“I due giorni più importanti nella tua vita sono il giorno in cui sei nato e quello quando scopri il perché” è una frase illuminante di Mark Twain citata all’inizio di un famoso film, The Equalizer. Il perché di Sheryl Crow e Joe Walsh è stato una vera epifania: il loro compito su questa Terra è fare musica e, come vedremo, lo hanno svolto molto bene. Con la rubrica “Crossroads” andiamo a ripercorrere i loro incontri, le passioni comuni, soffermandoci infine sui tratti salienti della straordinaria carriera dell’uomo soprannominato “the clown prince of rock”.
Joe incontra Sheryl: un’overdose d’emozioni
Quell’infatuazione per la James Gang
Sheryl Crow ha sempre considerato la musica come un interruttore magico, un modo per aprire molte porte. E proprio per questo non si è lasciata attrarre solo dalla superficie, le è piaciuto scavare a fondo, alla ricerca delle origini di stili e suoni. Le è accaduto per il blues, il country e soprattutto per il rock, quello tosto, che a partire dagli anni Sessanta, quando era una bambina, sentiva ogni giorno alla radio.
La James Gang fa parte di quei gruppi storici che l’hanno particolarmente colpita nell’adolescenza, grazie alle note già carismatiche emesse dalla Gibson Les Paul di Joe Walsh. Funk#49, Midnight Man e in particolar modo il singolo Walk Away sono stati grandi fonti di ispirazione per il songwriting di Sheryl. Una straordinaria rilettura di quest’ultimo brano, avvenuta nel 2002, con l’artista del Missouri ormai affermata dopo tanta gavetta, rappresenta chiaramente un segnale, un allettante preludio al loro incontro.
Gibson 59 LP Standard GPB HPT
Eccoli “ancora i bei tempi andati”
Un amore incondizionato e fin dal principio verso la musica di Walsh, visto dalla Crow come una macchina in grado sia di viaggiare a pieni giri sia di sussurrare dolcemente, per merito di una scrittura che unisce la semplicità del linguaggio alla capacità di essere rabbiosa e morbida allo stesso tempo, creando un mondo dove il rock si mescola al blues e, a volte, al pop. Il sound del chitarrista statunitense appare un’originale rivisitazione di ascolti stratificati di Les Paul, B.B. King, Chuck Berry, i Beatles, Jimi Hendrix, producendo una sintesi estremamente originale dove si immergono i testi che raccontano il presente quotidiano visto dagli occhi di un uomo con una creatività vulcanica, dalla simpatia sfrenata e una voce…particolare.
Threads (2019) offre l’occasione a Sheryl di ricongiungersi con i mostri sacri da cui ha attinto ispirazione e il brano Still the Good Old Days risulta fra i più rappresentativi e introspettivi, anche perchè è un inedito scritto a quattro mani proprio con Joe.
Non solo in studio: l’energia e la magia delle esibizioni live
“Well, you might be crazy
I might be lazy
But I like it that way
I think it’s high time
We break out the good wine
Raise a glass and say
These still are the good old days”
Still the Good Old Days racconta con nostalgia di giornate folli e pigre, vissute sempre al massimo, è un brano allegro ma non troppo, ove si vuole sperare che i bei vecchi tempi non siano ancora finiti e si possa brindare alla vita come un tempo. Il noto programma televisivo americano CMT Crossroads (un nome, una garanzia per questa rubrica di Planet Guitar!) incrocia – guarda caso! – i nostri Sheryl (al basso) e Joe, con una scintillante Fender Stratocaster, pronti a suonare il pezzo in una trascinante versione live, unito in medley a – guarda caso!! – Walk Away.
La band che li accompagna è formata da musicisti di gran classe, recentemente legati alla Crow: si va dagli eccezionali re della sei corde Audley Freed e Peter Stroud al batterista Fred Eltringham.
Squier LTD CV 50s Strat MN WPG SFG
Still the Good Old Days è la canzone che sancisce un’affinità elettiva incommensurabile tra le due star, che sul palco si incontrano ancora parecchie volte prima della pandemia, in coppia per rinverdire ancora i fasti della loro collaborazione, oppure insieme ad altri pregiati artisti in alcune importanti manifestazioni, tra Houston e Nashville, per versioni trascinanti di Lean on Me, di Bill Withers, e Me & Bobby Mc Gee, scritta da Kris Kristofferson e resa celebre da Janis Joplin. Withers, Kristofferson e Joplin sono peraltro giganti delle sette note a cui la Crow e Walsh sono particolarmente legati. Andiamo così ora ad analizzare le altre loro influenze condivise.
Quella passione comune per il songwriting e i guitar hero
Chi meglio dell’Allman Brothers Band può incarnare la “comunanza” tra Sheryl Crow e Joe Walsh? Si narra che Duane Allman, durante un tour vissuto fianco a fianco tra ABB e James Gang, abbia insegnato i trucchi del mestiere al quasi coetaneo Joe, mentre sono indubbie le impronte southern nelle ambientazioni sonore di Sheryl.
Il blues di Chicago, con Muddy Waters, J.B. Hutto, Buddy Guy e Junior Wells sono altre pietre miliari, come i Cream, Hendrix e i primi Fleetwood Mac, la cui evoluzione con l’arrivo di Stevie Nicks sarà altrettanto parte integrante dell’excursus storico della coppia.
Le melodie di George Harrison, le sue svisate alla slide con uno stile unico e la “turpitudine” a metà strada tra rock e musica del diavolo dei Rolling Stones rappresentano un altro sentiero percorso a braccetto, senza scordare la lezione degli outlaw Willie Nelson e Waylon Jennings. Un interessante miscuglio di nomi e di generi, insomma, contribuiscono a creare due personalità uniche, intriganti e con una storia importante da raccontare. Dopo le mirabolanti vicissitudini della “regina del Missouri” è ora il turno del “pioniere del talk box”, uno dei più pazzi e divertenti chitarristi dell’universo a stelle strisce.
L’impronta indelebile di Joe Walsh nella storia del rock
Gli esordi e il “colpaccio” con la James Gang
Joe Walsh nasce il 20 novembre 1947 a Wichita, nel Kansas. Non ha nemmeno spento la seconda candelina quando il padre, Robert Newton Fidler, pilota dell’aeronautica militare degli Stati Uniti, muore in un incidente aereo. La madre, Helen, pianista di formazione classica di origini scozzesi e tedesche, si risposa alcuni anni dopo e il bambino viene adottato dal patrigno che gli lascia anche il suo cognome.
Presto la nuova famiglia si sposta da Columbus a New York per poi trasferirsi a Montclair, nel New Jersey. Ormai adolescente, il ragazzo frequenta la High School e, forse anche per i continui spostamenti, trova un punto fermo nella musica, suonando l’oboe nella banda del paese. Ma la sua vera passione è la chitarra, impara a memoria gli accordi delle prime canzoni ascoltate e trova un posto come bassista nei Nomads, a Madison, prima di iniziare la Kent State University e bazzicare dalle parti di Cleveland, nell’Ohio.
Un altra band del periodo sono i Measles, di cui diventa leader, ma presto arriva l’occasione di rimpiazzare il chitarrista Glenn Schwartz nella James Gang.
Ora, a poco più di vent’anni, si fa sempre più forte nel giovane la convinzione che la musica rappresenti la missione della sua vita. Nel 1969 viene pubblicato il primo lavoro del sodalizio, Yer’ Album, al quale fa seguito lo straordinario James Gang Rides Again, ove Joe Walsh fa splendere tutto il suo carisma.
Il grande riscontro del gruppo prima dell’inizio dell’attività solista
Definito dalla critica uno degli album rock più importanti dei seventies, James Gang Rides Again spalanca le porte al successo di un sodalizio che ha aperto gli show di Cream, Led Zeppelin e Who, e che vede in Thirds l’ultima fatica in studio con l’irrefrenabile Walsh, ormai pronto per l’avventura con i Barnstorm, a tutti gli effetti considerata il suo primo disco solista.
Si evidenzia chiaramente la crescita del Joe musicista, chitarrista spigliato sempre attivo anche alle tastiere, incuriosito dall’evoluzione dei primi sintetizzatori e interessato a spostarsi dall’hard rock al folk acustico.
Un buon compromesso lo raggiunge con il celebre The Smoker You Drink, the Player You Get (1973), ove blues, rock e country si mescolano e Rocky Mountain Way diventa il suo inno esistenziale, con “la sei corde che parla”, grazie al Talk box.
Arrivano gli Eagles!
Walsh è il primo chitarrista della storia a dare letteralmente voce al suo strumento: Rocky Mountain Way, ispirata dalla sua parentesi vissuta in Colorado, diventa un classico del genere e l’attività in studio e live si arricchisce di altre gemme. So What (1974) contiene un bel rifacimento della solenne, bellissima Turn to Stone, You Can’t Argue with a Sick Mind è l’opera dal vivo preludio all’ingresso negli Eagles.
Hotel California, la cui title track è un diluvio di chitarre di inenarrabile bellezza, è un trionfo dal punto di vista commerciale, e segna una svolta leggermente più rock nel suono degli “aquilotti” anche grazie alla enorme personalità di Joe, che entra nella line up per sostituire il dimissionario Bernie Leadon. I suoi assoli intensi, la sua genialità compositiva pervadono il repertorio di Frey, Henley e compagni fino alla “rottura” di The Long Run (1979) e nelle susseguenti reunion del 1994 e del XXI secolo.
Tra disagi e tormenti, cercando di tenere alta l’ispirazione
“The clown prince of rock” non è comunque tipo da stare con le mani in mano. Così, nell’intermittenza del suo lavoro con gli Eagles, prosegue a sfornare album tra fine anni Settanta e Ottanta, con pezzi iconici, comici, irriverenti e goliardici del calibro di Life’s Been Good e I.L.B.T.’s. Il tutto avviene tra alti e bassi fisici e psicologici, sfiancato da alcool e droghe, fino alla delusione di Songs for a Dying Planet (1992), massacrato dalla critica e flop commerciale di vendite, che avrebbe meritato una possibilità in più e invece affossa la sua attività solista, al netto di colonne sonore e compilation.
Bisogna giungere al 2012, quando, ripulito e consolato dalla cara (quinta!) moglie Marjorie Bach, cognata di Ringo Starr, pubblica lo struggente Analog Man, nel quale si ricongiunge con membri dei Barnstorm e James Gang. Un bel lavoro coprodotto con Jeff Lynne, ultimo capitolo in studio di un artista comunque coinvolto in tanti altri progetti, pronto a riappropriarsi della vita, come dice una sua bellissima canzone, One Day at a Time, un giorno alla volta.
Gli ultimi anni, con una ritrovata “peace of mind”
“Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”, diceva con fare da ruffiano Oscar Wilde. Joe Walsh è sempre stato un uomo di eccessi e incarna perfettamente il significato di quella frase, tuttavia può anche definirsi un miracolato, un sopravvissuto.
Amico fraterno di John Belushi, l’autore di Walk Away è sopravvissuto infatti prima di tutto alla morte, che ha visto più volte davanti agli occhi. E, purtroppo, non si è trovato di fronte solo alla sua possibile fine, ma ha dovuto superare altri momenti di grande difficoltà con una forza inimmaginabile. Nel 1974 ha subito un lutto terribile, la cosa più contro natura che esista: ha perso sua figlia Emma di soli tre anni, vittima di un incidente d’auto causato da un conducente in stato di ebbrezza. Scherzi di un maledetto destino.
Walsh, comunque, ha sempre saputo ricominciare. Nel complicato e non scontato percorso di pacificazione interiore ha messo a nudo le emozioni senza filtri, restituendole in ciascuna nota, come provenisse dalle viscere. E lo dimostrano pure le più disparate avventure musicali affrontate, dalla liaison con Herbs, istrionica band reggae neozelandese (1989), al supergruppo dei The Best, con Keith Emerson e John Entwistle agli inizi dei Novanta, fino alla Ringo Starr & His All-Starr Band, sodalizio con cui collabora saltuariamente tuttora, avendo un rapporto privilegiato con il mitico batterista dei Beatles.
Gli incroci leggendari e le chitarre di Joe
Un session man (e non solo) da urlo
Il nostro adorato “principe pagliaccio del rock” , oltre alla propria discografia e quella con i numerosi gruppi citati, risulta certamente fra i più richiesti session man. B.B. King, Reo Speedwagon, Lionel Richie, Steve Winwood, Beach Boys, Edgar Winter e Foo Fighters sono solo la punta dell’iceberg delle sue comparsate, alle quali è doveroso aggiungere alcuni incontri o esibizioni live, come ospite od ospitante, da urlo. Si pensi a Paul McCartney, Eric Clapton & Fleetwood Mac, Daryl Hall, James Taylor, John Entwistle, Billy Gibbons, Joe Bonamassa, Gary Clark Jr. & Dave Grohl. E, ritornando all’incrocio di questo articolo, è molto bella l’amicizia sia di Sheryl, sia di Joe con Peter Frampton, un altro virtuoso del Talk box.
Ciò che stupisce davvero è la continua voglia di sperimentare e superare ogni limite, come si evince ad esempio dall’incredibile scambio chitarristico con maestri dal playing tumultuoso del calibro di Joe Satriani, Steve Vai e Brian May. Niente male per un talentuoso atipico, capace di fare breccia nel cuore per la scioltezza estrema della sua mano sul manico delle amate Gibson e Fender, per un uomo nato per suonare! Chiudiamo ora la sua storia andando proprio a vedere quali siano le sue sei corde preferite.
Le chitarre del pioniere del talk box
Nella carriera di Joe Walsh abbiamo quindi un florilegio di Fender, Telecaster e Stratocaster, a pari merito con le numerose Les Paul, inclusa quella venduta nel 1969 a Jimmy Page.
L’amore per Gibson lo si vede anche per la EDS-1275 Double-Neck e la Explorer. Dobbiamo poi ricordare la Rickenbacker 230GF Glenn Frey, suonata al Crossroads Guitar Festival, la Carvin Custom Shop CS6M, le Gretsch 6120 e 1959 White Falcon. Meritano una menzione, inoltre, le Duesenberg (brand del quale esiste pure la sua signature) DSA10 Double Cat e Starplayer TV Outlaw, usate in Analog Man. Concludiamo la veloce carrellata citando un altro marchio, spesso scelto dai Titani delle sei corde, la PRS.
Duesenberg Alliance Series Joe Walsh BK
In chiusura, potevamo non spendere due parole per il suo mitico Talk box?
L’indimenticato ingegnere del suono Bob Heil sviluppa nei primi anni Settanta tale marchingegno appositamente per Joe Walsh, dopo un’attenta ispezione di quello realizzato in origine da Bill West.
Pete Drake, un nome ben conosciuto tra gli hardcore fan di George Harrison e Peter Frampton, lo utilizza già nei sixties per una canzone intitolata Forever. The rest is history, come si suol dire, con la pubblicazione di Rocky Mountain Way.
E a proposito di storia (e che storia!), c’è un altro Guitar God che ha incrociato la strada con il buon vecchio Joe: Pete Townshend.
“Crossroads”, la serie unica e speciale di Planet Guitar, si prepara ad un’altra entusiasmante puntata. Ne vedremo delle belle!
Stay tuned
To be continued…
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