla, le risatine inquietanti e i repentini cambi di tonalità ricordano più un paziente scappato dal reparto psichiatrico che un musicista intento a interpretare un classico rock. Dove Ozzy Osbourne aveva portato rabbia, cupezza e una sincera denuncia antimilitarista, Patton mette in scena un delirio sonoro che sembra progettato esclusivamente per confondere l’ascoltatore. La versione originale era una potente e profonda critica alla guerra; questa cover, invece, sembra fatta apposta per scatenare il caos e disperdere ogni possibile messaggio. È come se Faith No More avessero deciso di divertirsi alle spalle dei fan dei Black Sabbath, regalando al mondo una performance tanto assurda quanto indimenticabile, ma forse per i motivi sbagliati.

Epiphone Tony Iommi SG Special w/case

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2. U2: Fortunate Son (1992)

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Gli U2 reinterpretano il classico dei Creedence Clearwater Revival trasformandolo in una cover sorprendentemente piatta e svogliata. Bono canta senza passione, e il resto della band sembra suonare per obbligo contrattuale. Online i fan non hanno pietà: “Bono sembra annoiato, come se volesse solo finire la canzone e andarsene via il prima possibile.” Un inno antimilitarista intenso e arrabbiato ridotto a un compitino musicale senz’anima. Non è un tributo, ma un vero e proprio funerale musicale.

3. Guns N’ Roses: Sympathy For The Devil (1994)

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Nel 1994 i Guns N’ Roses decidono di salutare un’epoca con una cover di Sympathy For The Devil dei Rolling Stones, inserita nella colonna sonora del film Interview with the Vampire. Purtroppo, quello che avrebbe dovuto essere un omaggio incendiario al classico di Jagger e compagni, si trasforma invece nel malinconico epitaffio di una band ormai a pezzi. Axl Rose affronta il brano con un entusiasmo paragonabile a chi scopre che la macchinetta del caffè ha smesso di funzionare: svogliato e privo di mordente. La produzione, poi, lucida e piatta, riesce nell’impresa di togliere ogni scintilla rock’n’roll, trasformando i Rolling Stones in qualcosa di innocuo e spento. Persino Slash, all’epoca già in fase di distacco dal gruppo, definì il risultato come “il suono della band che si scioglie”. E aveva pienamente ragione: questo brano resterà infatti l’ultimo pubblicato dai Gun N’ Roses. 

Gibson Les Paul Slash Standard AA

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4. Take That: Smells Like Teen Spirit (1995)

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 I Take That cantano i Nirvana: una combinazione già spaventosa sulla carta. Nel 1995, tuttavia, presi forse dalla voglia improvvisa di sembrare più “ribelli”, hanno avuto la geniale idea di reinterpretare Smells Like Teen Spirit dei Nirvana durante un concerto a Londra. Il risultato è stato qualcosa di simile a una performance di fine anno scolastico, dove il gruppo più popolare della scuola cerca disperatamente di apparire alternativo, ma riesce solo a mettere a disagio tutti i presenti. Ancora oggi, rivedendo quel video, ci si domanda come mai nessuno abbia avuto il coraggio di intervenire e staccare gli amplificatori. Se lo spirito adolescenziale di Kurt Cobain era tormentato, quello evocato da questa cover era semplicemente tormentoso.

Fender Kurt Cobain Jaguar LH

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5. Marilyn Manson: Sweet Dream (Are Made of This) (1995)

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Nel 1995 Marilyn Manson prende Sweet Dreams (Are Made of This) degli Eurythmics, elegante, sintetica, vagamente inquietante, e decide che non è abbastanza disturbante. Così la smonta pezzo per pezzo e la ricompone come colonna sonora di un incubo gotico. Il risultato? Un trip industriale in cui gli “sweet dreams” sembrano più dolci allucinazioni. Manson sussurra, ringhia, si contorce, e rende chiaro fin dai primi secondi che qui non si sogna: qui si sprofonda. Il bello è che, contro ogni logica, funziona. La cover è diventata uno dei suoi pezzi più celebri, e ancora oggi viene considerata un esempio perfetto di come rendere propria una canzone altrui. Mettiamola così: se l’originale ti accompagna in un taxi notturno a Londra, la versione di Manson ti scaraventa in un furgone abbandonato nel bosco, con un manichino rotto sul sedile.

6. Limp Bizkit: Behind Blue Eyes (2003)

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Conoscete i Limp Bizkit: “Keep rollin’ rollin’ rollin’ rollin’” cappellini girati, pantaloni larghissimi e grinta nu-metal da vendere. Bene, prendete tutto questo, togliete la grinta, infilateci un’inspiegabile malinconia e condite il tutto con un tocco di pessime decisioni artistiche. Ecco a voi la loro cover di Behind Blue Eyes degli Who, una rivisitazione talmente sbagliata che ci si chiede se Fred Durst abbia semplicemente perso una scommessa con Pete Townshend. Tra il cantato spento e l’imbarazzante idea di inserire una voce robotica che scandisce “L-I-M-P” (come se non avessimo già capito di chi fosse la colpa), il risultato è un disastro sonoro certificato. Come ha scritto un utente disperato su Reddit: “Ogni volta che parte quel maledetto Speak & Spell, sento il bisogno irrefrenabile di scusarmi personalmente con Roger Daltrey. Insomma, dietro quegli occhi blu forse si cela anche una certa tristezza, ma dopo aver ascoltato questa cover, la tristezza vera è tutta nostra.

Jackson JS1X RR Minion Neon Pink

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7. Britney Spears: (I Can’t Get No) Satisfaction (2000)

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Britney Spears, reginetta del pop e dominatrice indiscussa dei primi anni 2000, a un certo punto della sua carriera ha deciso che Oops!… I Did It Again non bastava. Voleva qualcosa di più “rock”. Così, nel 2000, ha pensato bene di prendere (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones e trasformarlo in un inno da discoteca con coreografie glitterate e basi R&B. Il risultato? Una cover che sembra uscita da un episodio di Glee andato particolarmente storto. Il riff leggendario viene sostituito da synth patinati e la storica frustrazione di Jagger diventa… il dramma di una gonna troppo stretta. Già, perché “how white my shirts can be” diventa “how tight my skirt should be”. Eppure, tra lo sconcerto dei fan più puristi e gli occhi lucidi di chi amava ogni cosa che toccava Britney, qualcuno ha pure apprezzato. Mick Jagger, per esempio. Diciamolo: se anche il frontman degli Stones ha fatto spallucce, noi un po’ meno. La soddisfazione, con questa cover, non arriva mai.

Harley Benton TE-53KR BL Tribute Seri w/Case

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8. Madonna: (American Pie) 2000

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Nel 2000 Madonna prende American Pie di Don McLean, un capolavoro di otto minuti carico di nostalgia, simbolismo rock e struggimento americano, e decide che sì, sarebbe perfetto come brano per far ginnastica in palestra. Taglia intere strofe, aggiunge sintetizzatori da discoteca e applica talmente tanto gloss da rendere la traccia scivolosa quanto una pista di pattinaggio. Il risultato? Un remix adatto più a una festa anni 2000 che alla commemorazione di una tragedia musicale. L’originale era un toccante racconto sulla fine di un’epoca; la cover di Madonna rappresenta invece la fine della pazienza dei fan più affezionati. Eppure, nonostante tutto (e contro ogni logica o buon gusto), la cover riesce addirittura a scalare le classifiche mondiali. Don McLean, dimostrando una diplomazia degna di un ambasciatore in ciabatte, l’ha definita “un regalo da una dea”. Insomma, American Pie doveva farci piangere, Madonna, invece, è riuscita solo a farci ballare o forse ridere amaramente. Ha trasformato un inno generazionale in una hit degna delle Spice Girls.

9. Rob Zombie: Blitzkrieg Bop (2003)

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Rob Zombie che rifà Blitzkrieg Bop è come se Leatherface decidesse di suonare i Ramones a un compleanno per bambini: tecnicamente possibile, ma sconsigliabile. Nel 2003, il signore delle atmosfere horror e dei riff pesanti ha pensato bene di prendere il brano punk per eccellenza e calarlo nel suo universo fatto di ruggiti, fumo e ruggine. Il leggendario “Hey! Ho! Let’s go!” c’è ancora, ma ora suona più come un comando militare urlato da un cyborg incazzato. L’urgenza adolescenziale dell’originale viene sostituita da una marcia meccanica che ha tutto, tranne l’anima del punk. Il risultato finale è un esperimento interessante solo se ti sei appena svegliato da un coma di trent’anni e pensi che The Texas Chainsaw Massacre sia una commedia romantica. Un tributo? Forse. Ma più che una festa, sembra una seduta spiritica con troppo gain e zero Ramones.

10. Atreyu: You Give Love A Bad Name (2004)

Atreyu – You Give Love A Bad Name (Bon Jovi cover) (Official Visualizer) 

Gli Atreyu, paladini del metalcore con più breakdown che buone maniere, nel 2004 hanno deciso di prendersela con un classico del rock da stadio: You Give Love a Bad Name dei Bon Jovi. Il risultato? Una versione così estrema che sembra il prodotto di un litigio tra un amplificatore con il Gain ad 11 e un gruppo di vichinghi in piena crisi emotiva. Dove l’originale faceva alzare gli accendini al cielo e cantare a squarciagola i cuori infranti, la versione degli Atreyu fa alzare le sopracciglia e cercare disperatamente il tasto “skip” su Spotify. L’iconico “Shot through the heart!” viene sostituito da un ruggito che suona più come “Sventrato nel pit!”. Certo, l’intenzione era probabilmente quella di rendere omaggio in chiave estrema. Tuttavia, alla fine della fiera, questa cover riesce davvero a dare una cattiva reputazione… non solo all’amore, ma anche ai Bon Jovi, ai fan dei Bon Jovi, e a chiunque possieda ancora un cuore funzionante.

+1. Nino D’Angelo: Gesù Cri (1989)

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Gesù Cri di Nino D’Angelo è il tentativo audace di fondere i Beatles con la Via Crucis… e il risultato è una stazione intermedia tra Sanremo e Lourdes. Il brano parte come se volesse essere Let It Be, ma finisce come Lassatelo Sta’. C’è il coro angelico, il dramma, il pathos… e poi arriva lui, Nino, che canta come se stesse litigando col parroco durante una messa cantata. Il testo è un delirio mistico pop e l’arrangiamento sembra uscito da un musical napoletano ambientato nel Nuovo Testamento. Voleva essere profondo e spirituale, ma sembra la sigla di una fiction religiosa low budget. Un piccolo miracolo: fa ridere senza volerlo.

Menzione d’onore:

(Band del liceo sconosciuta): The Final Countdown 

worst cover ever! *the final count down*

Non ci sono molti commenti in giro, e forse è meglio così. Una cover in cui l’iconico intro di tastiera sembra suonato con un Otamatone da discount, e il resto è un meme vivente travestito da band.

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Leonardo Maschio