Settemila chilometri. Da Toronto a Napoli, dal grande lago al mare. Non solo una grande distanza: le tradizioni, la storia e il clima sono di tutt’altro tipo. Anche la musica è differente, ma le diversità si attutiscono quando ci si appassiona di un genere, di uno strumento, ascoltando i dischi di chi li ha resi leggendari. Così un bambino prodigio che suona la chitarra sulle ginocchia pensando di essere Jimi Hendrix può sentirsi fratello di uno scugnizzo innamorato di Elvis Presley. La stessa energia, forza, voglia di scoprire, mescolare, intrecciare, contaminare e, soprattutto, scardinare e rivoluzionare resteranno per sempre scritte nelle canzoni di Jeff Healey ed Edoardo Bennato. Un’empatia e un’affinità che hanno caratterizzato anche il loro breve, ma importante incontro, avvenuto in una location epica insieme a uno dei loro maestri.
Per la serie “Crossroads” ripercorriamo quel memorabile incrocio e analizziamo alcune fasi salienti della straordinaria carriera del cantautore italiano.
Quell’indimenticabile esibizione in Italia insieme a B.B. King
Un giorno caldissimo rinfrescato dalle note di Lucille
Il 13 luglio 1990, B.B. King sta terminando uno dei suoi tanti concerti,
regalando plettri e generose strette di mano a un pubblico in visibilio. Tuttavia qualcosa di straordinario sta per accadere. Siamo al leggendario Pistoia Blues e, in chiusura, il padre di Lucille si ripresenta nella calda nottata per i bis con una sorpresa: con il suo solito carisma, con la sua parlantina a tratti irrefrenabile nomina i due ospiti che suoneranno insieme a lui, Edoardo Bennato e Jeff Healey.
Fra i tre si scatena subito una grande energia e, in particolare, durante Signor Censore si nota l’estasi del chitarrista canadese, profondamente coinvolto nel brano. Con la sua Stratocaster rossa ben salda tra le ginocchia, Jeff tiene il ritmo con la testa, si gode il canto e i fraseggi di Edoardo e fornisce un “solo” ispirato, finendo in stato di grazia con una chiusura sgargiante, alcuni secondi di note splendide, il tutto sotto lo sguardo soddisfatto di B.B. e della sua fantastica band. Ma in quale modo è potuta nascere questa jam tra giganti della musica?
“Notti magiche inseguendo un gol”
“Quell’anno al Pistoia Blues c’era anche B. B. King. Gli chiesero se voleva duettare con me, entrai nel suo camerino, mi presentai, ma lui non mi conosceva. Qualcuno gli disse che ero quello della sigla dei mondiali e solo allora mi sorrise. Gli feci ascoltare alla chitarra le note di Signor Censore e la facemmo qualche minuto dopo sul palco insieme ad altri grandissimi come il chitarrista Jeff Healey e l’armonicista Andy J. Forest”. Estratto dal Corriere del Mezzogiorno, Carmine Aymone, 7 giugno 2020
Proprio alcuni giorni prima dell’inizio del Pistoia Blues terminano i mondiali di calcio, organizzati finalmente in Italia dopo l’ultima volta nel lontano 1934. Vince la Germania Ovest, ma fanno festa anche Gianna Nannini ed Edoardo Bennato grazie al successo clamoroso del singolo Un’estate italiana, canzone ufficiale del campionato del mondo. Non sono comunque giorni semplici per Edo il ribelle, il rinnegato, il cantautore amato (e odiato) per andare sempre controcorrente. Scrivere parte del testo e cantare un brano così popolare fa storcere il naso a quella frangia di giornalisti e fan che hanno idealizzato solo il lato “rivoluzionario” e “sovversivo” dell’artista partenopeo.
Eppure, grazie a questa hit sboccia un’amicizia con l’interprete di The Thrill Is Gone, e i due si ritrovano con piacere due anni dopo ad Arbatax in Sardegna al Rocce Rosse & Blues Festival. “Man, you can play the blues”, sono le parole di King che sanciscono l’accettazione e l’ingresso di Bennato nel mondo della musica del diavolo dalla porta principale. D’altronde l’intera esibizione al Pistoia Blues era già un chiaro messaggio al popolo italiano (e non solo). Quando ti esibisci con due giganti come King e Healey e questi suonano con trasporto una tua composizione, la “laurea in blues”, la patente di bluesman sono certificate. Riviviamo ora per bene tutta la performance toscana.
Signor Censore, un brano intramontabile
“Signor Censore che fai lezioni di morale, tu che hai l’appalto per separare il bene e il male…Signor Censore, da chi ricevi le istruzioni per compilare gli elenchi dei cattivi e buoni. Lo so è un segreto, lo so che non me lo puoi dire…”
Dopo una lunga e affilata jam per prendere confidenza l’uno con l’altro, parte grintosa Signor Censore, una canzone non a caso. Si tratta, infatti, di uno dei primi esperimenti di blues con liriche in italiano. Proviene da Io che non sono l’imperatore (1975), terzo album del songwriter napoletano. Si sente in paradiso, Bennato, mentre declama il suo testo polemico ancora così tanto attuale. Un brano potente e sarcastico, eseguito durante il festival pure nel suo show, con i prodi Luciano Ninzatti e Lucio Bardi alla chitarra acustica. Sicuramente influenzato dalle ritmiche dei Canned Heat e dalla leggiadria melodica di Neil Young, il pezzo trae linfa anche e soprattutto da Mr. Censor Man di John Mayall; tuttavia, gode di una sua spiccata originalità, fungendo da ponte tra la musica mediterranea in lingua latina e le classiche dodici battute di tradizione afroamericana.
Signor Censore rappresenta il climax, ma non il termine del concerto. Una straripante e spiritata When Love Comes to Town chiude le danze con Otis Clay ad aggiungersi a Andy J.Forest, B.B., Edo e Jeff. È tutto un succedersi di “soli”, con l’armonica di Bennato baciata dai riff e licks di Healey. E sono tanti, oltre a King, gli artisti in comune tra il rocker italiano e il guitar hero canadese. Uno in particolare ha condiviso il palco con entrambi, in momenti diversi…
Da B.B. & Jeff a Joe Sarnataro: il blues e le influenze comuni
Il blues nel sangue, una seconda pelle per Edoardo Bennato e Jeff Healey. Uno dei mentori del canadese, Albert Collins, suona proprio con lo scugnizzo napoletano nel 1992, momento apicale della carriera in cui si trasforma nell’alias Joe Sarnataro e fa scorrere nelle sue vene la musica del diavolo, la musica che lo ha sempre influenzato fin da piccolo. L’ispirazione a suonare l’armonica è venuta a Edo da John Hammond, un bluesman bianco (da lui incontrato a Pistoia nel ‘90, guarda la casualità!) classe 1942 celebre per la rilettura molto sentita di alcuni standard del genere.
La sua versione di I’m Tore Down, classicone di Freddy King, ronza nelle orecchie pure di Healey che la riproporrà con successo insieme alla sua mitica band nella colonna sonora del film Road House. Vi sono ancora tante affinità elettive che congiungono Toronto a Napoli in un batter d’occhio: Jerry Lee Lewis, Bo Diddley, John Lee Hooker, Little Richard, John Mayall e i suoi Bluesbreakers irrompono spesso nelle architetture sonore dei due, folgorati dall’evoluzione del blues e dalla nascita e diffusione del rock con Elvis Presley.
Come ha fatto una musica così lontana dal mediterraneo e dalla tradizione latina ad ancorarsi nel cuore di un ragazzino di Bagnoli alla fine degli anni Cinquanta? Solo a Napoli, solo con Edoardo Bennato tutto questo poteva capitare…
Gli esordi e la fama di ribelle/sbandato
“Se la guardi dall’alto, di notte, Napoli è una distesa di fiammelle. Ardono, come candele votive accese a un qualche santo. Bruciano, come anime del purgatorio in attesa di essere salvate. Ma quella salvezza non arriva mai e la vita scorre sempre uguale, tra estasi e tormento, bellezza e miseria, in un infinito andirivieni”. Marcella Russano, estratto da Nero a metà. Pino Daniele. Storia di una straordinaria rivoluzione blues, Arcana Edizioni, 2012.
Mescolanza, groviglio di culture, complessità: è difficile descrivere con poche parole una delle città più belle (e dannate) del mondo, che ha dato e sta tuttora donando tantissimo alla musica. Pino Daniele e l’amico Edoardo Bennato, al quale è dedicata questa puntata di “Crossroads”, sono riusciti a scrivere canzoni e melodie indimenticabili partendo proprio dal concetto di complessità.
Bennato si gode fin da piccolino i suoni e le suggestioni provenienti da oltreoceano. Napoli è infatti sede dell’Afsouth, una branca della Nato, e gli americani all’ombra del Vesuvio inaugurano locali e importano la loro musica. Folgorato dal rock and roll di Chuck Berry, dal blues di Muddy Waters e innamorato della musica classica, in particolare di quella risorgimentale e delle opere di Rossini, Edoardo insieme ai fratelli Eugenio e Giorgio, con il beneplacito della mamma Adele, butta tutta la sua determinazione nelle sette note, inizialmente senza successo.
Talentuoso polistrumentista, con una profonda capacità di costruire canzoni originali seguendo la lezione di Bob Dylan, Elton John e i Rolling Stones, oltre a tutte le influenze citate, riesce finalmente a pubblicare dopo quasi dieci anni di gavetta il suo primo album, il tormentato e rabbioso Non farti cadere la braccia (1973). Seguono tre dischi di buonissimo livello, ove l’artista mette a fuoco melodie e liriche tenendo a bada la sua anima ribelle, il suo spirito rivoluzionario utilizzando ironia e sarcasmo. I buoni e i cattivi, il già menzionato, bellissimo, Io che non sono l’imperatore, e La torre di Babele spalancano le porte al successo nazionale di Burattino senza fili (1977), primo straordinario concept album.
Il tripudio degli anni Ottanta e il successivo, misterioso oblio
Da Uffà! Uffà! a quel capolavoro incompreso di È arrivato un bastimento
Una storia colma di emozione, di ritmo, rabbia e dolcezza, impetuosa e incontrollabile come le onde del mare. La parabola artistica di Bennato è ben rappresentata da queste parole e immagini. Vi è però un ulteriore aggettivo da aggiungere, che vale per tutta la sua carriera: sorprendente. Nel 1980 nel giro di un mese, tra Marzo e Aprile, il cantautore partenopeo sforna due opere agli antipodi. Il motto “sperimentare, rinnovarsi e studiare” incarna la pubblicazione di Uffà! Uffà!, subito accantonato per riprendere inaspettatamente la via del disco a tema con Sono solo canzonette.
Dopo Pinocchio è il momento di Peter Pan. Entrambi i lavori sono un successo epocale, anche se l’operazione del doppio disco è sicuramente spiazzante. Ancora una volta l’outsider di Bagnoli aveva fatto centro. Peccato che il terzo episodio dedicato alle fiabe, È arrivato un bastimento, giunto dopo alcuni singoli di successo del calibro di E invece no e Nisida, non riesca a riconfermare il riscontro dei precedenti. Prodotto da Garland Jeffreys, costruito sulla favola del Pifferaio Magico, È arrivato un bastimento è un piccolo capolavoro da ricordare. Carico di contaminazioni sonore, dal rock (anche a tinte hard) e il reggae allo ska, con spunti di elettronica e sintetizzatori in Specchio delle mie brame a far da contraltare a momenti blues come Addosso al gatto (eccoli di nuovo Mayall e Hooker!) e alla parentesi “operistica” di Troppo Troppo.
Il successo di Ok Italia, le mille sfaccettature di Abbi Dubbi e la fantastica operazione con i Blue Stuff
Un singolo indimenticabile, almeno per gli appassionati di calcio di quell’epoca, è intitolato È goal. Un album sperimentale, Kaiwanna, è l’anticamera del nuovo successo di Ok Italia (1987), perfetto compromesso tra pop e rock. L’attività live è sempre intensa, con stadi e palazzetti sold out. Quando viene dato alle stampe Abbi dubbi (1989), già dal titolo è tutto un programma, in perfetto stile Bennato.
Viva la mamma, la title song e Zen elevano un LP dalle mille sfaccettature. L’amore per il blues riemerge in un progetto meraviglioso, È asciuto pazzo ‘o padrone (1992), in cui Edo usa lo pseudonimo di Joe Sarnataro insieme ai Blue Stuff, del grande batterista Mario Insenga, pronti a svolgere il ruolo di gruppo accompagnatore. Esce anche un lungometraggio con la presenza di Renzo Arbore, Lino Banfi e Peppe Lanzetta a corredo di quest’operazione. Questo progetto collega le sonorità dei giganti della musica del diavolo, in primis Muddy Waters, alle tematiche della città dei paradossi. La bella Napoli è meravigliosa per storia, monumenti e tradizioni, ma improvvisamente debole come un sole d’inverno quando si tratta di amministrare e fare politica.
L’improvviso e inaspettato declino e la rinascita con il quartetto d’archi e L’uomo occidentale
Anche nei momenti più difficili, la musica è stata l’unica medicina possibile per Edo. E sempre stata lì, non lo ha mai deluso e abbandonato. Così la gioia di lavorare con Bo Diddley in carne ed ossa per il Paese dei balocchi stempera la rabbia per venire completamente trascurato dai mass media e dalle case discografiche nel prosieguo dei Novanta, nonostante, evento da ricordare tra i tanti, vi sia una splendida partecipazione al Pavarotti & Friends con il quartetto d’archi, osannata anche da un ospite speciale di quella kermesse, Eric Clapton.
La rinascita avviene -udite udite!- grazie a uno spot Tim agli albori del nuovo secolo. Alcune canzoni, fra cui Le Ragazze fanno grandi sogni, ideate e pubblicate senza il minimo riscontro proprio nella decade precedente, fanno nuovamente capolino e stavolta spopolano a “causa” di una pubblicità. L’altalena del successo prosegue nel 2003 con la realizzazione di un disco, L’uomo Occidentale, che ha inizialmente una buona risposta in termini di recensioni e vendite, però è troppo presto accantonato e dimenticato. Eppure ricorda la lungimiranza degli esordi ed è un lavoro quanto mai attuale in questo drammatico frangente e meriterebbe di essere rispolverato, approfondito e analizzato.
“ In questo disco dalle tematiche fortemente connesse scrivo e canto delle tensioni tra noi occidentali e quell’altra parte del pianeta che si oppone all’occidente. ‘Non c’è tempo per pensare’, ‘Every day, every night’ e il brano che dà il titolo al lavoro ne sono parte rilevante e tutto il resto è collegato.”
La bellezza degli ultimi album e l’incredibile e inesauribile energia di un vero uomo da palcoscenico
Edoardo Bennato, con grande coerenza, è arrivato fino ai nostri giorni. Questo significa anche cambiare opinione nel corso degli anni se alcuni contesti sono mutati e nuove incertezze e verità si sono rivelate. Ha realizzato una manciata di progetti davvero interessanti, su tutti Le vie del rock sono infinite (2010) e Pronti a salpare (2015). Quest’ultimo contiene una gemma come A Napoli 55 è ‘a Musica, il racconto della sua vita artistica in versi, che diventa il fiore all’occhiello dei suoi recenti, fenomenali concerti. Un blues scintillante che dimostra la complementarietà tra le sue canzoni dei primi tempi e le ultime, e figura nella bellissima raccolta Live Anthology (2018).
Rimangono da ricordare anche il toccante, come sempre lungimirante, singolo La realtà non può essere questa (2020), nel quale si rinnova la partnership con il fratello Eugenio. E il conseguente lavoro semi antologico Non c’è, indovinata sintesi di pop folk rock con venature blues ove figurano inediti dal piglio dissacrante e ironico. Non c’è, Il mistero della pubblica istruzione, Geniale e La bella addormentata spiccano per sagacia e audacia.
I Musicisti, le chitarre e i chitarristi di Edoardo
Citare tutti i grandi artisti con cui ha collaborato in studio e dal vivo il nostro Edoardo è impresa titanica e impossibile, sia per motivi di memoria che di spazio. Basti pensare al disco di duetti La fantastica storia del Pifferaio Magico, al tour con Alex Britti, e alle innumerevoli esibizioni live in compagnia di pregiati ospiti. Sicuramente colpisce notevolmente analizzare l’abbondante varietà di musicisti virtuosi presenti nella lunga carriera del rocker napoletano.
Dai re della batteria e delle percussioni Tony Esposito, Tony Cercola, Mario Insenga, Ellade Bandini, Lele Melotti, Kenny Aronoff e Roberto Perrone ai professionisti del basso (e non solo) Gigi De Rienzo, Patrix Duenas e Arduino Lopez. Non mancano tastieristi raffinati come Vince Tempera, Ernesto Vitolo e Raffaele Lopez. Mentre, pensando a un’ipotetica sezione fiati basterebbero già i nomi illustri di Enzo Avitabile, Mel Collins, Demo Morselli e James Senese. Inoltre non si possono dimenticare jolly del calibro di Roberto De Simone e Lucio Fabbri.
Niente male per un personaggio che aveva cominciato da solo, da vero One Man Band con tamburello a pedale, armonica, kazoo e l’inseparabile chitarra. E a proposito di chitarra, la passione di bennato per lo strumento è sconfinata, tanto da avergli dedicato una canzone…
“Lei mi è apparsa all’improvviso
e ho avuto un tuffo al cuore
silenziosa e luccicante come una visione
così vera e provocante dietro la vetrina
Lei – lei – la chitarra
Sì – lei – la chitarra”
Un tripudio di chitarre! Dalle prime Eko Ranger 6 e 12 corde degli anni Settanta alle Taylor 310 CE, fino alla svolta dell’ultimo periodo con strumenti costruiti a Napoli. Sono le Sciuscià Guitars realizzate dall’amico liutaio Vincenzo Romano e, infine, la scelta delle Marvit, fatte a Bagnoli, ai Campi Flegrei. In particolare la CF-55 è una 12 corde super-leggera, con le dimensioni di una solid-body tipo Telecaster (a cui Edoardo è particolarmente affezionato), ma con il volume ed il suono di una chitarra acustica.
Taylor 314Ce V-Class
Massimo Luca, Andrea Sacchi, Lucio Bardi, Roberto Ciotti, Claudio Bazzari, Luciano Ninzatti, Giuseppe Scarpato sono i nomi di punta dei chitarristi che hanno seguito Edoardo nel suo fantastico viaggio musicale. E ormai da quasi vent’anni insieme al grande Scarpato troviamo un chitarrista blues virtuoso dalla storia memorabile che accompagna l’autore de L’isola che non c’è in sala d’incisione e dal vivo.
Non solo, in questo caso, un incontro epocale, ma pure un incrocio fatale, che ha segnato potentemente le carriere di entrambi. Stiamo parlando del guitar hero Gennaro Porcelli, un artista a tutto tondo. Ha scritto, arrangiato e prodotto dischi, è leader di una band con cui va in tour in giro per il mondo, e possiede una caratura internazionale che l’ha portato ad incontrare alcuni fra i personaggi più noti del rock blues. Ecco un protagonista perfetto per un’altra puntata di Crossroads, la serie unica e speciale che trovate solo su Planet Guitar!
Stay tuned
To be continued…
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